Corriere della Sera - La Lettura
Cara mamma, so che non mi leggerai
Dopo i successi poetici, Ocean Vuong esordisce come romanziere con una storia di autofiction. Che però racconta anche l’America: immigrazione, crisi degli oppiacei, Trump
«Cara Ma. Lascia che ricominci. Sto scrivendo perché è tardi. Perché sono le 9.52 di sera di un martedì e tu starai tornando a casa dopo il turno di chiusura. Non sono con te perché sono in guerra. Che è un modo per dire che è già febbraio e il presidente vuole deportare i miei amici».
Chi scrive con il cuore in subbuglio, a tre mesi dalle elezioni presidenziali del 2016, è «Little Dog», un giovane nato a Saigon da un americano e una vietnamita che gli ha dato quel soprannome per non ingelosire gli spiriti maligni: uno scricciolo di ragazzo approdato poverissimo negli Stati Uniti, di cui si intuisce, fin dall’inizio di questa lunga lettera alla madre, che è diventato uno scrittore di successo, sul cui «guinzaglio», come dice lui con una punta di sarcasmo, altri scrittori «incideranno i loro nomi e ti chiameranno necessario, ti chiameranno urgente ».
On Earth We’re Briefly Gorgeous («Siamo stupendi brevemente sulla terra») è il secondo esordio del trentenne vietnamita-americano Ocean Vuong: un romanzo d’immigrazione, di formazione e un’opera di autofiction che vede la luce dopo che il suo libro di poesie Cielo notturno con fori d’uscita (La nave di Teseo, 2017) è stato accolto con i più grandi onori dalla critica e ha vinto prestigiosi premi letterari.
Uscito quest’estate negli Stati Uniti e in corso di traduzione da La nave di Teseo, On Earth We’re Briefly Gorgeous è stato salutato negli Stati Uniti come il nuovo Great American Novel («grande romanzo americano»): fatto che la dice lunga sulle qualità poetiche e tematiche di un romanzo che spazia dalla guerra del Vietnam alla crisi degli oppiacei, sconfinando in digressioni come le abitudini migratorie degli insetti o la variegata composizione etnica del campione di golf Tiger Woods. Ma la cui investitura a Great American Novel sembra anche la risposta di una classe intellettuale americana alle politiche anti-immigrazione trumpiane. Come a dire: indovinate chi, oggi, è in grado di restituirci un’immagine letteraria autentica e potente degli Stati Uniti? Il nipote di una vietnamita analfabeta rimasta incinta in un bordello per soldati americani a Saigon; il figlio di una donna scampata ai bombardamenti al napalm ma non alle purghe del regime comunista che l’ha cacciata quando ha scoperto che era mezzo sangue. Fu allora che nonna, madre e Ocean Vuong bambino dovettero riparare in un capo profughi nelle Filippine, dove vissero due anni prima di potere emigrare negli Stati Uniti grazie a una ong americana. Sembra quasi di sent i re l e parole: Are you listening, Mr. Trump? («Stai ascoltando, Mr. Trump?»)
Ma sarebbe un torto leggere On Earth We’re Briefly Gorgeous, che prende il titolo da una poesia di Vuong, come un romanzo politico. Perché il suo intento sembra piuttosto quello di individuare la giusta tonalità poetica per rivolgersi con una lettera a una madre che non può leggerla, in quanto non è mai riuscita a imparare l’inglese, toccando argomenti spinosi come gli effetti traumatici della guerra sulla nonna diventata schizofrenica, e sulla madre stessa diventata violenta con il figlio; come l’incapacità di questa donna tormentata di consolare il suo ragazzo quando è vittima di bullismo a scuola, se non ammollandogli un ceffone perché si rafforzi; come la necessità, per un ragazzino come lui, di rendersi invisibile per sottrarsi ai commenti o agli atti razzisti — invisibilità che svanisce con uno schianto nell’attimo in cui Little Dog, a quattordici anni, viene «notato» per la prima volta da un altro ragazzo mentre lavora in un campo di tabacco, e scopre di colpo «che esiste qualcosa di ancora più brutale e totalizzante del lavoro — il desiderio».
È in quel momento, quando Little Dog sperimenta l’amore con Trevor — un adolescente bianco, macho e terrorizzato dalle proprie pulsioni omosessuali — che On Earth We’re Briefly Gorgeous trova la pienezza e la giustificazione che mancano alla prima metà del romanzo, quando qualche digressione protratta troppo a lungo e qualche immagine troppo ricercata rischiano la leziosità. E che trova invece il suo zenith nelle pagine in cui si descrive il primo rapporto sessuale tra i due adolescenti in tutta la sua goffaggine, umiliazione ed estasi, con un linguaggio che non potrebbe essere più sincero e toccante.
Little Dog non morirà come Trevor e tanti altri suoi coetanei cresciuti nell’America di oggi, per un’overdose di eroina e fentanyl; e nemmeno si ammalerà di asma respirando fumi di formaldeide in un salone per la manicure come sua madre. Ci restituirà invece la loro drammatica esperienza, mostrandoci con tutta la poesia e la ricercatezza di una lingua conquistata, cosa significa vivere la propria vita in un luogo dove «i sogni si trasformano nella consapevolezza calcificata di ciò che significa essere vivi in un corpo americano — con o senza cittadinanza — doloranti, intossicati, e sottopagati».