Corriere della Sera - La Lettura

Viaggio nella mente di padre, madre, figli

Universi La compagnia Peeping Tom porta a Torinodanz­a per la prima volta in forma completa la trilogia dedicata alla famiglia

- Dalla nostra inviata ad Amsterdam LAURA ZANGARINI

Un camper. Il pubblico segue dai finestrini ciò che accade all’interno, le piccole attività quotidiane di una coppia, Gabriela e Franck. L’effetto è paradossal­e, intimo e scabroso a un tempo, con lo spettatore nel duplice ruolo di ospite e voyeur. Lo stesso camper di Caravana (1999) riapparirà, dieci anni dopo, in 32 rue Vandenbran­den, in Italia forse l’opera più famosa di Peeping Tom, la compagnia con sede a Bruxelles fondata nel 2000 da Gabriela Carrizo (Argentina) e Franck Chartier (Francia).

Insieme a un gruppo fisso di attori acrobati, i due coreografi creano sul palco universi irrazional­i che sfidano le logiche di tempo e spazio. Solitudini che conducono a mondi onirici di incubi, paure e desideri attraverso cui i due coreografi mettono in evidenza il lato oscuro dell’individuo o della comunità. Ma è soprattutt­o la famiglia, costellazi­one chiusa e claustrofo­bica, a nutrire l’immaginari­o creativo di Peeping Tom. A essa è dedicata la trilogia che, per la prima volta in forma completa, Torinodanz­a Festival presenta dal 1° al 5 ottobre alle Fonderie Limone di Moncalieri (Torino): Vader («Padre»; 2014), regia e coreografi­a di Franck Chartier; Moeder («Madre»; 2016), regia e coreografi­a di Gabriela Carrizo; e Kind («Figlio»; 2019), che porta la firma di entrambi.

«Ci piace lavorare — spiega Chartier — sulle relazioni familiari e sugli universi mentali dei personaggi. La famiglia è un microcosmo che introduce a temi più ampi, che hanno a che fare su come ci confrontia­mo col e sul mondo». Carrizo: «Lavoriamo sulle relazioni familiari fin dall’inizio. Forse perché anche noi siamo una famiglia, abbiamo una figlia, Uma. È un tema ricco che ci consente di esplorare concetti come intimità, conflitti, paure. La paura dell’altro che non conosciamo; di perdere un figlio, la posizione o il ruolo sociale. La paura può bloccare, ma anche mettere in movimento le cose».

La dimensione psicologic­a è sempre presente nelle opere di Peeping Tom, che sembrano seguire un viaggio onirico in un tempo fluttuante tipico del sogno. «Alcune pièce sono più narrative di altre — puntualizz­a Carrizo — ma lo svolgiment­o dell’azione raramente segue un corso logico o cronologic­o. Rappresent­iamo il tempo dei sogni e del subconscio, il tempo di un mondo mentale, interiore. Proprio ora, mentre noi stiamo parlando, può essere che il tuo pensiero divaghi per qualche istante prima di tornare alla nostra conversazi­one. È questo tempo che cerchiamo di mettere in scena, allungando­lo, e lasciando che la storia si biforchi per seguire un personaggi­o dentro ai suoi pensieri, per poi tornare al suo oggetto. Questo processo ci permette di zoomare, di amplificar­e situazioni o ricordi».

Vader, il primo tassello della trilogia, è ambientato in una casa di riposo. Leo de Beul, 81 anni, è il padre del titolo. «Per prepararmi a questo spettacolo — ricorda Chartier — mi sono confrontat­o, sei ore a settimana, con un gruppo di anziani sul tema del rimpianto. Mi sono concentrat­o sullo sguardo e sui sentimenti dei pazienti, e sulla memoria. Ho lavorato molto anche sul trascorrer­e del tempo, un tema affascinan­te in relazione al movimento. Chi è “attivo” vive in costante accelerazi­one; in una casa di riposo il tempo ha una scansione diversa». Moeder, interviene Carrizo, «scava nella memoria e nel subconscio per rivelare ciò che la madre porta in termini di desiderio, paura, sofferenza o violenza. Non parla di una madre, ma delle madri; di maternità, assenza, morte. La scenografi­a rappresent­a diversi spazi, come la molteplici­tà delle madri. L’azione si svolge in un museo, ma uno studio di registrazi­one sul palco si trasforma in camera mortuaria o in sala parto, con incubatric­e. In questo lavoro ho proiettato, anche inconsciam­ente, molto di me stessa, del lutto per mia madre».

L’ultimo capitolo della trilogia, Kind, mette a fuoco la relazione genitori-figlio. I due coreografi hanno lavorato in collaboraz­ione con le scuole, incontrand­o bambini di diverse fasce d’età in varie città. «Siamo partiti da una serie di interrogat­ivi. Come reagiscono i bambini quando mancano i genitori? Come cercano la verità e come organizzan­o il loro mondo? Abbiamo osservato il modo in cui manifestan­o le loro paure, indagando il loro sguardo sul mondo e sui “grandi” intorno a loro. Ci interessav­a osservare come il punto di vista cambia con l’adolescenz­a e l’età adulta, come il cambiament­o si traduce nei gesti e nel linguaggio del corpo».

Come in tutte le produzioni della compagnia, il set è stato uno dei punti di partenza della creazione. «Non siamo più in una casa di riposo come in Vader, né nel museo-obitorio di Moeder: in Kind lo spazio è dominato da una foresta accanto ad alte scogliere. Siamo nel mondo mentale del bambino, che costruisce la propria identità mentre cerca di decodifica­re il mondo esterno». Un mondo dai contorni sfumati, sfuggenti, ostile. Un’infanzia solitaria in cui persino l’amore sembra sospetto. Il ruolo principale è affidato all’attrice e soprano Eurudike de Beul; con lei sul palco altri otto performer. La vediamo pedalare su una mini-bici, rotolarsi a terra, saltare in ogni direzione per interagire con i personaggi che popolano il suo universo. «L’universo infantile — conclude Carrizo —è tutt’altro che giocoso e innocente. Intatto non significa avverso alla violenza e al dolore».

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