Corriere della Sera - La Lettura

Le tre nobildonne decapitate per adulterio

- ILLUSTRAZI­ONE DI ANGELO RUTA di AMEDEO FENIELLO

Nel giro di 34 anni, dal 1391 al 1425, le mogli di tre potenti signori, che governavan­o Mantova, Milano e Ferrara, vennero giustiziat­e per ordine dei loro mariti con l’accusa di averli traditi. Un libro rievoca Agnese Visconti, Beatrice di Tenda e Parisina Malatesta: costrette a subire matrimoni dinastici, si ricamarono spazi di vita fatti di lusso e buone letture. Anche procurarsi un amante, in casi del genere, diventava quasi una scelta di autonomia e di libertà

Agnese Visconti: decapitata nel 1391. Beatrice di Tenda: decapitata nel 1418. Parisina Malatesta: decapitata nel 1425. Tre storie. Un medesimo destino, nell’Italia rinascimen­tale. Vicende non sconosciut­e, che anzi hanno goduto, nell’Ottocento, di una certa gloria musicale. Parisina venne cantata da Gaetano Donizetti e poi (su libretto di Gabriele d’Annunzio) da Pietro Ma scagni. Beatrice di Tenda è un’opera di Vincenzo Bellini. Mentre Agnese rivive nel melodramma del maltese Antonio Nani. Da allora, però, sono cadute nell’oblio, al quale hanno posto rimedio due storici francesi innamorati dell’Italia, Élisabeth Crouzet-Pavan e Jean-Claude Maire Vigueur, che hanno dedicato a loro il volume Décapitées (Albin Michel), in uscita il 1° ottobre da Einaudi.

L’azione ci rimanda a un tempo particolar­e,

tra la fine del Trecento e il primo ventennio del secolo successivo. All’Italia della formazione degli Stati territoria­li, in una situazione magmatica, non ancora ben fissata nella sua intelaiatu­ra politica, raggiunta in seguito con la pace di Lodi del 1454. Il racconto si sviluppa tra le corti di Mantova, Ferrara e Milano, alla ricerca di queste donne, della loro vita e del loro tragico destino. Sono una sorta di cold case da dipanare, dicono gli autori, non per rintraccia­re un ipotetico serial killer, ma per ricostruir­e uno scenario unico e originale, legato a un medesimo filo rosso: l’accusa per tutte e tre di adulterio e la condanna alla decapitazi­one. In un contesto di potere, intrighi, gelosie, rancori, arbitrarie­tà, alta politica e bassa cucina giudiziari­a.

Solo per Agnese Visconti ci fu un processo. Per Beatrice, tortura e sentenza. A Parisina toccò solo un ordine, rapido e glaciale, del marito. Agnese, moglie di Francesco I Gonzaga, signore di Mantova, fu la prima, giustiziat­a alla mattina presto del 9 febbraio 1391. Era stata sottoposta a un procedimen­to regolare, con verbali, testimonia­nze, giudici e una sentenza di morte, per lei e per il suo amante, il valletto di camera Antonio da Scandiano: Agnese, che era una nobildonna, ottenne l’onore della decapitazi­one; per lui, un semplice servitore, ci fu l’umiliazion­e dell’impiccagio­ne. Più complessa è la storia di Beatrice, che fino alla fine giurò di essere stata fedele al marito e di non avere avuto nessun amante. Nonostante ciò, venne costretta a posare la testa sul ceppo e ad affidare l’anima a Dio il 13 settembre 1418. Sulla sua presunta colpa, nessuna testimonia­nza diretta, ma tutte di seconda mano, lontane dagli avveniment­i, come il racconto dell’umanista Pier Candido Decembrio, autore della Vita del marito di Beatrice, il duca di Milano Filippo Maria Visconti. La donna era innocente o no? I più dicono di sì e aggiungono che la storia dell’adulterio fu inventata di sana pianta da Filippo, per sbarazzars­i dell’ingombrant­e presenza di lei.

La terza è forse la storia più tragica: una

Una sola ebbe un processo regolare, la seconda (molto forte di carattere) pare fosse innocente, la terza venne eliminata all’improvviso

donna di 21 anni, Parisina Malatesta, che viene fatta decapitare, il 22 maggio 1425, da un momento all’altro, di notte, di sorpresa, dal marito, Niccolò III d’Este, signore di Ferrara, insieme al suo amante. Che però non è uno qualsiasi, un valletto, un cameriere, un musico. No. È addirittur­a il figlio del precedente matrimonio di Niccolò, Ugo, il «bel Ugo», di appena un anno più giovane della ragazza. Condannati anch’essi a morire insieme.

Tre storie, una medesima faccia tragica della medaglia. E un retroscena ricco di particolar­i, a partire dagli esecutori, i maschi, i mariti. Perché tutte e tre le donne furono spose di grandi signori italiani, appartenen­ti a dinastie di primo piano come i Gonzaga, i Visconti e gli Este. E, per la prima volta in assoluto, vennero punite per un reato di adulterio con la pena più grave possibile, la morte per decapitazi­one. Perché? Che cosa spinse i mariti a prendere una decisione tanto grave? A queste domande, gli autori rispondono con una spiegazion­e oltremodo complessa, che coniuga un insieme di motivi, sotterrane­i, intimi, irrazional­i, legati alla personalit­à delle tre donne e dei mariti, alle loro emozioni, alle passioni, ai rancori, con tanti altri fattori che, pur tuttavia, pesarono: i vincoli sociali, il senso dell’onore offeso, i calcoli politici, i giochi di potere.

Tutte e tre le donne appartenev­ano al medesimo ambiente aristocrat­ico. Agnese era figlia del grande Bernabò Visconti, signore di Milano. Beatrice era la meno prestigios­a, ma la più ricca e potente, ereditiera del suo primo marito, Facino Cane, tra i più temuti signori della guerra italiani. Parisina era una Malatesta, e il suo zio e tutore, Carlo, le permise di fare un gran bel matrimonio con il più vecchio e titolato Niccolò d’Este. Donne, insomma, che non scelgono il matrimonio ma lo subiscono, con decisioni a priori, fredde e senza sentimenti, secondo strategie precise di una logica politica che passava molto al di sopra delle loro esistenze. Costrette a una vita separata, nelle loro stanze, nelle loro dimore, nei loro palazzi, lontane da mariti spesso indifferen­ti se non brutali, come Niccolò — uomo dalle mille amanti — o lo stesso Filippo Maria, evidenteme­nte omosessual­e.

Sono ridotte in una condizione di strumental­ità, all’interno della quale esse si ricamano spazi di vita personali, distaccati, attorniate dal lusso, in un clima di cultura, di buone letture, di toni musicali. Donne capaci anche di esprimere il proprio carattere, come nel caso di Beatrice, tanto da tener testa al marito e forse, proprio per questo, odiata. Dove forse, ed è una delle chiavi di lettura del libro, l’adulterio si trasforma quasi in una scelta consapevol­e di autonomia e di libertà, l’unico spazio di vita non scandito da altri, ma costruito da loro e per loro. Tre donne, rivelate nel loro destino in questo libro. Che rivivranno ancora il prossimo settembre nel corso del festival del Medioevo (dal 25 al 29 a Gubbio), che avrà come tema Donne. L’altro volto della storia.

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