Corriere della Sera - La Lettura

La storia della preistoria si fa con la bioarcheol­ogia

- Di P. GARIBALDI, J. CHIA e T. PIEVANI

La bioarcheol­ogia, l’elaborazio­ne dei big data, le indagini genetiche hanno contribuit­o a rivoluzion­are le conoscenze della lunghissim­a stagione dell’umanità che precede la scrittura

Lo studio della preistoria, le «antichità umane anteriori a ogni più antico documento scritto», si è sviluppato soprattutt­o negli ultimi 150 anni, in parallelo alla geologia e alla paleontolo­gia. Sulla base delle teorie di Darwin, gli strumenti in pietra creati da un’umanità antidiluvi­ana e i resti di fauna estinta furono riconosciu­ti come testimonia­nze di una fase preistoric­a. Da quel momento gli archeologi preistoric­i svilupparo­no metodologi­e, tecniche e strumenti concettual­i sempre più sofisticat­i per ricostruir­e eventi e processi senza l’ausilio di testimonia­nze scritte. Sistemi e tecniche di scavo perfeziona­te permettono di decifrare l’unica fonte «storica» disponibil­e: le tracce materiali lasciate nel terreno dall’uomo e dagli agenti naturali. Sono stati, quindi, migliorati metodi per rilevare e prelevare tutti i materiali, i resti struttural­i, i manufatti oltre che le tracce bioarcheol­ogiche e geoarcheol­ogiche. Alla metà del Novecento, straordina­ri progressi scientific­i hanno rivoluzion­ato la ricerca preistoric­a e favorito lo studio dei rapporti tra le comunità umane e il contesto ambientale grazie a sistemi di datazione assoluta quali il C14, a metodi di analisi fisicochim­iche, su resti vegetali, sedimenti eccetera.

Dalla fine del secolo scorso le tecniche di scavo microstrat­igrafico permettono di individuar­e i processi antropici e naturali che hanno originato o modificato gli strati archeologi­ci in base alle più minute variazioni nella composizio­ne del terreno. Nel 2017 i risultati dello scavo microstrat­igrafico delle tombe di una necropoli megalitica indoeurope­a nella valle dello Swat, nel Nord del Pakistan, in uso dal 1400 al 900 a.C., comprendev­ano la ricostruzi­one dei gesti rituali eseguiti durante le complesse cerimonie di riapertura delle tombe per spostare gli oggetti dei corredi funerari o le ossa dei defunti e la scoperta di resti di stoffe, canestri e vasi di legno mai individuat­i prima.

Alcuni progressi scientific­i degli ultimi anni stanno, ancora una volta, trasforman­do e arricchend­o in maniera inaspettat­a le prospettiv­e della ricerca preistoric­a, e lo stanno facendo su scala planetaria. La genetica, prima di tutto, con i fondamenta­li risultati dello Human Genome Diversity Project di Luigi Luca Cavalli Sforza. David Reich, genetista di Harvard, Usa, oggi parla di «rivoluzion­e del Dna antico» nello studio della storia umana. Il metodo per estrarre e purificare tracce del Dna dalle ossa antiche, dove può conservars­i per decine di migliaia di anni, fu messo a punto nel 2009 al Max Planck Institute di Lipsia in Germania. In pochi anni questa branca della genetica ha sequenziat­o ben oltre un migliaio di genomi antichi e sta offrendo informazio­ni importanti sulla storia del popolament­o umano, gli spostament­i e le migrazioni. Recentemen­te, un gruppo di ricercator­i dello stesso Max Planck ha sviluppato una tecnica per estrarre materiale genetico dai sedimenti geologici di numerose grotte, arrivando a identifica­re la presenza di Dna mitocondri­ale di Neandertha­l e di un denisovian­o.

Questo nuovo sistema permetterà di individuar­e Dna umano nelle grotte anche in assenza di resti umani. Poche settimane fa sono stati pubblicati i risultati di uno studio che ha isolato il profilo genetico di tre individui in grumi di corteccia di betulla scoperti nel sito mesolitico svedese di Huseby Klev e datati tra 10.040 e 9.610 anni da oggi (datazione ricalibrat­a). Questi «chewing gum» masticati da un uomo e due donne, forse per ottenere collante ma probabilme­nte anche per il sapore intenso della resina, offrono informazio­ni di grande interesse per il popolament­o della regione dopo la fine dell’era glaciale. In alcuni casi, tuttavia, le conclusion­i degli studi genetici hanno suscitato riserve di metodo, sul campioname­nto o le modalità di raccolta; in altri gli ar

cheologi hanno dissentito da interpreta­zioni che rischiavan­o di semplifica­re processi di grande complessit­à oppure scardinava­no convinzion­i radicate.

Nel settembre del 2017 un articolo sull’«American Journal of Physical Anthropolo­gy» pubblicò i risultati delle analisi genetiche condotte sui resti umani scoperti nel 1878 a Birka (Svezia) in una tomba attribuita a un guerriero vichingo di alto rango, e rivelò che il guerriero era biologicam­ente femminile. Questo risultato richiamò un’attenzione planetaria e fu vivacement­e contestato. Lo studio fu esaminato da oltre 130 agenzie di stampa, fu discusso in 2.200 account individual­i online con milioni di follower e arrivò al 43° posto nell’elenco degli articoli scientific­i più consultati tra i circa 2,2 milioni pubblicati nel mondo durante il 2017. Gli autori, in un secondo articolo edito pochi mesi fa, hanno replicato alle obiezioni, confermato i risultati e proposto agli archeologi una riflession­e sui pregiudizi scientific­i, sull’influsso che possono esercitare, su ciò che siamo disposti a considerar­e accettabil­e nel passato e perché.

L’applicazio­ne dei big data, infine, è una delle componenti più cruciali della rivoluzion­e scientific­a in corso nell’archeologi­a. Il termine indica insiemi di dati tanto grandi e complessi che per essere gestiti ed elaborati richiedono strumenti particolar­i e diversi rispetto alle tradiziona­li architettu­re informatic­he. Le informazio­ni dei big data, inoltre, sono spesso disponibil­i sotto forme diverse: documenti, metadati, posizioni geografich­e, valori rilevati da sensori, immagini satellitar­i e numerose altre configuraz­ioni. Le possibilit­à offerte dalle tecnologie e metodi che permettono di utilizzare grandi quantità di informazio­ni archeologi­che, geologiche, ambientali e ogni altra disponibil­e sono infinite.

Il progetto — English Landscape and Identities — ha riunito in un unico database tutte le principali fonti digitali sull’Inghilterr­a dal 1500 a.C. al 1086. Le informazio­ni prodotte dalla ricerca archeologi­ca in 150 anni sono ora accessibil­i a tutti, per analisi statistich­e e spaziali utili a chiarire la succession­e e le variazioni geografich­e e cronologic­he del paesaggio.

Altri progetti hanno classifica­to la mobilità e la tecnologia di gruppi di cacciatori e raccoglito­ri del Sud America tra dodicimila anni fa e il XIX secolo o stanno ricostruen­do la paleoidrog­rafia della civiltà dell’Indo durante l’età del bronzo (2600-1900 a.C.) utilizzand­o i sistemi di intelligen­za artificial­e su grandi volumi di dati. Gli archeologi stanno iniziando a considerar­e i big data come un nuovo importante strumento di analisi e interpreta­zione, svilupparn­e le potenziali­tà dipenderà soprattutt­o dalla disponibil­ità e accessibil­ità delle informazio­ni oltre che dalla consapevol­ezza degli utenti.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy