Corriere della Sera - La Lettura
L’impotenza violenta Un’altra storia di maschi
Ne di Vitaliano Brancati i personaggi si occupano quasi totalmente, ossessivamente, della questione del maschio. Forza, desiderio, conquista, status, anche invidia: c’è dentro tutto
tata succederanno molte cose): sua figlia, dopo tre anni di matrimonio, è identica a come era uscita da casa. I due non hanno mai consumato (e quindi per la Chiesa il matrimonio è nullo); e si scopre anche che Antonio ha fatto credere a Barbara (ignara delle cose del mondo) che per fare figli bastava stare abbracciati nel letto di notte. Antonio è impotente. Lo confessa a uno zio dopo settimane in cui è chiuso in camera. Lo è sempre stato ma all’inizio ogni tanto riusciva a portare a termine l’impresa, poi dopo una fallimentare notte con una straniera di cui si era molto innamorato, non è successo più niente: qui Brancati si scatena con le definizioni metaforiche dell’impossibilità dell’organo maschile di essere eretto. Suo padre, quando si rassegna alla verità, la risolve così: non ho più un figlio.
Si cerca di tenere segreta la cosa in una città di provincia curiosa e pettegola. Impossibile. «Il rumore di quello scandalo fu avvertito da tutta Catania come un boato dell’Etna. Antonio Magnano, il figlio di Alfio, il nipote di Ermenegildo, il bellissimo giovane che faceva alzare lo sguardo dal messale alla più santa delle ragazze, Antonio dagli occhi sempre addormentati, e chi non lo conosceva? (levavano una mano al disopra della testa per indicare ch’era alto o se la passavano dolcemente lungo le guance per dire che aveva un viso perfetto), Antonio, sì, proprio lui, quello, esattamente quello e non altri, ebbene Antonio con la moglie... niente! vi dico niente! assolutamente niente! Barbara Puglisi, dopo tre anni di matrimonio, non sa ancora cosa sia grazia di Dio».
Lo scandalo e la vergogna sono tali che gli amici di Antonio si sentono implicati e si scatenano: «Sembrava che l’onore di tutta la brigata avesse ricevuto un colpo, e parecchi di essi, nell’ansia di correre ai ripari, si comportarono male perfino con le mogli dei parenti». Antonio si chiude in casa e se passa in un’altra stanza fa chiudere prima le persiane, altrimenti i curiosi lo possono scorgere. Poi, dopo un paio di mesi, comincia a uscire, timidamente e in orari accorti. Ma a questo punto gli accade qualcosa di imprevisto, di sorprendente.
«Dal febbraio del 1939, da quando cominciò a uscire anche di giorno, Antonio dovette convenire che le donne gli lanciavano occhiate di così profonda soavità che egli era costretto a rallentare il passo ogni volta, come chi riceva sulla carne un tepore che lo snervi». È così, le donne cominciano a guardarlo e bramarlo allo stesso modo di quando immaginavano che fosse un animale incontentabile. A casa arrivano cumuli di lettere d’amore, con annessa richiesta di matrimonio, che sono divise in due categorie: la prima ha per interpreti donne innamorate e disinteressate al sesso («Vivere di solo amore spirituale, di sguardi, di parole, di comprensione: è stato sempre il mio sogno!») o che addirittura ne provano ribrezzo; sono felici di condividere un’esistenza in cui il corpo non è protagonista, e a loro sembra (forse giustamente) di avere così una prospettiva serena, radiosa. L’altra categoria è opposta; le lettere hanno questo tono: «Non appena avremo chiuso la porta, il sangue ti svamperà». Un’altra: «Una notte sul mio seno, e diventerai tutto un fuoco!». Un’altra: «Passa una mano sulla mia pelle, prova, ho fatto miracoli».
Insomma, nello stesso modo in cui prima tutte lo volevano per la sua fama di maschio, adesso tutte lo vogliono per la sua fama di impotente; lo vogliono salvare, sia assecondandone la vita tranquilla sia essendo certe