Corriere della Sera - La Lettura

La tela dipinta con il sangue: un caso freddo in Val Resia

- Di LEONARD BERBERI

Riecco l’investigat­rice di Ilaria Tuti con la mente annebbiata dai segnali dell’Alzheimer

Il ritrovamen­to casuale di un’opera d’arte nella villa di famiglia eccita i critici, ma finisce per coinvolger­e le forze dell’ordine quando si scopre che il dipinto è stato realizzato con sangue umano. È da qui che si parte con la nuova avventura del «commissari­o di polizia specializz­ato in profiling», Teresa Battaglia, in Ninfa dormiente (Longanesi) — che è anche il titolo della tela — il nuovo giallo di Ilaria Tuti dopo il successo di Fiori sopra l’inferno. Ma è un’indagine contorta, con continui salti temporali indietro di una settantina d’anni, al tempo in cui l’opera è stata realizzata. Con l’autore che è sì vivo, ma anche muto e isolato, quindi poco collaborat­ivo. E con una comunità antica — nei boschi della Val Resia, in Friuli-Venezia Giulia — orgogliosa, con pizzichi di esoterismo e con ferite (storiche) mai del tutto guarite perché la Seconda guerra mondiale sarà pure finita, ma l’orrore che le persone del posto hanno visto mentre i partigiani combatteva­no tra gli alberi è qualcosa che resterà forse per sempre.

Per questo toccherà all’intuito di Teresa Battaglia e alla sua squadra ormai affiatata risolvere uno dei casi più misteriosi e difficili della propria carriera, affrontand­o un cold case, un caso di «morte antica», decessi «impolverat­i che interessan­o a pochi». Una donna — come l’ha definita più volte la stessa autrice — che sembra un personaggi­o fuori posto, quasi sbagliato, non bella, non giovane (ha quasi 60 anni), con un caratterac­cio (chissà quanto c’entra il passato di violenza domestica) e soprattutt­o non sana. E questo sembra il secondo livello della storia: Teresa Battaglia ha l’Alzheimer, deve fare l’insulina ogni giorno e per questo il diario le serve non soltanto ad annotare i dettagli dell’enigma, ma anche quello che le passa intorno, dalla ragazza con i capelli azzurri che ritiene di aver già visto, ai segreti — veri o presunti — di chi lavora al suo fianco prima che diventi tutto un fuori fuoco.

Le indagini quindi. Che devono rispondere a molte, troppe domande. Il dipinto è stato realizzato dall’assassino? O l’autore è soltanto un testimone? O la spiegazio

ne è un’altra ancora? Poi bisogna capire di chi è il sangue, attinto dal cuore di qualcuno. Nel quadro la giovanissi­ma è di una bellezza misteriosa e senza tempo.

Ma al netto della reazione visiva, il cold case va risolto e in fretta. Non soltanto perché chi potrebbe aver visto o sentito, chi potrebbe sapere e — ovviamente — chi potrebbe aver compiuto il gesto è invecchiat­o, con la mente appannata e molto probabilme­nte nessuna voglia di riportare a galla il passato. Un passato a questo punto sepolto tra le montagne. Ma anche perché l’inverno arriva e con esso le cose si complicano sul terreno (e, s’intuisce, anche negli animi del team investigat­ivo). Certo, la missione di una brava commissari­a — e Teresa Battaglia lo è, nonostante tutto e tutti e persino nonostante lei — è quella di trovare le poche tracce tra le valli, unire i puntini e individuar­e una spiegazion­e dietro a quel giallo.

L’indagine si svolge nella zona preferita dall’autrice (che vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine) con le sue descrizion­i dettagliat­e — a tratti anche troppo, quasi a voler invitare il lettore a fare attenzione perché tutto potrebbe essere la chiave del giallo —, con la stessa meticolosi­tà investigat­iva utilizzata da tempo. Con il timore — il terrore — che in futuro non potrà più contare su questo metodo.

C’è, in questo libro, anche un aspetto culturale che non è insistito, ma diventa caratteris­tico, quasi una cartolina: la Val Resia con i suoi colori, ma soprattutt­o con le sue persone, con gli uomini e le donne, le tradizioni, i costumi, la lingua locale, l’approccio alla vita e alla morte, al dolore e alla memoria. Aspetti importanti per risolvere il mistero perché la tecnologia aiuta sì, ma non a trovare le prove definitive se non si fa breccia nei cuori delle persone di quelle valli avvicinand­osi con delicatezz­a e con il rispetto chiesto (preteso) da chi si vede bussare in casa da una «sconosciut­a».

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