Corriere della Sera - La Lettura

Addio saggezza in pillole Oggi Yoda vale Gandhi

Evoluzioni Nella stagione di Twitter e dei social media è tramontata la forza di una scrittura che condensava pensiero filosofico o precetti morali: ormai è l’atto del citare che dà senso alla citazione. Ecco la sapienza «prêt-à-porter»

- Di GIUSEPPE ANTONELLI

Nel multiforme universo della twitteratu­ra dovrebbero essere compresi anche i tanti libri che negli ultimi anni individuan­o in Twitter il punto d’arrivo o il metro di paragone di fenomeni antichi. Come I tweet di Cicerone. I primi 2000 anni dei social media di Tom Standage (tradotto in italiano per Codice nel 2015) o il più recente A Theory of the Aphorism. From Confucius to Twitter («Una teoria dell’aforisma. Da Confucio a Twitter») di Andrew Hui, pubblicato quest’anno dalla Princeton University Press. Un saggio che si ripromette d’intrecciar­e tre metodi d’analisi — filosofico, filologico ed ermeneutic­o — per dimostrare, in sei capitoli dedicati a personaggi e secoli diversi, come gli aforismi si pongano «prima, contro e dopo» i grandi sistemi filosofici.

L’adagio va veloce

È interessan­te che, dovendo inquadrare la forma dell’aforisma, l’autore faccia leva su uno dei tratti più tipici di questo tipo di testi: l’antitesi, il paradosso. La forza degli aforismi sta — sostiene Hui, professore associato di humanities allo Yale-Nus college di Singapore — nella loro natura «atomica»: nel fatto che racchiudon­o il massimo d’intensità in una lunghezza minima. (Giocando su uno dei sinonimi italiani, potremmo dire che le massime sono racchiuse in frasi minime). Il loro destino è dettato dall’essere testi brevi che per essere capiti richiedono tempi lunghi. (L’adagio va veloce, è la sua comprensio­ne che è lenta). Di qui la sovrabbond­anza dei commenti: più laconico è il maestro, più prolissi sono gli allievi. L’aforisma è etimologic­amente — alla base c’è il greco antico aforízo «definisco» — una sentenza che delimita; ma al tempo stesso forz a i l i mi t i d e l l i n g u a g g i o , p r o vo c a n d o un’esplosione di significat­o. È un detto che sfonda il tetto del non detto.

Tutto scorre

I primi aforismi propriamen­te detti della tradizione occidental­e, in effetti, sono dei precetti. «Li Aphorismi d’Ipocràs», come li chiama Dante nel Convivio: gli insegnamen­ti della scuola medica di Ippocrate. Ma se si guarda alla modalità di espression­e, si può risalire — come fa Hui — almeno a Eraclito, il filosofo di Efeso non a caso soprannomi­nato «l’oscuro». Sono molti i suoi frammenti che parlano evocativam­ente del lógos, inteso di volta in volta come discorso, pensiero, senso, spirito individual­e o cosmico. In nessuno, invece, si legge l’affermazio­ne che «tutto scorre»: quel pánta rhei divenuto da tempo uno degli aforismi filosofici più sfruttati. Insegna di negozi, ristoranti, alberghi; nome di aziende, istituzion­i, uffici, centri medici; titolo e sottotitol­o di qualsivogl­ia opera; verso canzonetti­stico ad effetto (in rima con singin’ in the rain); tatuaggio disegnato su braccia e schiene. Cifra, marchio, simbolo: dal lógos al logo.

Un destino comune, peraltro, a molti altri fortunati aforismi — filosofici e non — risalenti alle epoche, alle culture, alle voci più disparate. Aforismi come slogan: usati alla stregua di motti popolari, confusi con tormentoni e ritornelli. Non sarà un caso che la bibliograf­ia linguistic­a più recente sui testi e le scritture brevi si concentri soprattutt­o su frasi provenient­i dalle pubblicità, dai film, dalle canzoni.

La «paragnomic­a» e il «popverbio»

A tenere insieme questo precipitat­o di citazioni c’è il richiamo a una — vera o presunta — saggezza. Quella dimensione che, con un’altra parola d’origine greca, si chiama gnomica; una sentenzios­ità, cioè, legata alla ricerca della conoscenza (la radice è la stessa del verbo gignósko «conoscere»). Anche se oggi, sentendo parlare di letteratur­a «gnomica», molti penserebbe­ro alle favole piuttosto che alla filosofia: agli gnomi più che alla gnosi. La testualità gnomica è comunque una testualità ridotta, quasi in pillole, proprio come accade per i microtesti ( tweet, meme, gif) che imperversa­no oggi. Al punto che si potrebbe parlare, in proposito, di testualità «paragnomic­a»: una versione inflaziona­ta e banalizzat­a dell’antica tradizione aforistica.

Ricostruir­e il diverso contesto storico e di pensiero in cui sono stati prodotti, raccolti o commentati alcuni degli aforismi filosofici più celebri (come fa Hui, affrontand­o — tra gli altri — Erasmo, Pascal, Nietzsche) ha il merito d’innalzare un baluardo rispetto a questo processo di indiscrimi­nata assimilazi­one. È in questo pervasivo blob, d’altra parte, che prende forma la fluida categoria del «popverbio»: una evoluzione (o involuzion­e) postmodern­a del proverbio, in cui tutte le distinzion­i si annullano e allineano in direzione del pronto consumo. Alto e basso, antico e moderno, autoriale e popolare si mescolano in un repertorio preconfezi­onato sempre disponibil­e al forsennato riuso tipico della rete e dei social.

Quotazioni d’autore

La dilagante diffusione degli anglicismi derivati dal verbo to quote «citare», in effetti, sta pian piano rendendo obsoleta, oltre alla dicitura, l’idea classica della citazione. Il principio d’autorità che in origine l’ha generata diventa sempre più evanescent­e, e il baricentro si sposta sempre di più all’interno della visione egocentric­a ed egolalica oggi dominante. Ti quoto, dunque sei. È l’atto della mia citazione che dà un senso a questo o quell’aforisma: è la ripetizion­e di una sua frase che dà consistenz­a a un nome di cui spesso null’altro si conosce se non la griffe. Ma — proprio per questo — gli si dà del tu; distorcend­one, semplifica­ndone, adattandon­e le parole senza alcuna remora reverenzia­le. Non sono solo le false attribuzio­ni che circolano così largamente in rete a logorare l’ipse dixit: è la totale intercambi­abilità delle fonti. Per cui Dante o Gandhi, Platone o Oscar Wilde, Leonardo o Leopardi possono essere indifferen­temente citati sullo stesso piano del maestro Yoda di Guerre stellari. L’aforisma come sapienza prêt-à-porter, la cui natura «atomica» va ormai intesa soprattutt­o come «atomizzata». Polvere di cultura dispersa nell’ambiente con cui si cerca di dare sapore a una insipida — i toscani direbbero: sciocca — purea di parole. (Di qui la deliberata scelta di un articolo rigorosame­nte a citazioni zero).

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