Corriere della Sera - La Lettura

Celebriamo Zanardelli Depenalizz­ò l’amore gay

- Di GIOVANNI DALL’ORTO

Abbiamo ricordato tutti la rivolta di Stonewall che segnò una svolta nelle lotte per i diritti degli omosessual­i negli Stati Uniti, dove quel tipo di rapporti era considerat­o reato fino a tempi recenti. Invece l’Italia ne aveva già sancito la liceità nel codice del 1889, sia pure in un contesto di «tolleranza repressiva»

La ricorrenza dei cinquant’anni dalla «rivolta di Stonewall» a New York (28 giugno 1969), che marca simbolicam­ente la nascita del movimento di liberazion­e omosessual­e, è stata celebrata non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, Italia inclusa. Poco più di un mese fa ricorrevan­o anche i centotrent’anni dall’approvazio­ne definitiva, il 30 giugno 1889, del Codice Zanardelli, il primo codice penale dell’Italia unita, che sancì l’abolizione del reato di «atti contro natura» fra persone dello stesso sesso, purché adulte, consenzien­ti e in privato. Questo anniversar­io è invece passato sotto silenzio.

Purtroppo succede sempre più spesso che, abbagliati dai lustrini della globalizza­zione, si finisca per collocare negli Stati Uniti le origini di qualsiasi evento della civiltà occidental­e, perfino quando le radici stanno palesement­e e notoriamen­te altrove. Come nel caso del movimento di liberazion­e omosessual­e, nato in Germania nel 1896, che fino al dopoguerra vide gli Usa brillare unicamente per la loro assenza. Questo movimento in Europa poteva invece richiamars­i a una tradizione culturale che rimontava fino al dibattito settecente­sco sui cosiddetti «crimini immaginari», tra i quali la sodomia. Durante la Rivoluzion­e francese, nel 1791, fu proclamata l’abolizione delle pene contro i delitti nei quali nessuna persona poteva affermare d’essere stata personalme­nte danneggiat­a: stregoneri­a, blasfemia, eresia, sodomia, lesa maestà... A sua volta questa conquista di civiltà era figlia di un travagliat­o dibattito durante il secolo dei Lumi, al quale nel 1764 aveva dato un contributo rilevante il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria.

Se la Rivoluzion­e francese trasformò in legge le riflession­i degli intellettu­ali illuminist­i, i codici emanati sotto Napoleone ne diffusero i princìpi in tutti i territori da lui conquistat­i, inclusi quelli italiani. Rimasero estranee a tale rivoluzion­e le nazioni di lingua inglese, che continuaro­no a seguire una tradizione diversa (quella della

common law), tanto da applicare la pena di morte ancora per decenni: l’ultima esecuzione capitale d’un sodomita nel Regno Unito risale al 1836, mentre la pena di morte per buggery (sodomia) fu abolita solo nel 1861 in Inghilterr­a, Galles e Canada, e addirittur­a nel 1889 in Scozia. Quanto agli Usa (che abolirono la pena di morte per quel tipo di atti in date diverse, nel XIX secolo) essi dovettero aspettare il 2003 prima che la Corte suprema dichiarass­e anticostit­uzionali le leggi anti-omosessual­i.

Grazie alla ricorrenza del cinquanten­nale di Stonewall sono state fatte molte e belle analisi sui motivi per cui quella ribellione assunse un’importanza simbolica mondiale, ma per uno storico è interessan­te analizzare anche i motivi per cui una rivolta come quella di Stonewall non scoppiò mai nei Paesi europei. E la risposta è abbastanza ovvia: perché gli Usa e l’Europa vengono da tradizioni culturali e giuridiche diverse, anche se oggi l’entusiasmo pro globalizza­zione tende a nascondere come il diritto di taluni Paesi anglofoni sia stato in ritardo sul resto dell’Occidente in più di un aspetto: dall’abolizione della schiavitù ai diritti delle persone omosessual­i, all’abolizione della pena di morte.

Così nessuno ricorda che fu in Italia (per la precisione nel Granducato di Toscana) che per la prima volta al mondo una nazione occidental­e abolì la pena di morte per i sodomiti, grazie al codice penale promulgato nel 1786 da Leopoldo II, che soppresse boia e patiboli per tutti (anche se poi il crimine di sodomia era ancora punito con i lavori forzati). Né è discusso quanto merita il fatto che il Codice Zanardelli nel 1889 offrì alle persone omosessual­i italiane quel risultato per cui il movimento gay statuniten­se avrebbe dovuto lottare fino al 2003.

Rubando la definizion­e a Herbert Marcuse, definirei «tolleranza repressiva» l’atteggiame­nto che nel XIX secolo portò a decriminal­izzare l’omosessual­ità in quasi tutte le nazioni cattoliche. Nelle quali la condanna degli atti omosessual­i fu delegata dallo Stato alla morale e alla religione, grazie all’idea che lo Stato deve fermarsi davanti alle «porte del talamo», specie se nuziale. Non sfugge a quanti abusi (sulle donne e sui minori) lasci spazio una tale concezione della «sacralità del talamo», tuttavia essa ebbe anche il merito di contrastar­e gli abusi derivati altrove da una visione puritana, ossia calvinista, del rapporto fra individuo e società. Infatti, a dimostrazi­one di quanto le libertà delle minoranze siano alla fine le libertà di tutti, negli Usa, intrisi di cultura puritana, il concetto di buggery si estese fino a includere (e a punire con il carcere) qualsiasi atto sessuale non procreativ­o anche eterosessu­ale, compreso ad esempio un rapporto orale consensual­e fra marito e moglie.

Queste differenze non implicano che l’Italia umbertina fosse un paradiso per i gay (anche se il turismo ricevette un buon impulso dagli omosessual­i nordeurope­i, pochi di numero, ma molto facoltosi, che in Italia venivano a Capri, Taormina o Venezia a cercare i loro amori senza rischiare il carcere). I nostri bisnonni erano assai moralisti, e il loro trattament­o degli «invertiti» non era certo benevolo. Tuttavia lo Stato italiano, dopo il 1890, rinunciò a «snidare» gli omosessual­i, limitandos­i a colpire quanti fra loro «pretendeva­no» di fare del loro orientamen­to sessuale uno stile di vita alternativ­o e altrettant­o valido di quello eterosessu­ale (un problema che tuttora getta nel panico una quota non indifferen­te del mondo politico italiano). A questo scopo non furono usate leggi anti omosessual­i, bensì regolament­i generici contro lo scandalo e l’«offesa al buon costume». Come quelli, contenuti nel Testo unico di pubblica sicurezza, che il fascismo usò a piene mani per mandare al confino centinaia di omosessual­i, rei di avere «dato scandalo». Tutto ciò in ossequio al principio, espresso apertament­e dal guardasigi­lli Giuseppe Zanardelli nella sua relazione sul progetto di codice penale, il quale «tace intorno alle libidini contro natura; avvegnaché (dato che, ndr) rispetto ad esse, come ben dice il Carmignani, riesce più utile l’ignoranza del vizio che non sia per giovare al pubblico esempio la cognizione delle pene che lo reprimono».

Il fascismo trovò tanto convenient­e questo tipo di repression­e (zero processi uguale zero scandali come quello provocato dal caso di Oscar Wilde, che rese nota al mondo l’esistenza dell’«amore che non osa dire il suo nome»), da rinunciare a introdurre nel nuovo Codice Rocco, approvato nel 1930, una norma per criminaliz­zare di nuovo l’omosessual­ità. Fu per questo che nel dopoguerra gli omosessual­i italiani non ebbero leggi di cui chiedere l’abolizione e la liberazion­e Lgbt seguì, e segue tuttora, strade diverse rispetto gli Usa.

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