Corriere della Sera - La Lettura
La folle tentazione di fare il male per il bene dell’uomo
Paolo Zardi mette in scena il dilemma degli scienziati in un futuro plausibile
Paolo Zardi nel suo nuovo romanzo, L’invenzione degli
animali, conferma la sua vocazione di scrittore etico, intendendo con il termine etico lo sguardo particolare che l’autore ha sul mondo: teso non tanto a definire filosoficamente bene e male, quanto a descriverne il loro concreto attuarsi nelle scelte di ogni giorno.
Il romanzo, che si inserisce nella bella e interessante collana «Altrove» diretta da Michele Vaccari, si rifà alla struttura narrativa dei romanzi distopici e di fantascienza. In un futuro prossimo — in un mondo in cui gli Stati nazionali hanno sempre minor peso e il divario tra ricchi e poveri è divenuto il vero metro di accesso ai diritti e ai privilegi di cittadinanza — vive Lucia Franti che insieme a Patrick, un ragazzone irlandese, viene assunta dalla Ki-Kowy, azienda che ha come scopo inventare un nuovo futuro per l’umanità. Lucia, Patrick e gli altri suoi amici sono geniali, intelligenti e sono stati scelti proprio perché possono con le loro competenze e con i mezzi posseduti da Ki-Kowy portare il mondo a un nuovo stadio evolutivo,culturale e antropologico.
La storia si snoda in una serie di capitoli in cui, come da testo dispotico classico, inizialmente tutti i personaggi (Lucia in primis) nutrono una profonda fiducia in ciò che stanno costruendo e nel modo in cui stanno agendo. Credono, cioè, di agire per il bene dell’umanità; lentamente, però, si insinua la potenza del dubbio e del dilemma etico: è necessariamente bene modificare la natura, il tempo, l’essere umano per fini teleologici? Non esiste un limite che è meglio non valicare?
Sono questi i quesiti che si trova a dover sostenere la protagonista, assegnata a un progetto che ha come fine ultimo la possibilità della vita eterna, sul cui altare i dirigenti della Ki-Kowy sono disposti a sacrificare alcuni esseri viventi, visti come semplici pezzi. Lucia va in crisi proprio quando si rende conto che il modello della Ki-Kowy prevede la totale indifferenza rispetto alle creature e decide quindi di opporsi, disgregando dall’interno quello che per molto tempo ha ritenuto valido e giusto. La scelta darà vita a una serie di colpi di scena, di fughe, di decisioni dolorose da parte dei diversi protagonisti del racconto e produrrà un radicale cambio di paradigma, che non sarà legato alla visione di un nuovo mondo ma a una nuova consapevolezza sul mondo che esiste. Un happy ending, in cui si rivela l’ideologia ottimista di Zardi che, pur avendo tratteggiato per molte pagine un futuro cupo, decide infine di concedere al suo lettore e — crediamo — anche a sé stesso una seppur minima speranza.
I temi del romanzo non sono in sé nuovissimi per gli appassionati di fantascienza e distopie — un gruppo di uomini ricchissimi che sembra voglia cambiare in meglio il mondo, ma sono spinti da secondi fini; altri personaggi idealisti, che perdono la loro primigenia purezza scontrandosi con la realtà bruta della vita quotidiana; gli esperimenti su creare nuove forme di vita con tutto il loro corollario di problemi filosofici — ma sono comunque combinati con una originalità nuova e con coerenza. Questo è dovuto al fatto che i modelli di Zardi non siano tanto le convenzionali letture di genere, quanto alcuni racconti di Primo Levi, che hanno come centro nevralgico il tema dell’invenzione dell’animale ( Quaestio de Centauris e Angelica Farfalla). Con la differenza che Levi conduce il lettore a una visione rassegnata e pessimistica, Zardi, invece, risolve la propria trama in un finale pacificato da una sorta di religiosa speranza (il rimando finale alla Genesi e ad Adamo ed Eva).
La scrittura di Zardi è maturata, perdendo piccoli vezzi e debolezze delle prove precedenti e si è fatta concreta e chiara proprio nell’esporre la vita materiale dei personaggi, i loro movimenti, le loro giornate di lavoro, le loro azioni quotidiane; una lingua che fa di questa modestia quotidiana il suo punto di leva nel produrre lo scarto simbolico che è la vera forza del romanzo.