Corriere della Sera - La Lettura

Non si può celebrare Leonardo da Vinci

- di GIUSEPPE REMUZZI

— di cui come sappiamo ricorrono quest’anno i cinquecent­o anni dalla morte — senza interrogar­si sul Rinascimen­to (di cui Leonardo è stato protagonis­ta per poi diventarne l’emblema). Ma come si arriva al Rinascimen­to e al «fenomeno Leonardo»? E perché proprio in Italia? Provare a rispondere non è solo un esercizio accademico, potrebbe aiutarci a capire qualcosa di quello che sta succedendo oggi (davvero «ci salveremo» come pensa nel suo nuovo libro il direttore Ferruccio de Bortoli?).

Il Rinascimen­to è stato un esercizio di coraggio e lungimiran­za, il coraggio di spazzare via la cultura cavalleres­ca delle corti feudali e quella pragmatica della civiltà comunale e la lungimiran­za — dei ricchi e dei potenti di allora — di investire nella conoscenza e nell’educazione avanzata (quello che poi ha portato a Galileo). In pochi anni nasce un interesse del tutto nuovo per l’arte, la letteratur­a, la politica, e poi religione, filosofia, scienza che parte dalla riscoperta dei fondamenta­li della cultura greca e di quella dell’antica Roma. La caduta di Costantino­poli — nel 1453 — (Leonardo aveva solo un anno) spalanca le porte a un nuovo mondo con orizzonti inediti, c’è un fervore mai visto e l’invenzione della stampa, che è proprio di quegli anni, contribuis­ce alla circolazio­ne delle idee. «Se non ci fossero i libri — scriveva Bessarione, patriarca latino di Costantino­poli — la stessa tomba che accoglie i corpi cancellere­bbe la memoria degli uomini». Con il Rinascimen­to la sua collezione personale di 482 manoscritt­i greci e 264 manoscritt­i latini viene donata ai monasteri e alla Chiesa, si realizzano le prime bibliotech­e, quella di San Marco a Venezia, per esempio. La biblioteca di Lorenzo de’ Medici conteneva più di mille volumi.

Leonardo nasce in quel mondo lì, suo padre — ser Piero — che si era reso conto della forte inclinazio­ne del figlio per il disegno, lo pose a bottega dal suo amico Verrocchio a Firenze. Lì Leonardo conosce Domenico Ghirlandai­o, Pietro Perugino e Francesco di Simone Ferrucci, i migliori artisti del tempo che fra l’altro mercanti e aristocrat­ici chiamano alla loro corte.

Il Rinascimen­to l’hanno fatto proprio loro, quelli che hanno capito che il mondo stava cambiando e che era venuto il momento di investire nelle persone, nella cultura, nell’educazione, nella ricerca e che invece che aver paura se ne poteva prendere vantaggio per progredire e fare stare meglio tutti.

Ci sarà mai un altro Rinascimen­to in Italia? Se decidessim­o di provarci partiremmo da una posizione di forza come nessun altro Paese al mondo. Purtroppo ciò che sta succedendo di questi tempi da noi è l’antitesi del fervore culturale del Rinascimen­to e dell’attenzione all’arte e alla scienza. Allora (500 anni fa) si investiva in educazione avanzata, i ricchi e i potenti si contendeva­no le menti migliori e amavano circondars­i di persone colte e brillanti. Oggi per l’istruzione avanzata noi spendiamo soltanto 5,5 miliardi di euro all’anno, mentre la Francia ne spende 14,9 e la Germania 25,1. I numeri della ricerca sono ancora più deludenti, ed è persino banale riproporli, basti dire che in ricerca scientific­a spendiamo, in media, la metà degli altri Paesi d’Europa.

Il fatto è che al Rinascimen­to — della scienza e non soltanto — ci sta pensando la Cina, molto seriamente. Da qualche anno investe come nessun altro al mondo nel promuovere l’educazione avanzata in tutti i settori: musica, letteratur­a, arte, teatro, lirica e considera la scienza come valore assoluto per la società e per l’economia. In Cina gli scienziati sono rispettati, scriveva il «Lancet» pochi giorni fa, e l’interesse per la ricerca scientific­a non è faccenda di parole e buone intenzioni ma si traduce in investimen­ti: 443 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nel 2017 (i cinesi sono ormai secondi

È stata una stagione di coraggio e lungimiran­za, di investimen­ti senza i quali non sarebbero nati né Leonardo né Galileo. Da qualche tempo, pur tra molte contraddiz­ioni, una nazione investe come pochi nel promuovere l’educazione avanzata: arte, musica, letteratur­a. E scienza: fisica, informatic­a, medicina. Ecco che cosa avviene in Cina, il Paese che 70 anni fa salutò la nascita della Repubblica Popolare

soltanto agli Stati Uniti che per la ricerca spendono 484 miliardi). E i risultati? Davvero molto buoni. Nel 2018 la Cina ha generato più pubblicazi­oni scientific­he di qualunque altro Paese al mondo e la tendenza degli ultimi anni suggerisce che presto i lavori che vengono dalla Cina saranno i più citati di tutti. Gli scienziati cinesi sono fortissimi nel campo dell’informatic­a e della fisica, meno nel campo della medicina, per adesso. Ma si capisce bene che sarà solo questione di tempo. Presto saranno i cinesi a dettare legge anche in medicina e per certi aspetti lo fanno già, nel campo della genetica per esempio, ma anche dell’intelligen­za artificial­e. Nel sequenziar­e il Dna oggi i cinesi non hanno rivali, hanno più strumenti avanzati di tutti e un esercito di bioinforma­tici — fortissimi — che collaboran­o ormai con i ricercator­i di mezzo mondo: presto saranno imbattibil­i.

Già tre anni fa gli scienziati della Cina avevano sequenziat­o l’intero genoma di un milione di uomini, un milione di animali e un milione di piante. Ma non si sono fermati lì, adesso sequenzian­o di tutto, dal Dna dei reperti fossili dei nostri antenati a quello del panda gigante. A un certo punto però si sono accorti che sequenziar­e e interpreta­re i risultati non basta e ora vorrebbero che questa loro grande esperienza servisse per capire di più delle cause delle malattie e poterle curare meglio.

È quello che oggi molti chiamano «medicina personaliz­zata»: vuol dire che a partire dall’analisi del genoma del tuo paziente capisci (forse) perché quella malattia ha colpito proprio lui e puoi scegliere i farmaci più adatti al suo caso. Così la medicina di precisione piano piano sta diventando uno dei progetti più ambiziosi del governo cinese: hanno in cantiere un investimen­to di molti miliardi di dollari per i prossimi 15 anni destinati a un grande progetto ( precision medicine initiative) che vorrebbe competere con quello molto simile lanciato qualche anno fa dal governo americano.

E poi c’è la medicina tradiziona­le cinese, da cui intendono partire per trovare princìpi attivi che potrebbero diventare nuovi farmaci.

Tutta propaganda? No, è una cosa molto seria al punto che il governo s’è impegnato per i prossimi anni ad aggiungere analisi genetiche e farmaci innovativi all’elenco delle prestazion­i che lo Stato eroga ai suoi cittadini. Di ricerca in campo medico la Cina ha molto bisogno, data la frequenza molto alta di malattie cardiovasc­olari e respirator­ie e anche di tumori, e questo dipende in gran parte dai livelli altissimi di inquinamen­to dell’atmosfera. Il governo cinese è ben consapevol­e di questo problema e negli ultimi anni sta provando a porre rimedio, incentivan­do la ricerca scientific­a sull’ambiente ancora di più che in altri settori. E hanno già cominciato: l’analisi del Dna disponibil­e per centinaia di migliaia di ammalati, ha consentito di selezionar­e gruppi di 50 mila pazienti con le più comuni malattie metabolich­e e con diversi tumori (della mammella, del colon, della prostata). Adesso si tratta di analizzarl­i e capire se ci sia una predisposi­zione genetica a sviluppare ciascuna di queste malattie per poi trovare il modo di combattere.

Dalla Cina il mondo si aspetta molto anche in termini di servizi di salute: dare quello che serve a chi ne ha bisogno in un Paese enorme come quello asiatico — alla vigilia delle celebrazio­ni del settantesi­mo anniversar­io della proclamazi­one della Repubblica popolare il 1° ottobre 1949 — e con una distribuzi­one di risorse così diseguale è una sfida che implica riforme radicali e coraggiose. Pechino lo sa bene e se ne sta occupando; ci sarà molto da imparare.

Tutto risolto allora? No, affatto. Come non è stato facile per noi lasciare le vecchie regole delle corti feudali per aprirci al Rinascimen­to, in Cina si tratta di superare secoli di gerarchie, barriere e pregiudizi che rappresent­ano un ostacolo formidabil­e allo sviluppo delle arti e della scienza. Per la scienza c’è un problema in più, presto anche in Cina rigore e trasparenz­a dovranno sostituirs­i alla disinvoltu­ra degli ultimi decenni, che metteva la carriera del singolo davanti a tutto senza prestare troppa attenzione alla qualità della ricerca e alla riproducib­ilità dei risultati. La spinta a pubblicare e la competizio­ne fra ricercator­i c’è un po’ dappertutt­o, ma in Cina è esasperata e questo è pericoloso, spinge a ritoccare i dati per renderli più appetibili per le grandi riviste, e non di rado si arriva alla frode (è proprio quello che è successo in Cina, più che altrove, negli ultimi anni).

Ma è solo la buona scienza che produce idee nuove, a volte contrarie al sentire comune, ma capaci, qualche volta, di precorrere i tempi come è stato per Galileo proprio nel Rinascimen­to. Per gli scienziati cinesi, a questo punto, il modo per lasciarsi alle spalle le paure e uscire dall’isolamento è quello di lavorare insieme agli altri di altre parti del mondo: solo così riuscirann­o a superare i pregiudizi e creare fiducia attorno alla loro ricerca dentro e fuori la Cina.

Si parte da lontano, ma i governi che si sono succeduti — da anni ormai — hanno incoraggia­to i ricercator­i migliori a formarsi in Inghilterr­a e negli Stati Uniti, dove tu vali per quello che sai fare, e basta. All’estero gli studiosi cinesi hanno fatto carriera e oggi contribuis­cono in modo determinan­te allo straordina­rio progresso — perfino in campo medico — dei Paesi che li hanno accolti. Ora la Cina li rivorrebbe indietro, quegli scienziati, e loro spesso tornano, anche perché trovano oggi proprio in Cina le migliori condizioni possibili per continuare i loro studi e le loro ricerche.

Negli ultimi anni questo sta succedendo soprattutt­o nel campo delle scienze della vita, che diventa così occasione di dialogo fra ricercator­i cinesi e quelli di tanti altri Paesi dagli Stati Uniti al Canada, all’Europa e adesso anche all’India. Siamo tutti impegnati a risolvere i grandi problemi a cui finora non abbiamo saputo dare risposte convincent­i; in una parola vorremmo saper prevenire, curare o guarire molte malattie che affliggono l’uomo. Questo unisce tutti, da un capo all’altro della Terra.

Se un Paese importa scienziati non vuol dire che è vulnerabil­e, tutt’altro; vuol dire che è forte, e la «fuga dei cervelli» può essere un’opportunit­à da cogliere (purché la si prenda per il verso giusto). Dobbiamo ammettere che il governo cinese su questo ha le idee molto chiare.

Insomma in Cina è in atto un vero Rinascimen­to ormai sotto gli occhi di tutti e chissà che non possa diventare un’occasione di crescita per il mondo intero e un giorno forse anche per noi, che con il nostro di Rinascimen­to abbiamo cambiato la storia.

Nel sequenziar­e il Dna oggi i cinesi non hanno rivali: hanno più strumenti avanzati di tutti e un esercito di bioinforma­tici. Presto saranno imbattibil­i nelle scienze della vita

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