Corriere della Sera - La Lettura
Sono scienziata, credo nei mostri
Licia Troisi Ha venduto nel mondo, con le saghe fantasy, 6 milioni di copie. Ora crea due protagoniste (che le somigliano un po’) per lettori di 10-12 anni. «Diffido del paranormale, le creature più straordinarie nascono dall’immaginazione»
Licia Troisi diventa detective dell’impossibile. La scrittrice si lancia in una nuova sfida narrativa: dopo aver creato romanzi e saghe fantasy per giovani e young adult ( Il mondo emerso, La ragazza drago, Pandora, La saga del dominio) che hanno venduto quasi sei milioni di copie — 2,3 milioni in Italia e 3,5 nel mondo, dove è tradotta in 18 lingue — esordisce ora con una serie per ragazzini; protagoniste due strane teenager, Lucrezia detta Lu e Zoe. La prima avventura esce il 24 settembre, «la Lettura» ne ha parlato con l’autrice.
Come è nato il progetto di Zoe & Lu?
«Era da un po’ che la casa editrice mi chiedeva se volessi provare a scrivere una storia per un pubblico un po’ più giovane. Due mie saghe si sono appena concluse e mi è sembrata una buona occasione per sperimentare qualcosa di nuovo, così mi è venuta in mente questa storia.
Chi dei due personaggi è nato per primo? E quale le somiglia di più?
«Zoe e Lu sono praticamente nate assieme. Una cosa che sapevo dal principio era che nella storia avrei usato la prima persona. Mi assomiglia di più probabilmente Lu: in lei ho trasferito la mia passione per la scienza e come lei tendo a essere insicura, soprattutto sul lavoro».
Come mai la scelta di rivolgersi a ragazzini 10-12 anni?
«A un certo punto il desiderio di fare cose nuove diventa ineludibile. Avevo voglia di sperimentare, e poi ho una figlia di quasi 10 anni, l’idea di scrivere qualcosa fatta per lei mi stuzzicava molto. Peraltro, in questo periodo mi sono spostata verso il mondo del fumetto, e così mi è venuta l ’ i d e a d i u s a r e a n c h e q u e s to mezzo espressivo».
È più facile scrivere per i bambini?
«Ho dovuto trovare una nuova voce che si adattasse a un pubblico più giovane. Alla fine, anche grazie al confronto con Sandrone Dazieri (scrittore e suo editor storico, ndr) e gli editor della casa editrice non è stato né più facile né più difficile, solo piacevolmente diverso».
I suoi libri hanno, di solito, un numero di pagine più alto...
«Questi sono nati per essere più snelli, ho semplificato la trama in modo che, pur mantenendo il giusto grado di suspense, non si allungasse su troppe pagine. Per il tono dei libri ho attinto ai miei ricordi di quando ero ragazzina. La mia preadolescenza è stato un periodo abbastanza sofferto, me la ricordo bene».
Che bambina era Licia Troisi? A proposito: perché si chiama Licia?
«Ero tranquilla ma con un carattere parecchio forte che mi ha portato spesso a scontrarmi coi miei. Dovevo avere sempre l’ultima parola e fare come dicevo io. Ma non ho mai combinato grandi guai. Il nome all’anagrafe è Felicia, come mia nonna paterna. Non mi piace granché. Mi hanno sempre chiamata Licia che amo parecchio e non cambierei».
Riguardo le storie di Zoe & Lu quali sono stati i suoi modelli?
«Dylan Dog fa parte del corredo delle cose che mi hanno ispirata, anche se il tono è molto diverso. Nelle dinamiche tra Zoe e Lu avevo anche in mente il rapporto Mulder e Scully di X-Files. Poi la saga di Lockwood & Co. di Jonathan Stroud e la serie tv Sherlock. E sono anche un omaggio a Arthur Conan Doyle».
Poi tra le righe ci sono dritte su libri, romanzi, film, serie tv...
«Sì. Infilo nei miei libri consigli di altre opere di ingegno che mi hanno formata o che mi piacciono. Quasi tutto quel che cito, a parte un paio di videogame, sono libri, film e serie tv che fruisco e amo».
Sua figlia Irene ha letto il libro?
«Ha letto Un’amica da salvare e presto leggerà anche il secondo; le è piaciuto. Sono i primi libri da me scritti che legge, a parte un’incursione nel fumetto con la partecipazione alla stesura del soggetto di due numeri di Monster Allergy, con Francesco Artibani e Katja Centomo».
Nel libro usa un linguaggio molto diretto, talvolta un po’ sboccato.
«“Fighissimo” è un aggettivo immancabile del mio vocabolario. Ci sono parole dello slang che hanno una potenza che l’italiano standard non ha, e mi piace usarle. Poi, nei dialoghi mi piace essere diretta, è una mia caratteristica fin dai primi libri. Essendo il libro tutto narrato per bocca di Lu è molto più colloquiale delle altre cose che ho scritto.
E la sua parolaccia preferita?
«Cerco di non usarle troppo, perché tendo a eccedere, ma in effetti alcune sono così dense di significato che sostituirle è difficile. Purtroppo la famosa parola di cinque lettere che inizia per “c” e finisce per “o” quando sono arrabbiata diventa un intercalare...».
L’idea di un cattivo non del tutto cattivo è un aspetto originale del libro.
«È po’ una mia ossessione. Ho sempre pensato che ognuno di noi abbia le sue motivazioni, con cui giustifica quello che fa. Nessuno di noi, neppure il più malvagio, si considera mai il cattivo della storia ma, dal suo punto di vista, fa quel che fa per motivi piuttosto chiari. Al tempo stesso a tutti noi può capitare di fare del male senza che lo vogliamo. Volevo rappresentare questo paradosso».
La storia mette d’accordo scienza e paranormale. Che cosa le piace delle nuove tecnologie e cosa non sopporta?
«Credo sia un bene che con un clic si possano mettere in contatto realtà diverse e lontane. La possibilità di comunicare con persone distanti da noi e comprendere come vivono e cosa pensano credo sia un grande incentivo alla pace. Mi infastidisce l’uso che facciamo di questa straordinaria opportunità: i social sono diventati, più che il luogo di libertà e condivisione, quello del giudizio».
Che rapporto ha con il paranormale? È curiosa o diffidente?
«Tendenzialmente diffidente. Ma mi piace tantissimo come spunto per le storie, sono affascinata da leggende metropolitane e credenze popolari. Nella dimensione della nostra immaginazione, i mostri sono più veri e concreti che mai».
La storia esalta il valore dell’amicizia e al contempo non nasconde i pericoli della rete.
«Non sono di quelli che deprecano i tempi in cui viviamo perché stiamo troppo incollati agli schermi. Finché non diventa un’ossessione che tiene fuori tutto il resto, non vedo niente di male a giocare o stare online, con le dovute precauzioni in termini di sicurezza personale e protezione della propria privacy: mia figlia ha imparato tante cose dalla tv, dai cartoni o dai videogiochi. In generale, le avventure di Zoe e Lu vogliono essere un’esaltazione dell’amicizia e della diversità: vorrei che passasse l’idea che non è necessario cambiare sé stessi per essere accettati. Non importa quanto tu sia strano (e io lo sono molto...), troverai sempre qualcuno che condivide la tua stranezza e ti accetta per ciò che sei».
Lei è ha venduto milioni di copie. Come vive questa condizione?
«Con precarietà: da 15 anni penso possa finire da un momento all’altro. Non si contano i momenti di sconforto in cui ho pensato di cercarmi un altro lavoro. Ma col tempo ho imparato a sfruttare questa mia caratteristica, che mi aiuta a migliorarmi continuamente».