Corriere della Sera - La Lettura
Mangio, amo e mi ribello A una certa età sei più libera
Rinascite Elizabeth Gilbert svela il nuovo libro sulla New York d’antan
Un milione e 700 mila follower su Facebook, 830 mila su Instagram: Elizabeth Gilbert, oltre che autrice di bestseller, è quasi un guru per la community di fan e lettori. Il memoir Mangia prega
ama (2007) è rimasto duecento settimane nella classifica del «New York Times», ha venduto 13 milioni di copie. Tradotto in 30 Paesi, ha cambiato la vita di migliaia di donne che, ispirandosi alla vicenda narrata nel libro, sono riuscite a rinascere dopo una dolorosa rottura sentimentale. Nel 2010 il film, tratto dal romanzo, con Julia Roberts come protagonista, è stato un blockbuster. Le fan hanno continuato a seguire le esortazioni a ottimismo e positività, consigli costruttivi diventati anche oggetto di un intervento in un Ted Talk.
Nel 2016 l’autrice ha archiviato il secondo marito, il brasiliano incontrato a Bali, in Indonesia, che in
Mangia prega ama aveva fatto sognare tutte le lettrici, perché aveva capito di amare una donna, la migliore amica. Stupore è serpeggiato nella community, con cui la Gilbert si confida quasi ogni giorno. E dopo la drammatica morte della fidanzata, è arrivato un nuovo legame. Con un fotografo inglese presentato ai fan qualche mese fa, in un post su Instagram. «La vita è pericolosa e fugace, perciò non è il caso di privarsi del piacere e dell’avventura», è il mantra che Elizabeth Gilbert applica con sincerità e coerenza. Si ribella alle convenzioni e predica il diritto alla spontaneità, lo fa a 360 gradi: sui social, nei podcast e anche nei libri.
Il più recente La città delle ragaz
ze (Rizzoli) è un’educazione sentimentale ambientata a New York. Inizia negli anni Quaranta e prosegue per decenni, raccontando la storia di Vivian, una ragazza ribelle di buona famiglia, allontanata da casa per evitare scandali e guai e «adottata» da una zia che vive nella Grande Mela dove gestisce uno scalcagnato teatro di vaudeville.
Con una scrittura spumeggiante, dettagliatissima e molto cinematografica, l’autrice conduce il lettore nel mondo patinato e fatuo dello
showbiz di serie B. Tanta polvere di stelle condita da alcol e trasgressione.
Gilbert svela a «la Lettura» come sia nata l’idea di questo libro e come sia riuscita a sopravvivere, senza perdere l’equilibrio, al successo planetario di Mangia prega ama. «Per fortuna sono molto disciplinata, mi sono ribellata a quasi tutto ciò che mi ha insegnato mia madre ma la ringrazio per il senso del dovere che ha insistito a inculcarmi sin da bambina. Quando devo lavorare mi ap
plico senza fare troppe storie. Atteggiamento che mi ha aiutata a continuare a scrivere dopo Mangia prega
ama, la paura di non riuscire a produrre un altro buon libro non mi ha bloccata. Scrivere è il mio lavoro, voglio essere professionale e cerco di farlo senza troppi retropensieri e angosce».
«La città delle ragazze» è un tributo affettuoso a New York, un vero salto nel tempo con i locali notturni di Harlem, le soubrette in cerca di fortuna e la vita sgangherata dei teatranti, nel periodo prebellico. Come è riuscita a ricostruire tutto così minuziosamente?
«Quando ho un progetto ne parlo apertamente. Non ho paura che qualcuno mi soffi l’idea. Così raccontando della mia curiosità sul mondo dello spettacolo degli anni Quaranta, un’amica mi ha presentato una donna straordinaria. Norma Amigo, ultranovantenne ma ancora lucida, era stata una soubrette nei teatri newyorkesi proprio in quel periodo. Sono andata a trovarla e mi ha confidato tutto del suo passato. Lavorava come ballerina nei teatri di Broadway, era avventurosa e bellissima. Ha avuto un sacco di amanti ed è stata anche la fidanzata di John Wayne. Solo dopo avere parlato con lei ho capito che la mia idea del romanzo poteva diventare realtà».
«La città delle ragazze» si snoda per quasi 500 pagine. Quanto tempo ha impiegato a scriverla?
«Oltre a parlare con Norma Amigo, ho fatto ricerche per due anni. Descrivere con precisione un periodo storico è difficile come imparare una nuova lingua. Poi l’effettiva stesura di un romanzo è piuttosto veloce. Scelgo nel calendario un periodo dove non ho alcun impegno e blocco alcuni mesi. Mi ritiro in campagna e faccio vita da eremita, ho contatti solo con il mio cane. Mi alzo all’alba e lavoro al computer fino all’ora di pranzo. Poi il mio cervello si spegne, al pomeriggio faccio passeggiate con il cane, guardo la televisione, leggo e alle 20 vado a letto. Così tutti giorni».
Nel romanzo c’è molto sesso ma trovano spazio anche tanto amore e considerazioni sulla vita profonde e commoventi. Soprattutto nell’ultima parte, quando Vivian è invecchiata e sembra più lucida e serena.
«Ho cercato di confutare l’idea, secondo me troppo banale, che la giovinezza sia il tempo della libertà e della spensieratezza. Spesso è invece con l’età matura che si diventa finalmente più consapevoli e anche più felici. Perché si ha il coraggio di infischiarsene delle aspettative che gli altri hanno su di noi».
Nel libro tutti i personaggi più affascinanti sono di origine italoamericana. Dobbiamo prenderlo come un complimento?
«Certo! Per me siete i migliori, adoro il vostro Paese e appena posso scappo a Roma, la mia città del cuore. Dopo New York, naturalmente!».