Corriere della Sera - La Lettura
È giugno il più crudele dei mesi
L’Operazione Barbarossa nel romanzo di Dmitrij Bykov
Giugno è il mese che apre l’estate e addolcisce il clima, anche alle fredde latitudini in cui scorrono la Neva e il Volga. Ma proprio il giorno dopo il solstizio, il 22 giugno 1941, Hitler fece scoccare l’Operazione Barbarossa, stracciando l’accordo del 1939 (noto come Patto Ribbentrop-Molotov) e attaccando l’Unione Sovietica con un blitz a sorpresa che avrebbe sprofondato il mondo nel gelo degli ultimi quattro durissimi anni del secondo conflitto mondiale. L’aggressione, dopo l’avanzata fino alle porte di Mosca, che però non cadde, nel 1942 portò il Führer ad assaporare la vittoria a Stalingrado, salvo poi vedersi respingere dalla resistenza nemica e perdere un’intera armata accerchiata dai sovietici. Il dittatore nazista sarebbe così finito emulo, due secoli più tardi, del fallimento di Napoleone. «Abbiamo più spazio di quanto un nemico ne possa attraversare. L’abbiamo verificato più volte. Siamo invincibili», certifica con una punta d’orgoglio Gorelov dalle pagine centrali del romanzo di Dmitrij Bykov Giugno, che Brioschi Editore ha appena mandato in libreria nell’inappuntabile traduzione di Elisabetta Spediacci.
Gorelov è il misterioso superiore del giornalista Boris Gordon, protagonista del secondo dei tre capitoli in cui è diviso il libro del cinquantunenne scrittore, poeta, professore e giornalista, voce critica della Russia di Putin. E il secondo capitolo è senza dubbio la parte più politica del romanzo, quella in cui con più forza emerge la denuncia dell’inutilità e della brutalità della guerra, non soltanto quella guerreggiata, ma quella preparata attraverso gli strumenti, validi in ogni dittatura, della propaganda e del terrore.
Proprio sulla «versione» staliniana del terrore Bykov scrive le pagine più forti, ricreando magistralmente quel clima fatto di sospetti reciproci, delazioni, denunce e conseguenti arresti e deportazioni che alimentò gli anni Trenta in Urss e che rese impossibile la vita all’intera popolazione, lacerata fin nelle sue relazioni più intime dalla caccia al potenziale «nemico del popolo» annidato anche tra i propri stessi congiunti. Un ingranaggio terribile che ha scaraventato milioni di persone nei campi del Gulag e che, nella finzione narrativa, tocca nel vivo la vita del giornalista Borja (così si fa chiamare Gordon), il quale, al climax della tragedia che l’ha colpito, giunge a svestire una dopo l’altra le cinque maschere che aveva pirandellianamente indossato per sopravvivere — lui operatore dell’informazione — a quel clima nefasto.
La presa di coscienza si manifesta nel coraggio a dire senza più infingimenti il suo pensiero circa l’abbraccio mortale che aveva unito Germania e Urss in un patto di reciproco interesse. «Fu così che il Sesto (Borja, ndr) si svegliò e andò a occupare per intero lo spazio a sua disposizione; prese imperiosamente il controllo della vita di Borja (…). Aveva sempre odiato la pulizia tedesca e la sporcizia russa; era sempre stato conscio della loro natura identica (…). Ivan e Sigfrido erano stretti in un abbraccio di acciaio. Trionfava l’idillio».
Poco importa, dunque, che quell’idillio si sia tosto spezzato; quel che conta è che alla sua base c’era la medesima natura con i suoi meccanismi perversi, nei quali finisce invischiato anche Miša, lo studente di letteratura attorno alle cui vicende, in primis sentimentali, ruota la prima avvincente parte del romanzo. Anch’egli, infatti, subisce una denuncia per alcune innocue avance portate a una compagna e finisce davanti all’Assemblea dell’Istituto, che lo espelle. Le dinamiche del controllo, anche quello sui costumi, tipiche del bolscevismo sono operative fin dal mondo della scuola ed è su queste, ben oltre le (dis)avventure in cui incappa Miša, che affonda la penna acuminata di Bykov.
Meno felice l’ultima, più breve, sezione del romanzo, dove al di là del brillante humour con cui l’autore racconta le scombiccherate fantasie di un altro studente, convinto di poter piegare il mondo al proprio volere attraverso il linguaggio, al lettore rimane poco. Ma in tutto il resto ce n’è d’avanzo per non farsi sfuggire il libro.