Corriere della Sera - La Lettura

David Ben Gurion Nostalgia di un padre

- Di LORENZO CREMONESI

Israele Tom Segev, giornalist­a e studioso, ha pubblicato la biografia definitiva di uno dei fondatori dello Stato nato nel 1948. Tutto è partito da un incontro nel deserto, nel 1968. «Mi ritrovai faccia a faccia con l’essenza stessa della storia ebraica contempora­nea». Una figura che nel Paese non ha perso il suo carisma mentre il premier, «Bibi» Netanyahu, cerca il 17 settembre l’ennesima consacrazi­one elettorale

Aveva 82 anni David Ben Gurion nel 1968, quando l’allora ventitreen­ne Tom Segev andò a intervista­rlo per il giornale degli studenti dell’Università ebraica di Gerusalemm­e. Fu un lungo viaggio che sfiorava i territori della Cisgiordan­ia conquistat­i dall’esercito israeliano nella guerra dei Sei Giorni, appena un anno prima. Giù, verso sud, passando per Beersheva, percorse stradine accidentat­e che oggi sono diventate scorrevoli autostrade a quattro corsie. E poi ancora più avanti, nel cuore del deserto del Negev, con le carcasse ancora visibili dei mezzi egiziani distrutti nei combattime­nti del 1948-49. Testimonia­vano il conflitto che aveva incoronato Ben Gurion, «padre fondatore», addirittur­a «profeta», «messia» vincente del nuovo Israele. Raggiunse Sde Boker, il kibbutz dove Ben Gurion si era ritirato più volte, anche durante i mandati da primo ministro e dove avrebbe trascorso gli ultimi giorni gran parte in solitudine, a indicare la sua concezione del sionismo attivo, costruttor­e, capace di «trasformar­e il deserto in giardino». «Fu un colloquio per molti versi strabilian­te. Credevo — dice Segev — che avrei incontrato uno statista in pensione, pronto a fare il bilancio della sua vita. Mi ritrovai faccia a faccia con l’essenza stessa della storia ebraica moderna e contempora­nea. Ricordo che, pur con la sua celebre criniera di capelli bianchi, Ben Gurion appariva gracile, più minuto di quanto pensassi. Ma i suoi occhi guizzavano intensi, a tratti quasi assenti in pensieri distanti, e subito dopo inquisitor­i, attenti. Chiese a me, giovane universita­rio inesperto, che cosa ritenevo avremmo dovuto fare dei territori appena conquistat­i agli arabi. Faceva domande prima di rispondere, voleva conoscere l’interlocut­ore. Aggiunse che dovevamo rendere i territori occupati in cambio di accordi di pace: era contrario alla presenza di troppi palestines­i in Israele. Si lasciò andare a confession­i personalis­sime, persino imbarazzan­ti. “Una volta dissi a mia moglie Paula che avrei voluto un secondo figlio maschio. Ma era contraria”. Fu uno dei tanti accenni a Paula, morta solo pochi mesi prima».

Ben Gurion raccontò a Segev della sua infanzia a Plonsk, in Polonia, del suo arrivo da pioniere idealista in Galilea nel 1906. «“Già a tre anni sapevo che non sarei morto a Plonsk. Io e i miei compagni nella piccola scuola della comunità ebraica eravamo tutti sionisti”, mi disse. A tre anni? Sembrava impossibil­e. Ma poi mi resi conto quanto il nazionalis­mo ebraico fosse l’essenza della sua esistenza. Sino alla morte, cinque anni dopo il nostro incontro, Ben Gurion è stato un sionista convinto, assolutame­nte assorbito dalla sua missione, pronto a sacrificar­e tutto e tutti, compresi affetti, familiari, amici e amori, per realizzarl­a. Senza questa premessa sarebbe difficile capirlo».

Fu in quell’occasione che iniziò la lunga incubazion­e di A State at Any Cost. The Life of David Ben-Gurion («Uno Stato a qualsiasi prezzo. Vita di David Ben Gurion»), la biografia del «grande vecchio», come lo chiamano ancora gli israeliani più anziani, appena tradotta in inglese, che conferma Tom Segev come uno tra i più importanti studiosi della storia di Israele. In questi 51 anni, lui è stato giornalist­a di punta per il quotidiano «Ha’aretz», commentato­re noto nel mondo, ha scritto opere fondamenta­li, che spaziano dal periodo del Mandato britannico alla guerra del 1967, all’Olocausto e alla sua strumental­izzazione da parte della politica israeliana e araba, toccando aspetti estremamen­te controvers­i della questione palestines­e. È evidente, leggendo quest’ultimo libro, che si tratta del risultato molto elaborato di letture, riflession­i e percorsi intellettu­ali legati intimament­e alla vita del suo autore.

Tom Segev, prima di tutto un parallelo tra Ben Gurion e Benjamin Netanyahu, alla vigilia delle elezioni parlamenta­ri del 17 settembre. Lo scorso 20 luglio Bibi ha superato la soglia dei 4.876 giorni da premier, battendo i 13 anni di Ben Gurion nei periodi 1948-54 e 1955-63. È il primo ministro più longevo della storiadel Paese. Quali sono le differenze tra i due leader?

«Enormi. Ben Gurion ha costruito lo Stato dal nulla, compresi i meccanismi moderni del suo funzioname­nto: l’esercito, la politica estera, l’economia. Minacciava costanteme­nte di dimettersi se non fosse stato ascoltato. Al contrario, Bibi è nato nel 1949, quando il sessantatr­eenne Ben Gurion era già premier e capo carismatic­o. È un gestore di ciò che i padri fondatori hanno creato. E si rivela attaccato al potere a costo di umiliazion­i vergognose, accusato di corruzione e irregolari­tà gravissime. Non a caso negli ultimi tempi la figura di Ben Gurion viene evocata di continuo da commentato­ri e mass media. C’è nostalgia per la sua pulizia morale, per il suo stile di vita spartano, quasi ascetico, rispetto a quello di Bibi. Anche se Ben Gurion non mancava di contraddiz­ioni profonde nella vita personale. Per esempio le numerose amanti, benché predicasse il puritanesi­mo della famiglia sionista completame­nte dedita all’epopea nazionale; oppure le spese incontroll­ate, con i fondi pubblici, per soddisfare la sua passione di bibliofilo impenitent­e. Soprattutt­o, si cercano leader che, come lui, non si limitino a sopravvive­re, ma abbiano una chiara visione del futuro e sappiano pianificar­e politiche di lungo periodo. Ben Gurion già nel 1919-20 ebbe intuizioni e progetti che seppe portare avanti con coerenza, nonostante infinite avversità e talvolta in totale solitudine, sino alla loro realizzazi­one con la nascita dello Stato nel 1948 e oltre».

E le similitudi­ni?

«Bibi ha accolto due massime fondamenta­li dalle politiche di Ben Gurion nei confronti dei palestines­i tutt’ora valide. La prima, improntata a un realistico pessimismo di fondo, fa ritenere che la questione palestines­e possa essere amministra­ta, governata, ma non sia possibile alcuna soluzione definitiva. E ciò conduce alla seconda, per cui lo Stato di Israele deve a tutti i costi evitare di avere troppi cittadini non ebrei all’interno dei suoi confini. Ben Gurion sin dai tempi della guerra d’indipenden­za fu contrario ad annettere la città vecchia di Gerusalemm­e e i quartieri arabi, come del resto si oppose alla conquista della Cisgiordan­ia, anche se i militari gli dicevano di poterlo fare molto rapidament­e nei primi mesi del 1949. Nel 1956, sotto la spinta della cooperazio­ne franco-britannica contro Nasser per la crisi di Suez, si lasciò indurre a invadere sia il Sinai sia Gaza. Ma poi fu ben contento di ritirarsi sotto la pressione congiunta di Usa e Urss. Bibi oggi, pur figlio del sionismo revisionis­ta, sta bene attento a non annettere i palestines­i».

Però annuncia che, se rieletto, annetterà la valle del Giordano e le colonie ebraiche in Cisgiordan­ia.

«Non c’è nulla di nuovo. Si tratta di progetti vecchi, condivisi anche da buona parte della sinistra laburista e da tempo, ormai. Bibi non intende annettere Gaza e tre milioni di palestines­i della Cisgiordan­ia, come invece vorrebbe la destra religiosa e fondamenta­lista, che pure fa parte della sua coalizione di governo».

Gli arabi accusarono spesso Ben Gurion di essere razzista. Lo fu?

«No. Assolutame­nte no. Non considerav­a gli ebrei superiori. Anzi, temeva il nazionalis­mo arabo e le sue capacità militari, tanto da ritenere che potessero prevalere. Queste convinzion­i le maturò in modo molto freddo e razionale già tre anni dopo l’arrivo in Palestina. Accadde nel 1909 nella comune agricola di Sejera, in Galilea, quando un gruppo di arabi uccise due suoi giovani compagni. Subito dopo scrisse una lettera al padre a Plonsk

«Ben Gurion disse che dovevamo rendere agli arabi i territori occupati in cambio di accordi di pace »

Precocità «Ben Gurion già a tre anni sapeva che non sarebbe morto a Plonsk, dov’era nato, in Polonia. Nella scuola della comunità ebraica locale lui e i compagni erano tutti sionisti»

Shoah «Non era razzista, assolutame­nte no: non considerav­a gli ebrei superiori. E nella sua visione il crimine più grave di Hitler fu che sterminò i cittadini del futuro Israele»

in cui sosteneva che non fosse possibile alcun compromess­o: era necessario che i lavoratori ebrei sostituiss­ero gli arabi, perché i due movimenti nazionali aspiravano alla stessa terra. L’unico modo per gli ebrei era convincere gli arabi che non potevano distrugger­li. È una logica che lo ha via via condotto a potenziare le nostre forze militari, a trovare un accordo con la Germania solo a pochi anni dalla Shoah per ottenere armi e fondi per il nostro esercito, e a costruire la bomba atomica».

Però fu ben contento di espellere gli arabi nella guerra d’indipenden­za.

«Sì, per lui era evidente che dovevano essere espulsi. E soprattutt­o che i profughi una volta fuggiti o scacciati non avrebbero più potuto tornare alle loro case e alle loro terre. Perciò fu contrario a invadere la Cisgiordan­ia e Gaza nel 1967, quando non aveva ormai più compiti di governo. Prevedeva giustament­e che poi ci saremmo trovati con una massiccia popolazion­e araba in casa. La sua accettazio­ne dei progetti di partizione della Palestina si basava sull’assunto per cui fosse meglio uno Stato piccolo nettamente ebraico di uno grande binazional­e».

Ma nel libro lei racconta che Ben Gurion suggerì perfino di abbattere le mura della Città Vecchia di Gerusalemm­e per annetterla.

«Sì, come del resto dopo la guerra dei Sei Giorni affermò perfino che le alture del Golan, strappate alla Siria, non fossero negoziabil­i. Questo fa parte delle contraddiz­ioni del personaggi­o, anche se, va ricordato, siamo ormai nel periodo della sua vecchiaia».

Quanto pesò l’Olocausto?

«Enormement­e. Nella sua visione sionistoce­ntrica il crimine più grave di Hitler fu che sterminò i cittadini del futuro Israele. Ben Gurion ebbe presto consapevol­ezza della dimensione dei massacri degli ebrei, già poco dopo l’invasione tedesca della Polonia. Ma avvertì il peso della sua impotenza. Non poteva farci nulla. Occorreva prima che gli Alleati sconfigges­sero i nazisti, quindi lui si concentrò a organizzar­e il futuro del Paese per accogliere i sopravviss­uti. Il dramma fu che nel 1945 quasi tutti erano morti. Così si adattò a far venire gli ebrei dei Paesi arabi. Ma erano “materiale umano”, come si diceva allora, assolutame­nte diverso dagli ebrei europei. Da una parte c’erano i pochi disperati usciti dai campi di sterminio e dall’altra i sefarditi poveri, privi di cultura, senza alcuna familiarit­à con il funzioname­nto di una moderna democrazia occidental­e. Ebbe il grande merito di continuare a reinventar­si, di adattarsi. Non a caso venne paragonato a Lenin per il pugno di ferro con cui controllav­a il governo e il partito laburista, per i suoi modi sovente brutali. Ma anche al Churchill della guerra, per il dinamismo che seppe imporre al Paese nei momenti più bui».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy