Corriere della Sera - La Lettura
Montalbano yankee vale un kolossal
L’agente Catarella sta sull’attenti e piange, «e le lagrime gli scinnivano lungo la facci, gli vagnavano il colletto, la cravatta». Montalbano, guardando Catarella, «si sintì assuttigliare da ’na gran botta di commozioni, cavò fora il fazzoletto, si sciusciò il naso». È successo che il commissario è stato radiato dalla polizia. La sua squadra (i fidati Augello, Fazio e, appunto, Catarella) smembrata e dispersa. Il cuoco dell’Alcyon, ventisettesima inchiesta della serie, è diversa da tutte le altre. Ha aspetti di racconto d’azione, quasi di kolossal cinematografico, verrebbe da dire, in cui la produzione ha deciso di largheggiare con le spese. Ci sono tutti gli elementi classici delle storie di Montalbano, i soliti rituali, ma c’è come una voglia di camuffarli, di renderli irriconoscibili, di sfigurarli, forse, addirittura, di cancellarli. Il giallo lascia il posto all’avventura in mare aperto, alla storia di pirati. C’è in tutto il romanzo un’atmosfera da brutto sogno. Si sogna spesso e angosciosamente nei libri di Montalbano, ma stavolta non è il romanzo che contiene l’incubo, è l’incubo a contenere il romanzo. In una nota alla fine, Camilleri spiega che Il cuoco dell’Alcyon è un Montalbano speciale (molto speciale) perché lo scrittore nel comporlo ha preso spunto e materiali da una vecchia sceneggiatura per un film (un action) italoamericano mai fatto. Ha riciclato un fondo d’archivio e l’ha riciclato alla grande. Il risultato è un sorprendente, ringiovanito Montalbano yankee. Scrive Camilleri che Il cuoco dell’Alcyon «inevitabilmente, risente, forse nel bene, forse nel male, della sua origine non letteraria». Direi che risente nel bene: la letteratura ha vampirizzato il cinema, il romanzo la sceneggiatura. Scrive ancora Camilleri nella «Nota alla nota»: «Mi pare un buonissimo libro di Montalbano. Ecco volevo aggiungere solo questo». È vero, è un buonissimo Montalbano e non c’è altro da aggiungere, se non lo sgomento.