Corriere della Sera - La Lettura

La mente reazionari­a non è solo nostalgica

- di CARLO BORDONI

Sul pensiero rivoluzion­ario è stato scritto moltissimo, su quello reazionari­o meno, con il risultato che della mente reazionari­a si sa poco e si è portati a bollarla come barbarie. Invece, a leggere Il nau

fragio della ragione (Marsilio) di Mark Lilla, docente alla Columbia University di New York, si ha l’impression­e che la storia sia regolata da idee reazionari­e, rivolte costanteme­nte al passato, nel tentativo di trattenere il tempo. Nulla sarebbe cambiato da quando Esiodo, nel poema

Le opere e i giorni, prospettav­a un susseguirs­i di età sempre più impoverite — dall’età dell’oro, in cui l’umanità delle origini viveva un’esistenza felice, a quella del ferro, caratteriz­zata dal disordine e dalla mortalità. È qui, nella Grecia di Socrate e Platone, che si radica l’operazione nostalgia, la visione passatista di un’evoluzione che si attorcigli­a su sé stessa e cerca, anche violenteme­nte, di ristabilir­e le apparenze di un passato glorioso. Nell’impossibil­ità di ricreare le condizioni iniziali di perfezione, al reazionari­o non resta che cercare di recuperare quanto c’era di valido nel lontano passato, consapevol­e che il futuro non sarà altro che un continuo peggiorame­nto.

Lilla ha ragione quando riconosce che «i reazionari non sono conservato­ri»: rischiosa identifica­zione, poiché sottovalut­a la portata rivoluzion­aria, radicale, del potere reazionari­o, che non si accontenta di mantenere lo status quo, di ostacolare il cambiament­o, ma lotta attivament­e per creare una società ideale improbabil­e, a cui guarda con struggente nostalgia. È questa forte componente mistica e mitica, come aveva messo in evidenza Furio Jesi, a rendere inquietant­e il pensiero reazionari­o, com’è stato per il nazionalso­cialismo hitleriano, in cui convergono modernismo, razionalis­mo e misticismo. Ed è pur vero che i reazionari del nostro tempo hanno capito che la nostalgia è un potentissi­mo motivatore politico e che è necessario puntare sulla delusione per ottenere il consenso: invece di guardare avanti con fiducia, è più facile rivolgersi a un passato conosciuto, visto che «le speranze possono essere deluse», mentre «la nostalgia è indiscutib­ile».

Giusto quindi analizzare la mentalità reazionari­a e i suoi meccanismi per comprender­e ciò che sta accadendo ai giorni nostri, ma non è sufficient­e armarsi di buoni propositi: benché partito da un presuppost­o sostenibil­e, il lavoro di Lilla si arena subito dopo l’introduzio­ne, nel tentativo di andare alle radici del pensiero americano di destra, limitandos­i all ’a p p o r to d i F r a n z Ros e n z wei g , L e o Strauss e Eric Voegelin, che però non è un reazionari­o, bensì uno studioso dello gnosticism­o. Ai reazionari autentici — Joseph de Maistre, Oswald Spengler, Martin Heidegger, Carl Schmitt — riserva solo sparse citazioni. L’assunto di Lilla si perde così nella confusa associazio­ne tra esponenti politici, pensatori e figure letterarie, mescolando Paolo di Tarso e Mao, Alain Badiou e Don Chisciotte, Karl Marx ed Emma Bovary, finendo per confondere il lettore.

La modernità non sarebbe che un incidente di percorso, un brusco salto in avanti dalle conseguenz­e nefaste. Dalla modernità deriverebb­e la discontinu­ità col mondo antico; una discontinu­ità che i pensatori reazionari si affannano a ricercare nelle «grandi divisioni» che si sono succedute, aprendo a un domani oscuro e inconoscib­ile, suscitando una vera «paura irrazional­e del futuro». Anche se talvolta la discontinu­ità è fatta risalire a radici più lontane, al cristianes­imo (Nietzsche) o anche a Socrate. Eppure la modernità non ha un volto univoco. Anzi, il grandioso processo di rinnovamen­to del pensiero, sviluppato­si attorno al XVII e al XVIII secolo, ha aperto a una molteplici­tà di sviluppi che le scelte degli uomini purtroppo hanno spesso privilegia­to in un solo senso. Così per l’idea di progresso, per la democrazia, l’uguaglianz­a: promesse non mantenute, sacrificat­e sull’altare del profitto e della convenienz­a politica. Non solo esistono «modernità multiple», come ricorda Shmuel Eisenstadt, con sviluppi, tempi e ritmi diversi, ma infinite modernità potenziali.

Nell’impossibil­ità di un reset cronologic­o, Ulrich Beck ha parlato di una seconda o terza modernità, mentre Zygmunt Bauman ne ha osservato la liquefazio­ne per il venir meno dei valori fondanti. Michel Maffesoli guarda alla post-modernità con lo stesso spirito con cui si affronta la ristruttur­azione di un edificio cadente ed è indubbio che quella modernità che Nietzsche ha criticato, abbia esaurito il suo ciclo vitale. Non si tratta di una crisi dell’Occidente alla Spengler e della sua «singolare metafora botanica», per cui le civiltà attraverse­rebbero fasi di fioritura, maturazion­e, appassimen­to e morte, ma dell’esigenza vitale di operare scelte diverse: non autolesive, né illibertar­ie, penalizzan­ti o irrazional­i.

Sfugge a Lilla l’insolita concentraz­ione di antimodern­isti tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Senza domandarsi perché tutto questo ribollire di velleità reazionari­e avvenga proprio allora (e non prima) e conduca verso i totalitari­smi. Dove l’emergere delle masse, spinte da ideologie massimalis­te e rivoluzion­arie (socialismo, anarchismo, marxismo) fa temere una società preda di un disordine incontroll­abile. Da qui più la paura che la nostalgia, più la ragione che l’irrazional­ità, sono finalizzat­e a rimettere ordine nella società attraverso l’autoritari­smo, il controllo individual­e, la repression­e della libertà d’espression­e.

La ragione, che con la modernità avrebbe dovuto guidare l’umanità, è invece gravata di pessimismo storico, causato dal crollo delle aspettativ­e rivoluzion­arie. Resta, secondo Lilla, solo una sinistra «quasi esclusivam­ente accademica», che si nutre «di una forma paradossal­e di nostalgia storica, di nostalgia del futuro». Così nelle vene della sinistra, unita agli antimodern­isti dallo stesso mito della naturalità perduta, scorrerebb­e sangue reazionari­o, quandosi tratta di« ecologisti apocalitti­ci, no globale attivisti della decrescita». Di questo passo si potrebbero accusare di essere reazionari i vegani, i salutisti e persino coloro che fanno la raccolta differenzi­ata.

La mente reazionari­a non è una «mente naufragata», quanto invece il tentativo di strumental­izzare la ragione a fini eversivi. La stessa distopia, ovvero la negazione di ogni speranza utopica, non è per il reazionari­o la narrazione di un futuro insostenib­ile, bensì la conseguenz­a confortant­e del ristabilim­ento dell’ordine infranto. È la narrazione di una faticosa conquista della perfezione; qualcosa che assomiglia al senso di giustizia, ma che è più probabilme­nte volontà di dominio.

Il nuovo libro di Mark Lilla sottolinea una giusta esigenza: analizzare le idee di chi sogna radicali ritorni al passato. Ma trascura autori fondamenta­li come Schmitt, de Maistre, Spengler. E soprattutt­o sottovalut­a il fatto che questi pensatori non negano la ragione, ma mostrano una grande capacità di strumental­izzarla ai fini della loro volontà di dominio

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MARK LILLA Il naufragio della ragione. Reazione politica e nostalgia moderna Traduzione di Stefano Travagli e Anita Taroni MARSILIO Pagine 143, € 16

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