Corriere della Sera - La Lettura
Helena esce dall’oblio (e va alla Scala)
Tradimento, assassinio, mito. L’opera di Richard Strauss, mai rappresentata al Piermarini, in autunno sarà diretta da Franz Welser-Möst, che a «la Lettura» racconta: «Parla di noi, tocca i nostri bisogni, la nostalgia di bellezza»
Serve una visione «dall’alto», alla luce della storia e della storia della ricezione, per non smarrirsi nei meandri, nei contrasti e nelle anomalie che un’opera come Die ägyptische Helena («Elena egiziaca»), bisogna ammetterlo, porta con sé. È la visione globale e serena che a «la Lettura» offre in anteprima il maestro Franz Welser-Möst: sarà lui, il prossimo novembre, a dirigere la creazione di Richard Strauss alla Scala; dove, clamorosamente, non è mai stata rappresentata. E sono passati ben 91 anni dalla prima esecuzione.
Una ragione ci sarà. Anzi, molte. Alcune oggettive, altre imponderabili. Cerchiamo di capire. «È interessante osservare Die ägyptische Helena dal punto di vista della storia dell’interpretazione — spiega Welser-Möst —. Nel catalogo di Strauss vi sono opere che restano stabili in repertorio, come Der Rosenkavalier, altre che vedono “prime esecuzioni” anche dopo cinquant’anni o più. E non è solo il caso di Strauss: alla Staatsoper di Vienna Così fan tutte di Mozart è stata “riscoperta” nel 1975 dopo quasi settant’anni. Così è stato per le Sinfonie di Mahler, che solo Leonard Bernstein, dagli anni Sessanta, ha riportato pienamente in repertorio». Le difficoltà di fronte a questo titolo sono di vario tipo: «Prima di tutto bisogna trovare i cantanti adatti — prosegue il maestro —. Per la particolare scrittura di quest’opera, negli ultimi venti-trent’anni non c’era nessuno in grado di affrontarla. Capita. Negli anni Settanta, quasi solo René Kollo cantava la parte di Tristan in Wagner, oggi contiamo al
meno cinque tenori che cantano bene questa parte; al contrario, oggi è difficile rimpiazzare un Piero Cappuccilli. Qui la parte del tenore è estrema, è la più difficile che Strauss abbia mai scritto e per decenni non si è trovata la voce in grado di sostenerla: adesso c’è Andreas Schager e si può eseguirla».
E questo è un dato contingente, ma «esterno». I problemi sono anche «interni» alla composizione. Che nasce come idea di operetta, ispirata alla favolosa ironia della Belle Hélène di Offenbach, e via via diventa un’operona, ove all’alta complessità poetica dei versi del librettista Hugo von Hofmannsthal corrisponde una musica di grandiosa densità. Mentre nel loro carteggio, per anni, compositore e poeta insistono sul principio della leggerezza: «Ella non ha modo migliore, per darmi gioia e slancio, che accingersi alla
Helena con mano davvero leggera, agile e libera», scrive von Hofmannsthal nel 1923; «L’importante è che tutto resti leggero. È un soggetto eroico ma è trattato in commedia»; «Tutto è concepito come un insieme di canzoncine, in uno stile molto più leggero di Ariadne ». Altrove, il drammaturgo parla di «fiaba cavalleresca» à la Weber. Ma il risultato è completamente diverso.
«In prova — chiarisce Welser-Möst —, una volta, Strauss raccomandò: “Suonate la mia musica come fosse Mozart”. Ora, nell’Ägyptische Helena la musica ha anche effetti potenti, basta vedere quanti strumenti ci sono nella buca dell’orchestra: ma quello che conta, per l’interprete, è l’impostazione interiore. L’opera affronta anche temi “pesanti”: si parla di tradimento, assassinio, mentre la musica è armoniosa: Strauss tratta tutto in modo “leggero”, non quanto ad aspetto acustico, ma come approccio alle tematiche dell’opera e ai suoi personaggi».
Tradimento, assassinio. Strauss e von Hofmannsthal si rifanno al filone mitologico seguito da Stesicoro e da Euripide: lo avviluppano in un intreccio rocambolesco, moltiplicandone le valenze psicologiche. Avvertita da una Conchiglia Onniscente, la maga Aithra cerca di salvare Helena dalla furia di Menelas, accecato dalla gelosia; fa naufragare la nave della coppia, scatena orde di elfi (non «quelli dolci e teneri del Sommernachtstraum di Mendelssohn», prescrive von Hofmannsthal, bensì «creature maligne, fastidiose e sfrontate»); ridona alla donna la bellezza della gioventù; spiega a Menelas come a Troia, con Paride, sia in realtà fuggito un fantasma, non la vera Helena; lo trasporta in un castello sulle pendici del monte Atlante, lo annebbia con una pozione di oblio...
Qui lo snodo cruciale. Helena rischia il tutto per tutto: « Dies ist der Trank, den ich bedarf! Erinnerung! », «Questo è il filtro di cui ho bisogno! Il ricordo!». A costo di essere uccisa, vuole che Menelas beva la pozione del ricordo. Vuole che la riconosca, « überm Gefilde der Reue », «sul campo del pentimento»; che la ami per ciò che è, per ciò che è stata. Fino all’apparizione redentrice della figlioletta Ermione, tutta d’oro, su un cavallo bianco. «Quest’opera ci sfida a credere ai miti dell’antica Grecia che, come quelli nordici rielaborati da Wagner, in realtà parlano di noi, della nostra attualità, della nostra natura di esseri umani — riprende Welser-Möst —. Uno dei temi, in questa creazione di Strauss, è il problema se nell’oblio vi possa essere felicità. Se l’arte è una forma di riflessione, Die ägyptische Helena ci offre la possibilità di trovare nell’arte un modo per riflettere su noi stessi. Oggi viviamo in un’epoca in cui, specie in Italia, l’Europa viene posta in discussione: mentre Strauss è un compositore che ha sempre concepito una dimensione europea, partendo dalle sue fonti prime, tenendo come cardini del proprio pensiero i classici greci e l’Illuminismo. Era un uomo di grande cultura, aveva letto tutto Goethe tre volte»...
La connessione tra mito e attualità degli archetipi sembra così azzerare molte distanze temporali e molte asperità di ricezione: «L’opera musicale vive sempre un rapporto particolare con il tempo in cui viene eseguita — conclude il maestro —. Molte pagine di Strauss, anche in quest’opera, sono di estrema bellezza. Ne restiamo sopraffatti. Toccano il nostro bisogno, la nostra nostalgia di bellezza. Oggi, in molti Paesi, parliamo di difesa dell’ambiente ed emergenza climatica: anche questa attenzione verso un mondo più sano è una forma di nostalgia di bellezza. Storicamente, in un’epoca di distruzione, la ricerca della bellezza si fa ancora più forte. Anche oggi che siamo tutti così tecnologici, abbiamo bisogno di miti e sogni. Artisti come Strauss e von Hofmannsthal, come Mozart e Da Ponte, come Verdi e Wagner, si pongono sempre questo interrogativo: di che cosa sia “fatto” l’uomo. Per Strauss, Helena rappresenta ciò che di positivo c’e nell’essere umano: la sua capacità di andare “oltre”. Poco prima di morire, mio padre mi disse: “Non si può dimenticare, ma bisogna saper perdonare”. È uno dei punti fondamentali di quest’opera: il perdono».