Corriere della Sera - La Lettura

La verità sul caso dei ragazzi reclusi

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Dice «Time» che «Colson Whitehead è uno dei più grandi scrittori americani viventi». Non me ne ero accorto. Ho letto I ragazzi della Nickel, il nuovo libro di Whitehead, per vedere se «Time» dice il vero. Il romanzo è ispirato a una storia vera. Poco tempo fa furono ritrovati i cadaveri di alcuni allievi di un riformator­io di Marianna in Florida (la Dozier School for Boys). I corpi erano stati seppelliti di nascosto una cinquantin­a di anni orsono. Una complessa ricerca archeologi­ca permise di ricostruir­e i fatti orribili accaduti. Alcuni sopravviss­uti, che avevano sempre taciuto, raccontaro­no finalmente la verità. Alle loro testimonia­nze ha attinto Colson Whitehead. Il protagonis­ta è un ragazzo nero che si chiama Elwood ed è un patito dei discorsi di Martin Luther King. Ascolta e riascolta continuame­nte il disco con le parole del reverendo e vuole battersi per un’America libera dall’odio razziale. Elwood è un bravo ragazzo, studioso e lavoratore, allevato da una bravissima nonna al posto dei genitori finiti male. Poi, sul più bello, tutto precipita. La mattina che deve andare al college, dove ha vinto una borsa di studio e studiare i suoi prediletti scrittori britannici, il ragazzo viene arrestato. Accusa: complicità in un furto d’auto. È tutto un equivoco ma non c’è niente da fare. Vince il pregiudizi­o e Elwood finisce alla Nickel Academy, ovverossia alla Dozier School di cui abbiamo parlato all’inizio. Lì si compirà il suo destino (che era già abbondante­mente scritto). Di storie di riformator­i ne abbiamo lette e viste di più belle. Una (formidabil­e) su tutte, quella raccontata in Sleepers, il film di Barry Levinson dal cast stellare (De Niro, Brad Pitt, Kevin Bacon, Gassman e Hoffman). Invece Colson Whitehead (che ha faccia e capelli da belloccion­e; ottimo per i festival letterari) non racconta tanto bene. È sempre contorto. Cerca vanamente di darsi un tono (solenne). No, non è uno dei più grandi scrittori americani viventi. Nemmeno lontanamen­te.

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Colson Whitehead (New York, 1969)

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