Corriere della Sera - La Lettura
Non si può celebrare Leonardo da Vinci
— di cui come sappiamo ricorrono quest’anno i cinquecento anni dalla morte — senza interrogarsi sul Rinascimento (di cui Leonardo è stato protagonista per poi diventarne l’emblema). Ma come si arriva al Rinascimento e al «fenomeno Leonardo»? E perché proprio in Italia? Provare a rispondere non è solo un esercizio accademico, potrebbe aiutarci a capire qualcosa di quello che sta succedendo oggi (davvero «ci salveremo» come pensa nel suo nuovo libro il direttore Ferruccio de Bortoli?).
Il Rinascimento è stato un esercizio di coraggio e lungimiranza, il coraggio di spazzare via la cultura cavalleresca delle corti feudali e quella pragmatica della civiltà comunale e la lungimiranza — dei ricchi e dei potenti di allora — di investire nella conoscenza e nell’educazione avanzata (quello che poi ha portato a Galileo). In pochi anni nasce un interesse del tutto nuovo per l’arte, la letteratura, la politica, e poi religione, filosofia, scienza che parte dalla riscoperta dei fondamentali della cultura greca e di quella dell’antica Roma. La caduta di Costantinopoli — nel 1453 — (Leonardo aveva solo un anno) spalanca le porte a un nuovo mondo con orizzonti inediti, c’è un fervore mai visto e l’invenzione della stampa, che è proprio di quegli anni, contribuisce alla circolazione delle idee. «Se non ci fossero i libri — scriveva Bessarione, patriarca latino di Costantinopoli — la stessa tomba che accoglie i corpi cancellerebbe la memoria degli uomini». Con il Rinascimento la sua collezione personale di 482 manoscritti greci e 264 manoscritti latini viene donata ai monasteri e alla Chiesa, si realizzano le prime biblioteche, quella di San Marco a Venezia, per esempio. La biblioteca di Lorenzo de’ Medici conteneva più di mille volumi.
Leonardo nasce in quel mondo lì, suo padre — ser Piero — che si era reso conto della forte inclinazione del figlio per il disegno, lo pose a bottega dal suo amico Verrocchio a Firenze. Lì Leonardo conosce Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino e Francesco di Simone Ferrucci, i migliori artisti del tempo che fra l’altro mercanti e aristocratici chiamano alla loro corte.
Il Rinascimento l’hanno fatto proprio loro, quelli che hanno capito che il mondo stava cambiando e che era venuto il momento di investire nelle persone, nella cultura, nell’educazione, nella ricerca e che invece che aver paura se ne poteva prendere vantaggio per progredire e fare stare meglio tutti.
Ci sarà mai un altro Rinascimento in Italia? Se decidessimo di provarci partiremmo da una posizione di forza come nessun altro Paese al mondo. Purtroppo ciò che sta succedendo di questi tempi da noi è l’antitesi del fervore culturale del Rinascimento e dell’attenzione all’arte e alla scienza. Allora (500 anni fa) si investiva in educazione avanzata, i ricchi e i potenti si contendevano le menti migliori e amavano circondarsi di persone colte e brillanti. Oggi per l’istruzione avanzata noi spendiamo soltanto 5,5 miliardi di euro all’anno, mentre la Francia ne spende 14,9 e la Germania 25,1. I numeri della ricerca sono ancora più deludenti, ed è persino banale riproporli, basti dire che in ricerca scientifica spendiamo, in media, la metà degli altri Paesi d’Europa.
Il fatto è che al Rinascimento — della scienza e non soltanto — ci sta pensando la Cina, molto seriamente. Da qualche anno investe come nessun altro al mondo nel promuovere l’educazione avanzata in tutti i settori: musica, letteratura, arte, teatro, lirica e considera la scienza come valore assoluto per la società e per l’economia. In Cina gli scienziati sono rispettati, scriveva il «Lancet» pochi giorni fa, e l’interesse per la ricerca scientifica non è faccenda di parole e buone intenzioni ma si traduce in investimenti: 443 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nel 2017 (i cinesi sono ormai secondi
È stata una stagione di coraggio e lungimiranza, di investimenti senza i quali non sarebbero nati né Leonardo né Galileo. Da qualche tempo, pur tra molte contraddizioni, una nazione investe come pochi nel promuovere l’educazione avanzata: arte, musica, letteratura. E scienza: fisica, informatica, medicina. Ecco che cosa avviene in Cina, il Paese che 70 anni fa salutò la nascita della Repubblica Popolare
soltanto agli Stati Uniti che per la ricerca spendono 484 miliardi). E i risultati? Davvero molto buoni. Nel 2018 la Cina ha generato più pubblicazioni scientifiche di qualunque altro Paese al mondo e la tendenza degli ultimi anni suggerisce che presto i lavori che vengono dalla Cina saranno i più citati di tutti. Gli scienziati cinesi sono fortissimi nel campo dell’informatica e della fisica, meno nel campo della medicina, per adesso. Ma si capisce bene che sarà solo questione di tempo. Presto saranno i cinesi a dettare legge anche in medicina e per certi aspetti lo fanno già, nel campo della genetica per esempio, ma anche dell’intelligenza artificiale. Nel sequenziare il Dna oggi i cinesi non hanno rivali, hanno più strumenti avanzati di tutti e un esercito di bioinformatici — fortissimi — che collaborano ormai con i ricercatori di mezzo mondo: presto saranno imbattibili.
Già tre anni fa gli scienziati della Cina avevano sequenziato l’intero genoma di un milione di uomini, un milione di animali e un milione di piante. Ma non si sono fermati lì, adesso sequenziano di tutto, dal Dna dei reperti fossili dei nostri antenati a quello del panda gigante. A un certo punto però si sono accorti che sequenziare e interpretare i risultati non basta e ora vorrebbero che questa loro grande esperienza servisse per capire di più delle cause delle malattie e poterle curare meglio.
È quello che oggi molti chiamano «medicina personalizzata»: vuol dire che a partire dall’analisi del genoma del tuo paziente capisci (forse) perché quella malattia ha colpito proprio lui e puoi scegliere i farmaci più adatti al suo caso. Così la medicina di precisione piano piano sta diventando uno dei progetti più ambiziosi del governo cinese: hanno in cantiere un investimento di molti miliardi di dollari per i prossimi 15 anni destinati a un grande progetto ( precision medicine initiative) che vorrebbe competere con quello molto simile lanciato qualche anno fa dal governo americano.
E poi c’è la medicina tradizionale cinese, da cui intendono partire per trovare princìpi attivi che potrebbero diventare nuovi farmaci.
Tutta propaganda? No, è una cosa molto seria al punto che il governo s’è impegnato per i prossimi anni ad aggiungere analisi genetiche e farmaci innovativi all’elenco delle prestazioni che lo Stato eroga ai suoi cittadini. Di ricerca in campo medico la Cina ha molto bisogno, data la frequenza molto alta di malattie cardiovascolari e respiratorie e anche di tumori, e questo dipende in gran parte dai livelli altissimi di inquinamento dell’atmosfera. Il governo cinese è ben consapevole di questo problema e negli ultimi anni sta provando a porre rimedio, incentivando la ricerca scientifica sull’ambiente ancora di più che in altri settori. E hanno già cominciato: l’analisi del Dna disponibile per centinaia di migliaia di ammalati, ha consentito di selezionare gruppi di 50 mila pazienti con le più comuni malattie metaboliche e con diversi tumori (della mammella, del colon, della prostata). Adesso si tratta di analizzarli e capire se ci sia una predisposizione genetica a sviluppare ciascuna di queste malattie per poi trovare il modo di combattere.
Dalla Cina il mondo si aspetta molto anche in termini di servizi di salute: dare quello che serve a chi ne ha bisogno in un Paese enorme come quello asiatico — alla vigilia delle celebrazioni del settantesimo anniversario della proclamazione della Repubblica popolare il 1° ottobre 1949 — e con una distribuzione di risorse così diseguale è una sfida che implica riforme radicali e coraggiose. Pechino lo sa bene e se ne sta occupando; ci sarà molto da imparare.
Tutto risolto allora? No, affatto. Come non è stato facile per noi lasciare le vecchie regole delle corti feudali per aprirci al Rinascimento, in Cina si tratta di superare secoli di gerarchie, barriere e pregiudizi che rappresentano un ostacolo formidabile allo sviluppo delle arti e della scienza. Per la scienza c’è un problema in più, presto anche in Cina rigore e trasparenza dovranno sostituirsi alla disinvoltura degli ultimi decenni, che metteva la carriera del singolo davanti a tutto senza prestare troppa attenzione alla qualità della ricerca e alla riproducibilità dei risultati. La spinta a pubblicare e la competizione fra ricercatori c’è un po’ dappertutto, ma in Cina è esasperata e questo è pericoloso, spinge a ritoccare i dati per renderli più appetibili per le grandi riviste, e non di rado si arriva alla frode (è proprio quello che è successo in Cina, più che altrove, negli ultimi anni).
Ma è solo la buona scienza che produce idee nuove, a volte contrarie al sentire comune, ma capaci, qualche volta, di precorrere i tempi come è stato per Galileo proprio nel Rinascimento. Per gli scienziati cinesi, a questo punto, il modo per lasciarsi alle spalle le paure e uscire dall’isolamento è quello di lavorare insieme agli altri di altre parti del mondo: solo così riusciranno a superare i pregiudizi e creare fiducia attorno alla loro ricerca dentro e fuori la Cina.
Si parte da lontano, ma i governi che si sono succeduti — da anni ormai — hanno incoraggiato i ricercatori migliori a formarsi in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove tu vali per quello che sai fare, e basta. All’estero gli studiosi cinesi hanno fatto carriera e oggi contribuiscono in modo determinante allo straordinario progresso — perfino in campo medico — dei Paesi che li hanno accolti. Ora la Cina li rivorrebbe indietro, quegli scienziati, e loro spesso tornano, anche perché trovano oggi proprio in Cina le migliori condizioni possibili per continuare i loro studi e le loro ricerche.
Negli ultimi anni questo sta succedendo soprattutto nel campo delle scienze della vita, che diventa così occasione di dialogo fra ricercatori cinesi e quelli di tanti altri Paesi dagli Stati Uniti al Canada, all’Europa e adesso anche all’India. Siamo tutti impegnati a risolvere i grandi problemi a cui finora non abbiamo saputo dare risposte convincenti; in una parola vorremmo saper prevenire, curare o guarire molte malattie che affliggono l’uomo. Questo unisce tutti, da un capo all’altro della Terra.
Se un Paese importa scienziati non vuol dire che è vulnerabile, tutt’altro; vuol dire che è forte, e la «fuga dei cervelli» può essere un’opportunità da cogliere (purché la si prenda per il verso giusto). Dobbiamo ammettere che il governo cinese su questo ha le idee molto chiare.
Insomma in Cina è in atto un vero Rinascimento ormai sotto gli occhi di tutti e chissà che non possa diventare un’occasione di crescita per il mondo intero e un giorno forse anche per noi, che con il nostro di Rinascimento abbiamo cambiato la storia.
Nel sequenziare il Dna oggi i cinesi non hanno rivali: hanno più strumenti avanzati di tutti e un esercito di bioinformatici. Presto saranno imbattibili nelle scienze della vita