Corriere della Sera - La Lettura
Le linee guida per la religione e la sicurezza
Il nuovo documento Osce incoraggia il rispetto dei credenti
Il 19 settembre scorso è stato presentato a Varsavia il primo documento interamente dedicato al binomio sicurezza e religione nella storia della comunità internazionale. La policy guidance su «Libertà di religione o credo e sicurezza» è un documento dell’Odihr, l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). Non è un testo adottato dai 57 Paesi che partecipano all’Osce, né tantomeno uno strumento giuridicamente vincolante. Tuttavia i principi di questa guida al rispetto dei credenti nelle politiche sulla sicurezza sono dedotti da fonti autorevoli, talvolta dal lavoro delle corti internazionali, e su di essi vi è un vasto consenso tra esperti, governi e confessioni religiose. È dunque presumibile che il documento abbia un impatto significativo nella vasta regione Osce: da Vancouver a Vladivostok, da Canada e Stati Uniti a Ucraina e Russia, dai paesi dell’Unione europea a Turchia e Armenia.
Nata nel 1975 con l’Atto finale di Helsinki quale piattaforma di confronto tra i due blocchi della guerra fredda, e ridisegnata dopo il 1989 per sostenere il processo di democratizzazione negli ex Paesi comunisti, l’Osce ha nel proprio Dna la ricerca di un compromesso politico tra parti in conflitto che tuteli la sicurezza nella regione attraverso la cooperazione dei governi e nella società civile. Proprio tale vocazione spiega perché l’Osce arrivi per prima a produrre linee guida in una materia cruciale.
Nel mondo contemporaneo, il rapporto tra religione e sicurezza pone una sfida a due facce. Da un lato, nella religione si identifica una causa, spesso la causa, dell’insicurezza su scala globale e locale. Dall’altro, la risposta al fenomeno prende la forma di politiche restrittive nei confronti dei credenti.
Entrambe le facce allarmano. L’emergenza sicurezza ha tante cause e tante sono le traiettorie del religioso. Il rapporto tra insicurezza e fedi, perciò, non va né esagerato né sminuito. Ridurre il problema alla religione, assolutizzando e semplificando, non funziona neppure nei casi in cui è palese la ragione religiosa della minaccia alla sicurezza, come, a seconda dei punti di vista, nel terrorismo islamista e nelle guerre di vendetta anglo-americane in nome della civiltà cristiana. Anche le politiche restrittive della libertà religiosa in difesa della sicurezza sono sbagliate. Di rado nuocciono davvero a chi porta una minaccia reale: più spesso colpiscono nel mucchio, alla rinfusa. Soprattutto, si usa il pretesto della sicurezza per contrastare la diversità religiosa e per proteggere monopoli e privilegi, come in Italia quando si impedisce la costruzione di luoghi di culto non cattolici o si escludono i musulmani dall’8 per mille.
È la deriva di offensive contro la radicalizzazione e l’estremismo attraverso le quali opera una sofisticata macchina della propaganda e si compatta il noi maggioritario a spese del voi religioso minoritario. Ne sanno qualcosa i testimoni di Geova in Russia: altri 6 di loro sono stati appena condannati per «estremismo» a Saratov, sicché è salito a 42 il numero di membri della confessione detenuti nel Paese (in 23 sono poi ai domiciliari, ad altri 21 è stata vietata ogni attività religiosa, e in totale 252 sono sotto indagine).
Trascinati dal vortice, Paesi abituati a politiche aggressive d’ingerenza religiosa hanno aumentato la pressione sulle minoranze, dalla Russia, appunto, alla Turchia e alle repubbliche centrasiatiche postsovietiche, mentre Paesi pure tradizionalmente devoti alla neutralità e all’equidistanza, come Francia e Usa, hanno introdotto pesanti deroghe in vista della costruzione di una religione «moderata» sotto tutela governativa. Il pericolo è avvertito da esperti e attori. Per suonare l’allarme si è coniata l’espressione PVEd religion, dove Pve sta per «prevenzione dell’estremismo violento».
La religione « pvezzata » nel senso di religione subordinata alla prevenzione dell’estremismo violento è anzitutto un problema culturale: se la sicurezza è la lente con la quale s’interpreta il fenomeno religioso, diviene impossibile lo sguardo ampio, aperto, che invece serve di fronte alla diversità religiosa di oggi. Essa è poi un problema politico, e giuridico, quando diventa una categoria ispiratrice delle strategie governative, interne ed estere, in nome della quale si legittimano indiscriminate misure restrittive. Cercano di rispondere, con le cautele e i distinguo necessari, le 70 pagine del documento dell’Osce. Da un lato esso propone un linguaggio, una grammatica, un arsenale di concetti contro confusioni e abusi. Dall’altro lato responsabilizza gli attori. Perché la vera sicurezza si edifica non contro i credenti e le loro comunità, ma insieme ad essi.