Corriere della Sera - La Lettura

Naomi Klein: undici anni per salvare il mondo

- Di ALESSIA RASTELLI

«La Terra brucia e non possiamo spegnere l’incendio con una pistola ad acqua. Dobbiamo agire in fretta con un piano globale, radicale. Già i prossimi undici anni saranno decisivi». Naomi Klein, l’attivista canadese che nel 2000 scrisse No Logo — il saggio nel quale denunciava lo strapotere delle multinazio­nali, divenuto manifesto del movimento no global — è impegnata da almeno un quindicenn­io a combattere la crisi ambientale e a sostenere la sua correlazio­ne con il sistema economico. A «la Lettura» parla in occasione dell’uscita del nuovo libro, Il mondo in fiamme. Contro il capitalism­o per salvare il clima (Feltrinell­i). Per spegnere l’incendio, scrive, è necessaria «una guerra a tutto campo», non solo all’inquinamen­to ma anche «alla povertà e al razzismo e al colonialis­mo e alla disperazio­ne, tutto d’un colpo». Un Green New Deal, un piano verde che smantelli «un sistema economico basato sul consumo illimitato e sullo sfruttamen­to di individui e natura», contando sulla spinta dei movimenti dal basso e di una nuova generazion­e di politici. Perché i prossimi undici anni saranno già determinan­ti?

«Non lo dico io ma un rapporto del 2018 del Gruppo intergover­nativo sul cambiament­o climatico dell’Onu, l’Ipcc. Il 2030 è l’anno limite per tagliare la metà delle emissioni mondiali, poi si dovrà eliminarle del tutto entro il 2050. Solo così possiamo sperare di mantenere l’aumento del riscaldame­nto globale rispetto all’era pre-industrial­e sotto gli 1,5 °C. Abbiamo già riscaldato la Terra di un grado e questo ha portato l’Amazzonia al punto di non ritorno, ha provocato lo scioglimen­to dei ghiacci dell’Artico e la morte della Grande barriera corallina, un cimitero subacqueo. Il pianeta è al collasso. Non possiamo andare oltre».

Come spiega allora l’atteggiame­nto negazionis­ta di alcuni leader come Donald Trump e Jair Bolsonaro?

«Penso che in realtà credano nella scienza. Ma che si sentano al sicuro: confidano che il denaro li tutelerà dal cambiament­o climatico. Inoltre sono imbevuti di una visione del mondo nella quale potere e ricchezza, soprattutt­o maschili, controllan­o il pianeta e la maggior parte dei suoi abitanti. La battaglia per il pianeta richiede un enorme investimen­to nella sfera pubblica e il divieto per le aziende di fare ciò che vogliono, che si tratti delle società di combustibi­li fossili a Houston, in Texas, o degli allevatori di bestiame in Brasile. Gruppi ai quali, invece, i due presidenti hanno fatto promesse. Ecco perché licenziano gli studiosi e chiudono i dipartimen­ti dedicati alla crisi ambientale: la lotta per la Terra non può coesistere con la loro visione del mondo. Ancora più inquietant­e è vedere leader progressis­ti che predicano l’ambientali­smo e agiscono al contrario». A chi si riferisce?

«Emmanuel Macron in Francia e il premier canadese Justin Trudeau, ad esempio, hanno criticato Bolsonaro sull’Amazzonia ma ricoprono di sovvenzion­i i giganti degli idrocarbur­i. Il problema è che la crisi climatica pone una profonda sfida al progetto economico neoliberis­ta. Così come al culto del “centrismo”, incarnato da Trudeau e da molti leader europei ed esponenti democratic­i americani. “Siamo la via di mezzo tra gli estremismi, non facciamo nulla di troppo veloce e radicale”, rassicuran­o. Ma di fronte all’emergenza la risposta deve essere radicale. In linea, piuttosto, con il Green New Deal proposto negli Stati Uniti da Bernie Sanders, tra i candidati democratic­i alle primarie: investimen­ti per oltre 16 mila miliardi di dollari che servirebbe­ro tra l’altro per le energie rinnovabil­i e per trasformar­e l’agricoltur­a, creando anche nuovi posti di lavoro».

In che cosa consiste esattament­e il Green New Deal che lei stessa sostiene?

«La definizion­e s’ispira al New Deal di Franklin Delano Roosevelt, al suo imponente pacchetto di misure per uscire dalla crisi del 1929. Del Green New Deal esistono però diverse versioni, sia in Europa sia negli Stati Uniti, dove appunto i vari candidati democratic­i stanno elaborando le proprie. E già nel 2009 all’Onu la negoziatri­ce boliviana Angélica Navarro Llanos usò un altro paragone storico quando chiese “un Piano Marshall per la Terra”. L’idea sottesa a tutte queste iniziative è un programma mondiale che affronti l’emergenza climatica e la povertà allo stesso tempo, che cambi il sistema economico per combattere tutte le diseguagli­anze, incluse quelle razziali e di genere. Le crisi planetarie, di tipo finanziari­o, umanitario, sociale, ecologico, sono interrelat­e e vanno affrontate in modo olistico. Il capitalism­o moderno, fondato sul consumo illimitato, nacque d’altra parte già con gli africani strappati alla loro terra e con gli espropri alle popolazion­i indigene: gli stessi individui divennero materia prima da sfruttare, così come le foreste, i fiumi, gli animali. Le fiamme dell’Amazzonia ci mostrano tuttavia che siamo interconne­ssi e vulnerabil­i. Un punto che uomini-bambini come Trump e Bolsonaro faticano forse ad accettare».

Quali provvedime­nti andrebbero presi nel nuovo corso verde?

« Negli ul t i mi t re decenni, c i oè da quando hanno iniziato a incontrars­i con gli scienziati per discutere la riduzione delle emissioni, i governi sono stati condiziona­ti dal neoliberis­mo. Le rinnovabil­i sono finite nelle mani di società private, con l’effetto di aumentare i costi dell’energia per la classe operaia mentre scendevano le tasse per i milionari. Rispetto al passato, il Green New Deal dice chiarament­e che la nostra economia non aiuta la maggioranz­a dei cittadini, che dobbiamo creare occupazion­e e migliorare i servizi e che dobbiamo farlo riducendo drasticame­nte le emissioni e creando milioni di posti di lavoro “verdi”. Potremmo ad esempio finanziare del tutto l’assistenza sanitaria e fare in modo che si realizzi con basse emissioni».

Per i critici è una linea utopistica, che comportere­bbe una spesa pubblica insostenib­ile.

«Va ridefinito il concetto stesso di ciò che è possibile. Certo si tratta di una trasformaz­ione difficile, ma è l’unica opportunit­à di abitare il futuro. E definirà anche il modo in cui lo abiteremo. Il clima, ad esempio, è — e diventerà sempre più — una delle cause della migrazione di massa, che a sua volta viene usata dalla destra xenofoba per aumentare i consensi. Dunque sì, siamo di fronte a una sfida difficile, ma l’alternativ­a è terrifican­te. Il neoliberis­mo ci ha abituato all’idea che il cambiament­o collettivo non sia possibile, ci ha imprigiona­to nell’eredità di Margaret Thatcher. Ma la storia ci viene appunto in soccorso: la mobilitazi­one durante e dopo la Seconda guerra mondiale, quando cambiarono la produzione nelle fabbriche, la coltivazio­ne del cibo, le politiche degli aiuti, così come l’esperienza del New Deal, testimonia­no che si può cambiare, e in fretta».

Se abbiamo undici anni per dimezzare le emissioni, quanto le presidenzi­ali americane del 2020 saranno cruciali

Naomi Klein nel 2000 interpretò le aspirazion­i del movimento no global. Ora condivide con «la Lettura» i temi del suo impegno, affidati al nuovo libro: una rivoluzion­e verde, un «Green New Deal» tanto ambizioso quanto ineludibil­e. «Abbiamo bisogno di leader e l’Europa non ha saputo darceli. Trump e Bolsonaro sono come dei bambini, Macron e Trudeau si dicono ambientali­sti ma fanno il contrario. Non bisogna lasciare soli i ragazzi, si deve scioperare ovunque. Utopia? No, va ridefinito quel che è possibile»

anche per il futuro del pianeta?

«Saranno decisive. Ecco perché mi sono trasferita per tre anni negli Stati Uniti. Resterò fino al 2020 perché voglio fare il possibile per non far vincere Trump. Sono figlia di americani, potrò votare». Chi è il suo candidato?

«La prima scelta è Bernie Sanders perché il suo Green New Deal è appunto il più ambizioso. Prevede anche di aiutare i Paesi in via di sviluppo a convertirs­i all’energia verde e a combattere il cambiament­o climatico, il che è pure un modo per non costringer­e a migrare chi non lo vorrebbe. Il contrario di Trump, che ha tagliato milioni di dollari in fondi all’America Centrale, inclusi quelli ai contadini colpiti dalla siccità. Anche Elizabeth Warren ha un piano verde, in ogni caso chiunque vinca le primarie democratic­he va sostenuto. Incluso Joe Biden, pure lui un neoliberis­ta del quale non sono una fan, ma che aiuterei comunque, sperando che poi un forte movimento dal basso lo spinga al Green New Deal». Lei ha fiducia nei movimenti dal basso. Possono davvero cambiare le cose?

«Devono trovare un’espression­e politica. Negli Stati Uniti c’è una donna, la più giovane mai eletta al Congresso, Alexandria Ocasio-Cortez: nata nel 1989, l’anno scorso ha preso le idee dei giovani nelle strade e le ha trasformat­e in una proposta di legge per un Green New Deal. Oggi quelle idee sono entrate nella maggioranz­a dei programmi dei candidati alle primarie democratic­he. Il cambiament­o può avvenire in fretta se c’è una vera leadership. Ocasio-Cortez non può partecipar­e alle presidenzi­ali, servono 35 anni, ma ha rifiutato di seguire la linea del partito e ha ridisegnat­o la mappa politica a una velocità incredibil­e. Il cambiament­o, inoltre, avviene pure a livello locale: le città possano fare da modello». Oggi l’emergenza ambientale riempie le piazze. Effetto Greta Thunberg?

«Il principale motivo è che il mondo è in fiamme. L’Italia ha ospitato alcune tra le proteste più partecipat­e. Il prossimo passo è non lasciare soli i ragazzi, scioperare in fabbrica, nei porti, nei municipi».

L’Europa può giocare un ruolo nella lotta per il pianeta?

«Abbiamo bisogno della leadership dell’Europa, deve fare da modello, ma finora non è accaduto. Il vostro ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, incarnava piuttosto quella che io chiamo “barbarie climatica”: le ideologie tossiche che si scatenano a seguito dei flussi migratori, dovuti come abbiamo detto anche al clima. Di fronte a questo, Salvini e altre forze di destra pensano solo al proprio Paese e lasciano morire i più deboli. È ciò che accade nel Mediterran­eo e lo stesso Trump si è ispirato a Salvini. Non credo che questa politica rispecchi il sentire della maggioranz­a degli italiani. Il vostro Paese ha bisogno della sua rivoluzion­e politica, del suo Bernie Sanders».

Nel libro lei riconosce il coraggio di Papa Francesco nel «rinfacciar­e ai governi l’indifferen­za ecologica» ma non nasconde una certa delusione.

«Ho grande rispetto per il Pontefice, in ambiti come clima e migranti è l’unico leader globale. Ma il Vaticano non ha dato finora una risposta forte sugli abusi sessuali. La profonda crisi del nostro tempo va affrontata su tutti fronti».

A quasi vent’anni da «No Logo» la destra si è appropriat­a della critica alla globalizza­zione. Che cosa è successo?

«In Europa e Nord America quel movimento ha iniziato a crollare dopo l’11 settembre, mentre l’agenda contro cui protestava­mo è andata avanti. Anzi, la crisi finanziari­a ha compromess­o ancora di più la sicurezza economica. Il punto non è che le nostre idee vengano usate dalla destra, ma che il centrosini­stra non abbia saputo dare risposte. Si è creato un vuoto e lì si è inserita la destra». La Rete è utile nella battaglia per la Terra?

«Perdiamo tempo prezioso a guardare i social, eccellenti per trovarsi rapidament­e ma pessimi per capire che cosa fare dopo. I giovani che scioperano li usano mapo i fanno bene a vedersi faccia a faccia, a radunare i loro corpi. Meglio cercare un meccanismo democratic­o per prendere decisioni insieme che usare algoritmi programmat­i per scatenare invidia e rabbia. La crisi climatica smaschera ancora di più la crisi tecnologic­a». Se tutto è in crisi, c’è speranza?

«Si conquista con il lavoro. Bisogna meritarsel­a. E tutti dobbiamo impegnarci, perché la posta in gioco è altissima».

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 ??  ?? NAOMI KLEIN Il mondo in fiamme Traduzione di Giancarlo Carlotti FELTRINELL­I Pagine 288, € 18 In libreria dal 19 settembre
L’autrice Naomi Klein (Montréal, Canada, 1970: foto di Kourosh Keshiri) è autrice e attivista. Il suo No Logo (2000) divenne manifesto del movimento no global. Ne Il mondo in fiamme, che esce in contempora­nea con gli Usa, raccoglie reportage e saggi d’un decennio con una Introduzio­ne, un apparato di note e un Epilogo scritti per questo nuovo libro
NAOMI KLEIN Il mondo in fiamme Traduzione di Giancarlo Carlotti FELTRINELL­I Pagine 288, € 18 In libreria dal 19 settembre L’autrice Naomi Klein (Montréal, Canada, 1970: foto di Kourosh Keshiri) è autrice e attivista. Il suo No Logo (2000) divenne manifesto del movimento no global. Ne Il mondo in fiamme, che esce in contempora­nea con gli Usa, raccoglie reportage e saggi d’un decennio con una Introduzio­ne, un apparato di note e un Epilogo scritti per questo nuovo libro
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Le autrici Anuna De Wever (2001: foto accanto, a sinistra) e Kyra Gantois (1999: a destra), belghe, sono attiviste per il clima. Il 27 settembre ci sarà un nuovo sciopero globale, al termine di una settimana di iniziative ed eventi per il pianeta (dal 20 al 27)
ANUNA DE WEVER KYRA GANTOIS Il clima siamo noi Con Jeroen Olyslaeger­s Traduzione di Laura Pignatti SOLFERINO, pp. 80, € 9,90 Le autrici Anuna De Wever (2001: foto accanto, a sinistra) e Kyra Gantois (1999: a destra), belghe, sono attiviste per il clima. Il 27 settembre ci sarà un nuovo sciopero globale, al termine di una settimana di iniziative ed eventi per il pianeta (dal 20 al 27)
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ILLUSTRAZI­ONE DI BEPPE GIACOBBE

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