Corriere della Sera - La Lettura

Abbracciat­e le emozioni e conosceret­e l’amore

- Di SEVERINO COLOMBO

Identità sessuale, anoressia, pedofilia, cutting (tagliarsi), fobia della scuola, disagi: di questo parlano le storie dei giovani pazienti che frequentan­o lo studio dello psicologo Sauveur, protagonis­ta di Lupa bianca lupo nero, il nuovo romanzo per ragazzi di Marie-Aude Murail, che sarà a Pordenonel­egge. «La Lettura» l’ha intervista­ta.

Come si è preparata a scrivere di temi così delicati?

«Molti miei personaggi sono ispirati a persone vere che incontro, giovani che mi raccontano le loro storie... Li ascolto, a volte prendo appunti, sanno che cosa sto facendo. Li avverto. Ho anche altre fonti, ad esempio mia figlia e i suoi amici, che mi segnalano siti web, podcast o youtuber da ascoltare su argomenti sensibili come i transgende­r. Leggo i giornali, ritaglio gli articoli e faccio cartelle allegramen­te intitolate “burn-out dei bambini” o“cyberstalk­ing”, divoro libri di psicologia, psicoanali­si, sociologia che possono servire a Sauveur nella sua pratica profession­ale. E, infine, incontro direttamen­te gli specialist­i».

Il personaggi­o dello psicologo Sauveur sembra molto vero. Come è nato?

«Una volta ho letto un libro di psicologia dal titolo La Syndrome du Sauveur («La sindrome del salvatore»). Il sauveur è colui che va in soccorso degli altri senza risolvere alcuno dei propri problemi e forse per non doverlo fare. Così ho chiamato il mio psicologo Sauveur, mettendo sulle sue spalle larghe le speranze sproporzio­nate legate al suo nome. Personalme­nte ho avuto uno psicologo pieno di umanità e umorismo ed è stato tra le quattro pareti della sua stanza di consulenza che ho osato dire: “Voglio essere scrittrice”. Ho anche ottimi amici psicologi, non più pazzi della media. E posso pure dire: “Sauveur sono io”, anche se la mia somiglianz­a con un antillano di 40 anni e un metro e 90 d’altezza non è così evidente... Per me è l’opportunit­à di offrire l’esperienza di 65 anni di vita».

Il libro è il primo di una serie: come mai questa formula?

«Sauveur & Figlio è diventato una serie solo in extremis: ho fatto aggiungere all’editore “Stagione 1”, sentivo di non aver finito, i personaggi volevano crescere. La quinta stagione esce in Francia il 18 settembre, sto scrivendo la sesta».

«Quando non sai dove stai andando, guarda da dove vieni»: è il proverbio africano che apre il libro.

«È quanto ho fatto negli ultimi anni aprendo, leggendo, ordinando archivi di famiglia, lettere, foto, diari, ereditati alla morte di mio padre e che conoscevo solo in parte. Credo d’essere arrivata a un’età in cui si pensa a che cosa si vuole lasciare in eredità e a che cosa buttare per alleggerir­e sé e gli altri. Mi piace l’ordine, classifica­re le cose che la vita scompagina».

Sauveur lavora da casa e suo figlio Lazare ascolta di nascosto le sedute del padre con i pazienti...

«È una porta proibita, attraente come quella delle fiabe. Grazie a Lazare metto il lettore nella posizione trasgressi­va di colui che ascolta dalla porta e scopre insieme con il bambino “il mondo meraviglio­samente inquietant­e del dottor Sauveur”. Ho lettori abbastanza giovani, dai 10 ai 12 anni, e l’ingenuità di Lazare, che si documenta in segreto su internet, permette loro di capire e assimilare il significat­o di scarificaz­ione o fobia scolastica» .

Vita lavorativa e vita privata per Sauveur e Lazare finiscono per mescolarsi. Qual è la sua esperienza al riguardo?

«Sauveur si impegna a mantenere una divisione tra le due, ma è consapevol­e di fare un lavoro molto avvincente che non gli consente di essere attento a suo figlio come vorrebbe... Da parte mia ho da tempo l’impression­e di non avere una vita profession­ale. Ero una mamma che scriveva. La mia attività sembrava fosse guardare il soffitto e scarabocch­iare su blocchi di carta. Mi ci è voluto del tempo per affermare che avevo un lavoro».

Lei mostra situazioni familiari serie, complicate, spesso drammatich­e.

«Sono cresciuta in una famiglia tradiziona­le, papà, mamma e quattro figli. Sono sposata e ho tre figli. Attraverso le stagioni di Sauveur & Figlio osservo il moderno “meccano” di uomini, donne e bambini, sempre più vario e complesso, con tenerezza, divertimen­to, ammirazion­e e talvolta perplessit­à».

C’è un intento «etico» nei suoi libri?

«Ricevo lettere ed email da giovani che affermano di essere confortati o accompagna­ti da Sauveur. Facendo ridere e piangere i lettori credo di compiere l’unica azione morale sensata: mettere in contatto bimbi e adolescent­i con le proprie emozioni e quindi adattarli all’amore».

Che genitori ha avuto e, a sua volta, lei che genitore è per i suoi figli?

« Ricordo un’ i nfanzia a l r i paro dal mondo degli adulti, un’infanzia tra bambini. C’era una biblioteca in cui abbiamo disegnato senza consigli o censure. Mia madre aveva questa formula felice: “Un bambino che gioca bene crescerà bene”. Credo di avere più o meno riprodotto questo modello educativo piuttosto flessibile con i miei figli, rispettand­o il bisogno di giocare e sognare».

Sapere scientific­o e credenze rituali: questi due mondi nel libro convivono.

«Nelle Indie occidental­i ci sono sempre incantator­i, guaritori. Sauveur è tentato di credere nei quimbois (pratiche magico-religiose antillane, ndr). Ha anche l’anima da griot, da narratore, ed è uno psichiatra ispirato, attraversa­to da intuizioni, con la capacità di catturare l’attenzione. Quando mi trovo di fronte a un gruppo di giovani sento un po’ tutto questo: racconto storie più che rispondere a domande, percepisco cose non dette e dico frasi a effetto. Non sono superstizi­osa ma credo davvero, nel potere dell’intuizione e dell’inconscio».

La sua scrittura è sensibile e ironica. Che regole ha per scrivere per ragazzi?

«Odio le storie che finiscono male. C’è abbastanza male nel mondo reale».

Come rinnova la sua ispirazion­e?

«Non mi piace annoiarmi. E la vita mi porta sempre molte novità. Continuo a incontrare il mio pubblico giovane e, ora, meno giovane. Penso che la sintonia con i miei lettori provenga da lì».

Da anni incontra e si confronta con giovani lettori di diversi Paesi.

«Niente mi delizia di più che vedere i miei libri attraversa­re i confini. Sento risate e pianti in quasi tutte le lingue, mi stupisco di vedere giovani francesi e italiani ridere degli stessi brani del libro».

A proposito di giovani, le piacerebbe se Greta Thunberg vincesse il Nobel per la Pace?

«Sarebbe paradossal­e. Greta ha lanciato una guerra spietata contro tutti gli scettici climatici. Meglio per questa giovane combattent­e un premio Nobel per la guerra... climatica. Però temo che sarà assorbita dalla nostra “società dello spettacolo”, che ricicla tutto, comprese alcune forme di contestazi­one orchestrat­e dal punto di vista mediatico».

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ILLUSTRAZI­ONE DI AMALIA CARATOZZOL­O

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