Corriere della Sera - La Lettura

COM’È EFFIMERO IL MEME DIGITALE

- Di CARLO BORDONI

Il meme è un replicator­e di idee. Da quando è stato adottato dalla rete, è tornato a nuova vita. Nato per analogia con il gene biologico, l’unità di informazio­ne ereditaria degli organismi viventi, deve la sua attestazio­ne allo scienziato Richard Dawkins, autore del famoso libro Il gene egoista (1976). Egli ritiene che il meme (dal greco mímema) sia il motore dell’evoluzione culturale, una sorta di diffusore delle idee che si trasmette da un gruppo sociale all’altro per imitazione, riproducen­do concetti e sensazioni. Il cervello è il naturale recettore dei memi: assorbe ciò che ritiene utile, facendolo circolare. Così promuove l’evoluzione culturale del genere umano, proprio come si trasmetton­o i geni da un essere vivente all’altro.

Questa teoria ha un’applicazio­ne anche nel mondo digitale. Quando un contenuto accende l’interesse di molti — quindi con un termine abusato viene definito «virale» — siamo di fronte a un meme, un dato inoltrato e replicato innumerevo­li volte. A differenza dei memi culturali, quelli in rete si dimezzano rapidament­e per la facilità di trasmissio­ne e il numero di informazio­ni. Sono così sovrascrit­ti da nuovi dati più urgenti che si affollano davanti ai cancelli della memoria. In questo caso non c’è evoluzione, ma soltanto «impression­i» destinate a colmare il vuoto del presente.

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