Corriere della Sera - La Lettura
La vita di una ragazzina sul sedile di un’auto
Jennifer Clement racconta la coraggiosa vicenda di Pearl, cresciuta con la madre in una Mercury, scassata e con le gomme a terra, parcheggiata in un campo roulotte della Florida inospitale e tossica. Finché una pistola...
Jennifer Clement è nata a Greenwich, Connecticut, nel 1960 ma ha trascorso parte dell’infanzia in Messico dove ha deciso di stabilirsi a vivere, nella capitale, anche da adulta. La sua produzione narrativa e poetica — è autrice anche di svariate raccolte liriche — si nutre di uno sguardo doppio: da un lato la consapevolezza dei limiti del sogno americano, intriso di irriducibile colonialismo, dall’altro l’innesto di energia che il contatto con altre culture, indigene, limitrofe e spesso dominate, ha prodotto in una terra che è essenzialmente frutto di contaminazioni continue, nonostante i muri e le frontiere invocate, costruite e usate come minaccia, specie durante la presidenza di Donald Trump.
nascosta per tre mesi e poi è scappata di casa, portandosi dietro i cimeli di una vita ormai impossibile: i guanti bianchi di seta, l’abito nuziale della madre morta, le tazze da tè di limoges, pezzi di argenteria, un piccolo museo da custodire nel bagagliaio dell’auto, che nel frattempo è diventata la bolla di cristallo in cui madre e figlia vivono e si rifugiano. Lo spazio asfittico in cui tutto però ha un ordine preciso, i giornalini e i disegni di Pearl, le buste di plastica in cui vengono riposti i vestiti, la borsa frigo in cui viene conservato il cibo.
Alla miniaturizzazione dell’esistenza che si svolge fra il sedile posteriore e quello anteriore della Mercury, fa da contraltare l’espandersi dei racconti tra madre e figlia; Margot — «così dolce che aveva sempre le mani appiccicose come in una festa di compleanno» — riesce a filtrare la realtà poverissima e fragile in cui vivono attraverso una continua narrazione dei luoghi e delle persone e allora il campo roulotte è attraversato di notte dagli spiriti degli indiani, la madre morta torna con una domanda rimasta in sospeso, le canzoni folk e blues che Margot conosce a memoria insegnano che ogni cuore può essere spezzato e ogni ragazza vorrebbe essere invitata a una festa da ballo.
Margot fa le pulizie in un ospedale per veterani ed empatizza con il dolore dei soldati, con il dolore di tutti i vinti e gli sbandati che incontra, fino a quando non compare Eli Redmond, un poco di buono, che si appoggia al pastore fingendo, forse anche a sé stesso, una conversione a miglior vita. Come in una ballata, una delle tante che Margot canta alla figlia, Eli è il cattivo perfetto arrivato per distruggere il loro precario equilibrio, ma la promessa di amore e di felicità la vince senza sforzo e nella vecchia auto, da cui la piccola Pearl viene sempre più estromessa, compare all’improvviso una pistola.