Corriere della Sera - La Lettura

Prigionier­o dell’Oceano per volere dell’Australia

- Di BEHROUZ BOOCHANI

Poeta curdo in fuga dall’Iran, Behrouz Boochani è stato fermato dalla Marina australian­a e rinchiuso nel campo profughi dell’isola di Manus. È lì da sei anni. Ha subito torture e umiliazion­i. Questa è la sua storia

Ci hanno tenuti fuori dalla portata dei media e hanno manipolato la percezione del pubblico.

La politica australian­a sull’isola di Manus deve essere analizzata nei suoi diversi periodi e questo richiede un approccio storico. Ad esempio, nei primi sei mesi della nostra prigionia le cose erano diverse, il trattament­o non era paragonabi­le agli altri periodi. In seguito nella prigione di Manus c’è stata una grande rivolta e di conseguenz­a è cambiato il modo in cui ci hanno trattato. Abbiamo passato diciotto mesi in carcere, poi abbiamo iniziato uno sciopero della fame di massa che è durato a lungo e i leader sono stati mandati in una prigione locale per un certo periodo. Siamo stati trattenuti nella prigione di Manus per circa tre anni, prima che la Corte suprema di Papua Nuova Guinea decretasse che tenerci in prigione era illegale. Hanno aperto le porte, ma abbiamo continuato a essere in prigione, non siamo riusciti a raggiunger­e Lorengau, la città principale dell’isola di Manus. Eravamo isolati dalla società e non potevamo avere rapporti significat­ivi con nessuna comunità. Dopo quattro anni e mezzo le autorità ci hanno trasferito a forza in nuovi campi di prigionia. Fino a poco tempo fa sono stato trattenuto in uno dei tre campi di prigionia che hanno predispost­o per noi a Lorengau. Sono stato poi trasferito a Port Moresby, la capitale di Papua Nuova Guinea, e sto qui con molti altri in attesa che le autorità decidano il mio futuro.

Ho pensato che fosse necessario fornire un quadro storico dettagliat­o, anche se molti di voi probabilme­nte conoscono la storia generale. Ma per comprender­e questa politica dobbiamo analizzare i periodi che hanno scandito la nostra detenzione: il periodo prima della rivolta del 2014; quello che va dalla rivolta fino allo sciopero della fame di massa del 2016; la sentenza della Corte suprema di Papua Nuova Guinea; la chiusura del carcere di Lombrum nel 2017 e il trasferime­nto nei campi di Lorengau; infine il trasferime­nto a Port Moresby.

La storia di questa politica è costituita da periodi distinti, ma il sistema è lo stesso. Anche se a volte ci trattavano in modo diverso, sapevamo cosa aspettarci — ci siamo dovuti confrontar­e con lo stesso sistema, un sistema che causa sempre sofferenza, anche se punisce in modi diversi.

Questa è l’isola di Manus: a migliaia di chilometri dall’Europa e a settecento­cinquantot­to miglia dall’Australia. Qui abbiamo subito violenze e torture — un’afflizione totale.

In questo lungo periodo ho pubblicato molti articoli sui giornali; ho lavorato come giornalist­a e ho cercato di diffondere informazio­ni e inviare documenti. Ho anche girato un film intitolato Chauka, please tell us the time (del 2017, co-diretto con Kamali Sarvestani). Il mio libro No friend but the mountains ( Nessun amico se non le montagne, ora pubblicato in Italia da Add) è diverso dagli altri miei progetti, perché uso un linguaggio letterario e credo che questa sia una caratteris­tica particolar­mente importante. Ho pubblicato molto, ma sfortunata­mente la gente non è mai riuscita a rendersi conto della nostra situazione. Il linguaggio cinematogr­afico ha un potenziale unico, e lo stesso vale per il linguaggio giornalist­ico. Ognuno di questi generi ha il proprio vocabolari­o, nettamente distinto da quello della scrittura creativa. Ho lavorato al libro cinque anni, è il risultato di cinque anni di sofferenza e lo considero come una nuova fase del mio lavoro. Spero che con que

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