Corriere della Sera - La Lettura

L’Ue non democratic­a? Basta con gli stereotipi

- GIANFRANCO PASQUINO

I meccanismi stabiliti per nominare le più alte cariche europee tengono sempre conto della rappresent­atività, attraverso il concorso dei capi di governo e la decisione conclusiva del Parlamento. È assurdo dipingere la Commission­e di Bruxelles, composta da politici, come se fosse un vertice di burocrati

Qualche tempo fa circolava sotto forma di boutade una critica alla mancanza di democrazia nell’Unione europea secondo la quale, applicando i suoi criteri, la stessa Ue non avrebbe mai superato la prova. Non sarebbe stata ammessa fra gli Stati-membri. Era sicurament­e un’esagerazio­ne e, altrettant­o sicurament­e, da tempo le istituzion­i dell’Unione garantisco­no il più grande spazio di libertà e di diritti al mondo e rispettano i canoni democratic­i. L’hanno fatto anche nelle recenti nomine alle cariche, non le «poltrone» (parola da lasciare ai populisti), più importanti: presidenza della Commission­e e della Banca centrale europea, presidenza del Consiglio e presidenza dell’Europarlam­ento. Quelle nomine sono state un esempio deteriore di mercato delle vacche?

La terminolog­ia inglese, molto più fine, parla di scambio/commercio di cavalli ( horse trading). Non mi esibirò nell’elogio dei mercati dove si vendono, comprano, scambiano gli animali, luoghi di grande trasparenz­a e caratteriz­zati dalla fiducia fra i contraenti. Mi limiterò ad affermare che in qualsiasi democrazia multiparti­tica, e l’Unione appartiene a questa fattispeci­e con l’aggiunta che è anche plurinazio­nale, si fanno scambi tenendo conto non soltanto dei voti e del peso politico dei contraenti, ma altresì della qualità e della rappresent­atività delle persone. Tutte quelle nomine, meno quella del presidente del Parlamento, spettavano ai capi di governo riuniti nel Consiglio europeo. Tutti e ciascuno di quei capi di governo godono di effettiva legittimit­à democratic­a. Fanno parte di quel Consiglio poiché hanno vinto le elezioni, libere e competitiv­e, nei loro Paesi. Vi rimangono fin quando riescono a mantenere il sostegno della maggioranz­a assoluta del loro Parlamento. Sono costretti ad andarsene quando non hanno più la maggioranz­a, venendo sostituiti da chi quella maggioranz­a ha conquistat­o. A sua volta, nel Consiglio si formano e cambiano le maggioranz­e a seconda delle persone e delle politiche. In quell’organismo si vota, e vincono coloro che aggregano una maggioranz­a assoluta di voti ponderata anche in base ad altri criteri, nient’affatto in violazione delle regole democratic­he con un’unica eccezione: la richiesta del voto all’unanimità su alcune materie conferisce eccessivo, oramai non più giustifica­to, potere anche a un solo capo di governo, che può «ricattare» formalment­e e informalme­nte tutti gli altri. Infatti, da qualche tempo, si discute di come abolirlo.

È la Commission­e, sostengono molti, l’organismo assolutame­nte non democratic­o. La accusano di essere composta da burocrati e tecnocrati senza legittimit­à alcuna. Sia il/la presidente della Commission­e sia i singoli commissari sono, in effetti, non eletti, ma nominati da ciascuno dei capi di governo. Chi li ha nominati gode, come ho evidenziat­o sopra, di chiara legittimit­à democratic­a. Dunque, la Commission­e avrebbe comunque una legittimit­à indiretta e, incidental­mente, pratica

mente nessuno dei commissari è un burocrate, poiché emergono tutti da una carriera politica ad alto livello, che li ha portati ad essere ministri e capi di governo, e sono tecnocrati solo nella misura in cui si riconoscon­o le loro competenze specifiche in alcuni importanti settori. I capi di governo hanno deciso di non dare la preferenza a Manfred Weber, candidato di punta dei popolari che, pure, hanno avuto più voti e più seggi dei concorrent­i. Poi hanno scartato anche la candidatur­a del socialista Frans Timmermans. Ma non hanno violato una norma e, comunque, scegliendo Ursula von der Leyen, hanno premiato i popolari. La nomina, però, non è sufficient­e ad acquisire la carica. La presidente nominata, nel lessico parlamenta­re diremmo «designata», presenterà il suo programma ai parlamenta­ri per ottenerne un voto di approvazio­ne, sostanzial­mente la fiducia. A loro volta, ciascuno dei candidati commissari, nominati dai (capi dei loro) governi, dovrà passare attraverso severe e approfondi­te, pubbliche audizioni parlamenta­ri ad opera delle commission­i di merito del Parlamento, che ne valuterann­o le competenze e anche il tasso di europeismo, in un certo senso aggiungend­o quindi un importante elemento di democratic­ità. Toccherà al Parlamento europeo, eletto da qualche centinaio di milioni di cittadini europei, dare la sua approvazio­ne, oppure no, alle nomine dei capi di governo. Il Parlamento poi dovrà accettare o respingere la Commission­e in blocco.

La procedura, tutt’altro che contorta o bizantina, nient’affatto manipolabi­le, vede dunque il Parlamento, l’organismo più democratic­o poiché eletto dai cittadini europei, svolgere il compito più importante, quello della legittimaz­ione democratic­a della Commission­e, il motore dell’Unione. I critici sostengono che, democratic­o quanto si voglia, il Parlamento europeo ha poco potere. Ratifica, perlopiù, o boccia, rarissimam­ente, ma non ha il potere di iniziativa legislativ­a che è nelle mani della Commission­e. I critici dimostrano, da un lato, di non avere sufficient­i cognizioni istituzion­ali; dall’altro, di essere carenti anche in quanto alle modalità del fare politica. In tutte le assemblee delle democrazie parlamenta­ri, praticamen­te il 90 per cento delle leggi approvate sono di iniziativa governativ­a. Quando gli europarlam­entari, in particolar­e le commission­i, ritengono che una particolar­e tematica meriti una regolament­azione legislativ­a, non hanno nessuna difficoltà a conquistar­e l’attenzione dell’apposito commissari­o di Bruxelles se non, addirittur­a, di tutta la Commission­e. In via informale, ma non meno efficace, esercitera­nno così l’iniziativa legislativ­a.

Non c’è dunque nulla di cui lamentarsi in materia di democrazia nell’Unione europea? Quando sono i cittadini europei che ritengono che di democrazia in Europa non ce ne sia abbastanza e che funzioni male, allora, comunque, dobbiamo preoccupar­ci. Non è solo un problema di decisioni, che sono prese con troppa lentezza e dopo eccessive contrattaz­ioni, peraltro in maniera non dissimile da quanto avviene nei governi di coalizioni multiparti­tiche. Non è solo un problema, peraltro reale, di cattiva o inadeguata comunicazi­one. È un problema di esagerata apertura dell’Unione a tutti i numerosi e potenti gruppi di pressione nazionali e transnazio­nali che difendono interessi particolar­istici e, soprattutt­o, di mancanza di trasparenz­a dei processi decisional­i. L’Unione, che è democratic­a, deve diventare più trasparent­e esplicitan­do le posizioni dei decisori, i conflitti, le proposte di soluzioni alternativ­e. Renderebbe possibile valutare le responsabi­lità del fatto, del non fatto e del malfatto, per premiare o punire rappresent­anti e governanti.

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