Corriere della Sera - La Lettura

IL VENTO DELL’EST

- Di SASHA MARIANNA SALZMANN

Sono alla stazione e aspetto Rüzgar, il vento. Ha detto che il suo nome significa vento, è di origine turca, l’ha detto proprio all’inizio. Quando ci siamo incontrati dopo la prima conferenza al distributo­re automatico degli Snickers. Lui voleva uno Snickers, io volevo uno Snickers, ero imbarazzat­o perché pensavo che nessuno mangiasse più Snickers, ma io ne avevo così tanta voglia. Snickers, questa è la mia infanzia, tutto ciò che ricordo, che era buono. In casa, versavamo la zuppa delle madri sotto il tavolo e ci buttavamo nel serbatoio dello Snickers scolandoce­lo. E quando le madri vedevano che casino avevamo combinato nella sala da pranzo, con le labbra macchiate di caramello, raccoglien­do le noccioline dai denti dicevamo: «Non puoi cucinare. Preferirei morire di fame che mangiare la tua merda».

Rüzgar non ha detto perché gli piacciono gli Snickers. E io non l’ho chiesto. Non è cresciuto in un collegio, è di qui. Non è uno di quei perdenti che di solito non sanno cosa mangiare. Forse gli piacciono sempliceme­nte gli Snickers. Tutto qui. Era già al distributo­re quando sono arrivato e mi ha guardato. Ha occhi grandi, come dei piatti, e labbra come pneumatici per auto. Mi ha stretto la mano e ha detto: «Rüzgar, significa il vento». «Pawlik». «Pawlik. Cosa significa?». «Sempliceme­nte Pawlik. È russo». «Capisco», disse Rüzgar e guardò di nuovo verso il distributo­re.

«I nostri nomi sono robaccia», ho aggiunto dopo pensando a Pulp Fiction. Ha scartato il suo Snickers, se lo è infilato in bocca e ha detto: «Non è una citazione da un film?». Da lì siamo diventati amici. Sedevamo vicini ad Anatomia, saltavamo Fisica e fumavamo erba davanti all’università sotto la statua di un saputello su un cavallo. «Vuoi veramente studiare Medicina? Fino alla fine?», chiesi a Rüzgar mentre eravamo sdraiati sul divano nella sua stanza. Sua madre faceva vibrare i piatti in cucina. Nell’appartamen­to si sentiva tutto e puzzava. Puzzava di spezie e grassi. Ecco perché Rüzgar probabilme­nte si metteva sempre tanto profumo, così non si sentiva l’odore del cibo di sua madre. Ogni volta che tornavo a casa da Rüzgar, odoravo di grasso e del suo profumo e mio padre mi chiedeva: «Beh, sei stato dalle scimmie?».

«Voglio davvero studiare Medicina», ha detto Rüzgar. «Sono l’unico uomo della famiglia, devo prendermi cu

ra di loro. È anche un buon lavoro. Ne ho voglia. Aiutare anziani e bambini. Tu no?». Le sue labbra-pneumatico gli si girarono in faccia. «Nessuno me lo ha chiesto», ho detto. «Mia madre ha detto che diventerò un dottore. Quindi diventerò un dottore. Inoltre, fai 200 mila all’anno. Almeno. Ho voglia di questo».

Si avvicinò, mi toccò il ginocchio e disse qualcosa. Non ricordo cosa. Ricordo solo come mi ha toccato il ginocchio.

Poi arrivò sua madre e mise del tè nero sul tavolo. Mi ha lanciato quello sguardo, ho pensato: «Cosa ho fatto? Che cosa ho fatto di nuovo?». La donna mi odiava, non so perché. Ma non mi ha sorpreso.

Sono in piedi alla stazione dei treni in attesa di Rüzgar, volevamo andare a guardare le scarpe e poi sgobbare un po’ su Chimica. Ciò significav­a staccare. C’era un nuovo gioco sul mercato e volevo giocarci tutta la notte da Rüzgar. A casa, mia madre uscirebbe di testa. Lei sarebbe entrata e mi avrebbe messo dei tranquilla­nti in bocca per farmi addormenta­re. Dice che sono così aggressivo, non c’è da stupirsi che non riesca a dormire. Ma io riesco a dormire. Da Rüzgar dormo, perché nessuno mi rompe le palle. Sono steso con lui sul divano, giocando d’azzardo e soffocando nella sua nuvola di profumo come fosse un gas soporifero. Rüzgar è in ritardo. È sempre in ritardo. Lo odio. La puntualità è la disciplina dei re, diciamo da noi, ma Rüzgar non ne ha idea. È normale che sia in ritardo. Questa è la sua natura. Poi non si scusa nemmeno. Ma ride così tanto che non dico nulla. Cosa dovrei dire? Invece di Rüzgar, arriva Oleg e mi dà un coppino in segno di saluto. «Che succede, cosa stai facendo qui, vuoi venire con me?». «Naa», dico. «Aspetto qui». «Basta con le sciocchezz­e, devo mostrarti qualcosa». «No». «Stasera. Devi venire». «Ho già qualcosa in programma». Voglio spingerlo via, ma lui mi balla intorno, pensa di essere Klitschko, il pugile ucraino.

«Hai finalmente una donna? Borja ha detto di averti visto di recente con una che aveva un gran bel culo. Come si chiama la bambina?». Non dico nulla. «Dai, la conosco? Dovrei conoscerla? Non vuoi pre

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