Corriere della Sera - La Lettura
I prossimi Rinascimenti
Il primo astronauta degli Emirati partirà per la Stazione Spaziale Internazionale il 25 settembre. Il 2019, anno della Tolleranza, ha visto la messa di Papa Francesco ad Abu Dhabi, con la firma del documento sulla Fratellanza umana. Il primo ottobre si insedia l’Istituto Italiano di Cultura ad Abu Dhabi, novità assoluta nella Penisola araba. Nel 2020 arriva Expo Dubai, 25 milioni di visitatori in sei mesi. Come è possibile mettere insieme questa raffica di eventi, di conquiste, di aperture (tra l’altro in una regione complessa, in cui le spinte alla chiusura spesso sono più forti del progresso)? Come un piccolo Paese neanche cinquantenne ha raggiunto questi traguardi, attirando nei suoi confini le migliori istituzioni culturali dell’Occidente? Con il denaro del petrolio, la risposta è quasi ovvia. Ma non basta per spiegare la corsa degli Emirati Arabi Uniti, Paese fondato nel 1971, nel circuito della competitività globale. Ci vogliono ambizione e visione, capacità di dialogo e di scelta. «Non possiamo stare fermi», sorride Omar Obaid Alshamsi, nuovo ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti a Roma (si è insediato a maggio). «Amiamo la bellezza. Bellezza è formazione, innovazione, scienza».
Il diplomatico elenca i dati dello Stato che rappresenta: «Riserviamo il 42 per cento del bilancio allo sviluppo sociale, all’istruzione e alla cultura, ci siamo dotati di istituzioni come il ministero della Felicità e della Qualità della vita, delle Scienze avanzate, dell’Intelligenza artificiale, il ministero della Tolleranza, della Gioventù, il ministero della Sicurezza alimentare». È un’idea di progresso economico che guarda (anche) all’ideale, la convinzione che la crescita non possa restare solo nel business. Un obiettivo che aveva la necessità di una galassia storico-culturale di riferimento: che fosse ispirazione, modello, cornice.
Il punto di caduta di questo percorso ha un simbolo: «Inaugureremo a giorni l’Istituto Italiano di Cultura, che sarà affiancato da una scuola italiana; vorremmo accogliere anche un’università italiana. Il vostro Rinascimento per noi è un riferimento altissimo». Un traguardo. Che gli Emirati, con l’ottavo Pil procapite del mondo, intendono raggiungere «attirando le menti migliori». Costi quello che costi.
Investimenti e acquisizioni. Linee guida, obiettivi che parlano di gestione sostenibile, ricerca scientifica, progresso tecnologico. Di città convertite in Green City e Smart City: entro il 2020 Dubai si aspetta una totale digitalizzazione dei visti, dei rinnovi di licenze, dei pagamenti per un totale di 100 milioni di documenti telematici, non più cartacei, all’anno. Sembra il luna park delle possibilità — il sospetto si insinua all’ennesimo traguardo raggiunto, alla descrizione di una nazione basata sulla felicità — ma il diplomatico che rappresenta i sette emirati affacciati sul Golfo Persico procede imperterrito nell’esposizione dei fatti. Concreti. «Convivenza e dialogo sono i valori a cui il nostro Stato aspira, come spiegheremo nei prossimi giorni a Lubec, la rassegna di Lucca (3-4 ottobre) dedicata al patrimonio culturale alla quale partecipiamo come Paese ospite. Gli stessi principi sono sintetizzati nello slogan di Expo Dubai 2020, Connecting Minds, Creating the Future ». Ecco i numeri: i padiglioni di 192 Paesi (erano 137 a Milano 2015) saranno distribuiti su un’area di oltre 400 ettari, nella zona adiacente al nuovo aeroporto Al Maktoum, destinato a diventare il più grande scalo al mondo per passeggeri (260 milioni all’anno); per l’inaugurazione, il 20 ottobre 2020, la ricettività sarà aumentata di 125 mila stanze; sono state costruite infrastrutture per agevolare gli spostamenti dei 25 milioni di visitatori. «Tutti questi sforzi — spiega l’ambasciatore — rientrano nella visione del nostro padre fondatore, sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan (1918-2004): sviluppo e prosperità in parallelo con la conservazione dell’ambiente e la convivenza civile».
Il Louvre, e poi la Sorbona, e poi il Guggenheim, e poi la New York University ad Abu Dhabi; e poi la visita del Papa; e poi l’Expo a Dubai... E ora il primo astronauta; e poi l’apertura del primo Istituto Italiano di Cultura... E poi un ministero per la Tolleranza, uno per la Felicità, uno per le Scienze umane... Che cosa succede negli Emirati Arabi Uniti? Lo abbiamo chiesto al nuovo ambasciatore in Italia
Nel 2020 a Expo Dubai ci saranno 192 Paesi ospiti e sono attesi 25 milioni di visitatori. L’obiettivo è ambizioso: «Il vostro Rinascimento per noi è un riferimento altissimo»
Sono duecento le nazionalità presenti negli Emirati (gli abitanti: 9,68 milioni), il 2019 è stato dichiarato anno della Tolleranza, a febbraio Papa Francesco ha compiuto in quelle terre un viaggio che rimarrà nella storia, il primo nella penisola araba, che si è concluso con la firma del documento sulla Fratellanza umana insieme con il Grande Imam di Al-Azhar: «Alla messa di Francesco ad Abu Dhabi — ricorda l’ambasciatore — erano presenti quattromila bambini: volevamo che i nostri figli ascoltassero il messaggio di pace del Pontefice. Crediamo nei rapporti con Roma». Con il Vaticano, con il Quirinale, con la Farnesina.
L’Italia è il terzo partner commerciale europeo degli Emirati Arabi, negli ultimi vent’anni i rapporti tra i due Paesi si sono fatti più intensi. E in questa cornice di incontri, scambi, di legami tenacemente intessuti da entrambe le parti (documentati anche da una fotografia di Zayed davanti alla statua di Marco Aurelio in piazza del Campidoglio nel 1951) si inserisce il progetto di aprire l’Istituto Italiano di Cultura ad Abu Dhabi. Il primo ottobre si insedia la direttrice, Ida Zilio-Grandi, docente di Islamologia e Teologia islamica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Lo stesso giorno arriva il nuovo ambasciatore italiano negli Emirati, Nicola Lener. Aggiunge Omar Obaid Alshamsi: «L’Istituto Italiano di Cultura arricchisce il nostro Paese e ci unisce di più a voi. Siamo convinti che il valore di una nazione risieda nel valore della propria cultura e del proprio popolo: aumentare la consapevolezza culturale e scientifica delle persone è l’unico modo per risolvere i conflitti».
In un Paese in cui l’88,5 per cento della popolazione è composto da expat (immigrati) provenienti soprattutto da India, Pakistan, Bangladesh, la spinta alla convivenza pacifica — non sempre facile, non sempre possibile, soprattutto per i lavoratori non qualificati — è forte, come quella al rispetto delle regole: «Chi aspira a migliorarsi, chi crede nel futuro e nel lavoro troverà negli Emirati Arabi un partner perfetto e un Paese che non fa differenza tra cittadini e non. Chi invece non si impegna non troverà grandi occasioni. E nemmeno spazi».
Campagna acquisti: i migliori cervelli, i migliori musei e curatori «strappati» alle grandi fondazioni occidentali, i migliori atenei: è come se gli Emirati volessero assorbire (avendone la possibilità economica) il meglio delle grandi civiltà globali e importarlo nel deserto. Il Louvre? Lo vogliamo anche noi, ma non con le copie (piuttosto, con un preziosissimo e mai esposto Salvator Mundi sul quale il diplomatico non si pronuncia). Le avanguardie artistiche? Le accogliamo noi. Sono fasti e possibilità a cui il mondo occidentale non è più abituato, i grandi committenti e mecenati sono affacciati sul Golfo Persico ma hanno gusto e ambizioni delle corti cinquecentesche.
Studi in Francia, esperienze diplomatiche a Parigi, Beirut, Washington, l’ambasciatore avverte: «Gli Emirati Arabi Uniti riconoscono l’importanza di essere leader nella cultura e nella scienza partendo dalla ricchezza che arriva dalla diversità di etnie e religioni, in armonia tra antico e moderno, originalità e innovazione». Gli effetti tangibili di queste parole: il Louvre e il Guggenheim di Abu Dhabi, la Sorbona di Abu Dhabi, la New York University di Abu Dhabi, l’American University di Sharja, la Canadian University di Dubai. Cui si aggiunge una formidabile serie di eventi: la Biennale di Sharjah, la Dubai Art Fair, i festival, gli appuntamenti sportivi. «E Sharja, capitale mondiale del Libro 2019».
In questo Rinascimento — l’ambasciatore lo chiama di volta in volta rinnovamento, progetto culturale, visione — «è il momento dell’Italia». Con la nascita dell’Istituto Italiano di Cultura ad Abu Dhabi e una scuola in cui «gli emiratini possano studiare l’italiano». L’auspicio: favorire gli scambi con musei, accademie, municipalità di tutto il vostro territorio. Per avviare collaborazioni in campi sterminati: design, conservazione, restauro, moda. In questa prospettiva Alshamsi pensa — e se ci pensa significa che il governo ci lavora da un pezzo — allo sbarco di un’università italiana negli Emirati: «Sarebbe la prima nella Penisola Araba e potrebbe consentire agli abitanti della regione di avere a portata di mano un enorme strumento di crescita individuale e collettiva».
Cultura, formazione, istruzione. Di questi temi si parlerà anche a Lubec di Lucca, due giorni di dibattito internazionale per discutere di patrimonio culturale, turismo e innovazione affrontando temi complessi come la sostenibilità sociale e la partecipazione della comunità per generare benessere e inclusione. Alla giornata inaugurale interverrà anche l’ambasciatore Alshamsi: «Ci aspettiamo che il festival contribuisca alla diffusione della nostra esperienza e a fare conoscere meglio un Paese come gli Emirati Arabi Uniti che attira menti e professionalità da tutto il mondo».
Modelli di gestione per il patrimonio culturale; digitalizzazione, archivi e open data; patrimonio culturale e sostenibilità; musei e innovazione. A Lubec 2019 si parlerà anche di vulnerabilità sociale dei centri storici, di città d’arte strapiene, di programmazione culturale. Anche su questo punto gli Emirati Arabi Uniti potranno dire la loro. «Siamo molto giovani rispetto all’Italia — dice l’ambasciatore — ma lavoriamo per preservare il patrimonio architettonico del Paese». Aggiunge: «Non abbiamo i vostri problemi di sovraffollamento per due motivi: primo, perché abbiamo realizzato infrastrutture attrezzate per ospitare un gran numero di turisti (oltre 22 milioni nel 2018) ed esistono piani precisi per aumentare l’accoglienza. Secondo, i nostri centri urbani vengono solitamente visitati in coordinamento con le autorità turistiche, facilitando l’ingresso e l’uscita dei visitatori».
Reputation e soft power. Oltre il petrolio. Entro il 2050 Dubai intende produrre il 75 per cento del fabbisogno energetico da risorse pulite. Il Mohammed bin Rashid Al Maktoum Solar Park di Seih Al-Dahal, 50 chilometri a sud di Dubai, è il più vasto parco solare del mondo. Produrrà mille Megawatt entro il 2020 e cinquemila entro il 2030, anno in cui Abu Dhabi punta ad abbattere l’impatto del cambiamento climatico. Investimenti anche nella race space, la corsa allo spazio: nel 2014 Abu Dhabi ha istituito l’Agenzia Spaziale degli Emirati Arabi Uniti e «il 25 settembre, appena cinque anni dopo, lanceremo il primo astronauta degli Emirati, Hazzaa Ali Almansoori, verso la Stazione Spaziale Internazionale. Facciamo sul serio». Anche nella lunghissima distanza: «Abbiamo lanciato il Progetto di insediamento su Marte 2117, in vista dei 200 anni della nascita dello sceicco Zayed. E l’anno prossimo verrà lanciata una sonda per monitorare il Pianeta Rosso».