Corriere della Sera - La Lettura

Reality, realtà Èil neo- Esodo

- Di RANIERI POLESE

Vermes, già autore di «Lui è tornato» su Hitler redivivo, affronta le migrazioni

Questa è un’opera di finzione, dichiara Timur Vermes, ma non per questo i fatti raccontati sono improbabil­i. Se è vero, infatti, che nel 2016 nel mondo, secondo stime dell’Onu, c’erano circa 70 milioni di persone in fuga, l’idea di 150 mila migranti che, a piedi, si mettono in marcia per raggiunger­e la Germania può apparire fantasiosa ma non impossibil­e. A dare il via a questo esodo sarà la presenza nell’enorme campo dei rifugiati nel deserto del Sahara della troupe di un programma di successo della tv commercial­e MyTv, che trasmette giorno per giorno scene di vita dei milioni di disperati che vorrebbero riuscire a passare in Europa.

Di questo si tratta in Gli affamati e i sazi, uscito l’anno scorso in Germania e ora pubblicato da Bompiani nella traduzione di Francesca Gabelli. Vermes, nato a Norimberga nel 1967 da madre tedesca e padre ungherese fuggito da Budapest nel 1956, è diventato famoso nel mondo con il suo primo romanzo Lui è tornato (2012, in Italia 2013, sempre Bompiani), che ha venduto oltre due milioni di copie in Germania ed è stato tradotto in 41 lingue. Satira amara sul fascino che ancora oggi può esercitare l’Uomo forte (risvegliat­osi nel 2011, Hitler diventa il più popolare ospite dei talkshow) quel libro ha dato origine nel 2015 al film del tedesco David Wnendt e ha ispirato l’equivalent­e italiano Sono tornato, di Luca Miniero, con Mussolini al posto del Führer.

L’arrivo nel Sahara de L’angelo dei poveri e della sua conduttric­e, la superstar Nadeche Hackenbusc­h, offre l’occasione a Timur Vermes di ridicolizz­are la costruzion­e dei reality show: viene fatto un casting fra i migranti per trovare i più telegenici, che parlino inglese, e dimostrino di saper stare davanti alla telecamera con di s i nvolt ura. Ma non bast a , c ’è pure un’inviata del magazine «Evangeline» incaricata di realizzare un servizio di moda con le donne dei migranti. Dalla selezione fra i giovani maschi esce vincitore Lionel, ribattezza­to così per la frase che pronuncia durante il provino: « The name of the man means nothing to the lion », il nome dell’uomo al leone non significa nulla. Sarà lui ad accompagna­re Nadeche Hackenbusc­h a visitare le mense, l’infermeria, i container adibiti a dormitorio. E inevitabil­mente fra la wonder woman della ricca Germania e il ragazzo che spera, grazie a lei, di poter andarsene dal Lager, nasce una simpatia che diventa subito amore.

Da lontano, il regista, attento ai numeri crescenti di audience e gradimento, decide di puntare sul sentimento anche se ormai in Germania — la fiction immagina che Angela Merkel sia stata fatta fuori e il nuovo governo non voglia più le frontiere aperte — è tramontata la solidariet­à con i migranti, e l’estrema destra riscuote sempre più consensi. Come nelle favole, l’amore opera miracoli. Lionel convince Nadeche a guidare una pacifica fuoriuscit­a dal campo a cui parteciper­anno 150 mila migranti. Ai piani alti di MyTv si diffonde il panico ma le risposte degli spettatori convincono l’emittente a proseguire il programma, un giorno dopo l’altro fino a destinazio­ne.

Se Nadeche grazie al suo compagno scopre finalmente i veri bisogni di una umanità che non ha niente a che fare con le storie truccate dell’Angelo dei poveri, la grande fuga è resa possibile da un accordo stipulato da Lionel con un boss del campo: i migranti in marcia versano ogni giorno, dai loro smartphone, 5 dollari sul conto del boss, che in cambio assicura rifornimen­ti di acqua e cibo lungo le tappe del viaggio. Cinque dollari al giorno, in fondo, sono poca cosa rispetto alle cifre ormai altissime che chiedono i passatori e gli scafisti per far attraversa­re il Mediterran­eo. Come gli ebrei di Mosè, anche i disperati del campo passano il Mar Rosso, poi, dalla Giordania alla Siria alla Turchia, procedono grazie ancora una volta all’intervento di Lionel. Che assicura i diversi governi che i migranti non si fermeranno, e che anzi, strada facendo, accolgono altri rifugiati che si uniscono alla lunga marcia, ormai giunta a contare circa 300 mila persone.

L’arrivo in Europa, però, diventa un problema serio. E il governo tedesco, non riuscendo a convincere la Bulgaria, gli Stati della ex Jugoslavia e l’Austria a impedire il passaggio, deciderà di costruire un muro al confine con l’Austria. Che ricorda il Muro di Berlino, è vero, però i ministri sono terrorizza­ti dalla crescente xenofobia del Paese e optano per lo sbarrament­o. Contro il quale si ammasseran­no le tantissime migliaia di migranti, nella speranza che la favola ancora una volta abbia la meglio sulla realtà.

Se nella satira su Hitler ritornato Vermes prendeva di mira il populismo reazionari­o in ascesa, qui si confronta con la questione dolorosa e terribile della grande migrazione. E se fino a un certo punto si ride (i reality show, il giornalism­o people, il cinismo dei dirigenti delle reti tv e la grottesca superficia­lità delle star del piccolo schermo), quando il gioco si fa duro nel romanzo prende il sopravvent­o un tono grave e angosciato. I governanti che non vogliono capire le ragioni di questo esodo tragico ripetono la frase: «Nessuno può spiegare perché le balene a un certo punto finiscono spiaggiate». Chi prova a replicare che non si tratta di balene ma di esseri umani non viene neppure preso in consideraz­ione. Così i politici del romanzo finiscono per assomiglia­re sempre di più ai politici europei che ignorano le migliaia di morti riparandos­i dietro il Trattato di Dublino.

Certo, nell’economia del romanzo, l’immagine dell’esodo biblico è suggestiva, la satira fino a un certo punto funziona perché smaschera la meschina pochezza dei politici, lo stupido narcisismo delle star televisive e dei giornalist­i, l’ipocrisia dei padroni dei media, ma quando a occupare la scena arriva la dura realtà non bastano più le caricature. Il sogno dei migranti è destinato a finire male, la favola e la satira vanno a sbattere contro una tragedia su cui non si può più ridere. La risurrezio­ne di Hitler con i suoi baffetti e le sue farneticaz­ioni avevano ancora una loro leggerezza che non è più permessa quando si parla di morti a migliaia che non sono solo invenzioni della fiction ma sono la tremenda cronaca di ogni giorno. Il Vermes satirico si arrende, il suo libro si trasforma in un atto di denuncia. E qui sta il suo maggior merito.

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