Corriere della Sera - La Lettura
Porta più lontano la cultura di un’autostrada
Monika Grütters è la ministra tedesca della Cultura. Ha studiato a Firenze, ama il nostro Paese e la «maniera italiana» («che è il vostro stile, unico»). «La Lettura» l’ha incontrata a Roma: «È dalle arti — dice — che nasce la politica. E anche l’economia»
«Maniera italiana»: in un dialogo di mezzora è l’unica espressione nel dolce idioma che la ministra tedesca della Cultura, Monika Grütters, utilizza non nella sua lingua madre. E lo fa sottolineandola con lo sguardo: «Io — confessa — sono una tipica tedesca tipicamente innamorata dell’Italia. Un amore romantico, ovviamente un po’ irrazionale. Ho anche studiato qui, a Firenze, 26 anni fa, discipline umanistiche e arte». Che cosa intende per «maniera italiana»? «Sta a indicare quel certo vostro stile, unico. Non uso volutamente il termine Dolce vita, lo considero un filo denigratorio, può alludere al voler far poco per dedicarsi al piacere. No, intendo piuttosto un atteggiamento positivo nei confronti di ogni aspetto del vivere. La moda, il vostro guardaroba, la gastronomia, ma soprattutto il piacere di una vita semplice. Saper osservare un paesaggio, ad esempio. Qui, oltre alla vostra grandiosa storia culturale e artistica, si percepisce sempre una grazia, anche nelle piccole cose quotidiane. Cosa rara in Germania. E tutto questo a me apre il cuore, la famosa Sehnsucht... ».
Classe 1962, nata a Münster, in Westfalia, membro della Cdu, Monika Grütters dal 17 dicembre 2013 (terzo governo di Angela Merkel) è ministra aggiunta incaricata del governo federale per la Cultura e i media. Di passaggio a Roma, ha incontrato il suo omologo Alberto Bonisoli, il cardinale Gianfranco Ravasi e assistito alla cerimonia di saluto del direttore uscente dell’Accademia tedesca di Villa Massimo, Joachim Blüher: «Noi tedeschi — sottolinea — abbiamo in Italia il maggior numero di istituzioni culturali all’estero. E viceversa, anche l’Italia ha il maggior numero di istituti culturali all’estero proprio in Germania».
All’indomani delle recenti elezioni continentali, è possibile una cultura dell’Europa unita, al di là delle diverse lingue e del peso delle singole tradizioni nazionali?
«È importante porla, questa domanda. La risposta non è facile. Nel 2018 abbiamo celebrato l’anno del Patrimonio culturale europeo con tutti gli Stati dell’Unione. Un’idea tedesca subito accolta dalla Commissione. Abbiamo osservato, da vicino, che cos’è il patrimonio culturale europeo, pensando non solo ai monumenti ma anche alla cultura gastronomica, ai giardini, al paesaggio»
Risultato?
«Noi europei abbiamo più cose che ci accomunano di quelle che ci dividono, pur parlando lingue diverse. Ma per l’Europa, importante è il fatto che ci sia unità nella diversità. Io sono estremamente convinta che l’identità nazionale nasca dalla vita culturale di ciascun Paese. Solo conoscendo le proprie radici, conoscendo la propria identità, ci si può aprire agli altri, alle altre culture e influenze, senza per questo sentirsi minacciati. Razzismi e nazionalismi eccessivi spesso sono generati dalla paura. E questa paura la si vince conoscendo le proprie radici. Molte persone percepiscono le influenze straniere come disturbo, come qualcosa di estraniante. Invece è proprio nella cultura che si osserva come le influenze, le influenze altrui, di altri Paesi, possano essere arricchenti. La cultura fa vedere cose che prima non si vedevano, amplia gli orizzonti, cambia le prospettive. E dalle conoscenze reciproche, da quello che si apprende dagli altri, può nascere qualcosa di nuovo».
In un mondo sempre più globalizzato ha ancora senso che i governi finanzino istituzioni culturali all’estero?
«Istituti come Villa Massimo hanno sì una funzione di rappresentanza. Ma non solo. Le persone non possono viaggiare permanentemente. In luoghi così tedeschi e italiani si conoscono, si incontrano, si capiscono, e avviene in analoghe istituzioni italiane in Germania. E ciò vale tanto più in un mondo globalizzato. Proprio ora, al cadere dei confini, ci si chiede: ma chi sono io in realtà? Questi luoghi aiutano a dare una risposta. La cultura è il miglior costruttore di ponti, perché è una lingua universale, parlata proprio all’interno di queste istituzioni. Altro punto importante, i borsisti. Artisti o pensatori, oltre a essere persone sono dei moltiplicatori che contribuiscono alla formazione dell’opinione grazie agli scambi. Vivono qui per un periodo, facendo esperienze che poi porteranno altrove».
La Germania in Europa è un Paese economicamente egemone...
«È la tipica immagine che si ha all’estero della Germania. Una forte economia dominante. Io però penso che un’economia forte ci possa essere solo se nasce da idee creative, quindi dalla cultura, che poi genera la crescita. Abbiamo una vita culturale molto vivace in Germania: l’1,7% del bilancio pubblico complessivo viene investito in cultura. Questo non è il risultato ma il presupposto perché l’economia funzioni. E quanto per noi sia importante la cultura, fondamento della politica, lo si capisce dal fatto che il ministro tedesco responsabile in Germania siede direttamente presso la Cancelleria federale. Poi, certo, ci sono 16 ministri della Cultura dei singoli Land, le regioni, un sistema che genera una competizione di idee che è anche molto produttiva».
Un governo può favorire la creatività?
«È fondamentale. Bisogna sostenere l’avanguardia intellettuale, la libertà dell’arte sopra ogni cosa, affinché gli artisti creino anche cose pazze e strane che poi possano essere adottate, per così dire, dall’economia. I due settori, economia e cultura, sono strettamente connessi. Ma occorre essere aperti al mondo, alle influenze internazionali, ai giovani, alle menti creative e allo scambio. Tutto ciò si ottiene non tanto con le reti autostradali, quanto attraverso la creatività. E la cultura non è solo patrimonio, tradizioni, ma anche avanguardie. E la creatività, l’arte, va supportata anche quando non piace subito. Né al finanziatore né al pubblico né a chicchessia».
Apertura a giovani, influenze internazionali, menti creative. Pare la Berlino d’oggi...
«Quel che sta accadendo a Berlino non è solo effetto della politica. L’attrazione di Berlino deriva in gran parte dalla sua storia movimentata. La gente viene a Berlino per vedere come si è sviluppata questa città per tanti anni divisa, prima senza libertà, poi in libertà. Berlino è diventata vivace e con tantissimi giovani. Ogni anno arrivano 40 mila persone da altri Paesi, Israele e Italia soprattutto. È una città emozionante, internazionale, molto liberale, non troppo cara. Dobbiamo proteggere questo potenziale, avendo l’ambizione di rendere sicuri gli spazi urbani».