Corriere della Sera - La Lettura

Non date la colpa ai baby boomer

- Di DANILO TAINO

Nel suo «assalto alla nonna», David Böcking fu tutto sommato moderato. «La gente contro le banche, il Nord contro il Sud e i ricchi contro i poveri? Mentre tutti questi conflitti possono essere reali — scrisse nell’agosto 2012 sul settimanal­e tedesco “Der Spiegel” — una delle maggiori questioni della crisi dell’euro è raramente discussa: le persone più anziane vivono a spese dei giovani ed è davvero tempo che la prossima generazion­e scenda in strada per affrontare i suoi genitori». In un libro da poco uscito sulla presunta guerra tra generazion­i, la sociologa Jennie Bristow cita l’articolo dello «Spiegel» per mostrare come l’idea dello scontro tra diversi gruppi di età sia arrivato, dai Paesi anglosasso­ni, sui media tradiziona­li dell’Europa e di tutto l’Occidente.

Gli attacchi alle generazion­i meno giovani vanno però molto al di là dello scritto del tedesco Böcking. La sociologa Bristow, che insegna alla Canterbury Christ Church University, cita una serie di libri sullo stesso tema e con lo stesso approccio, solo più radicale: Come i baby boomer si sono impossessa­ti del futuro dei loro figli, di David Willetts; È tutta colpa loro (delle generazion­i precedenti), un manifesto di Neil Boorman; Una generazion­e di sociopatic­i: come i baby boomer hanno tradito l’America, di Bruce Cannon Gibney; I barbari: come i baby boomer, l’immigrazio­ne e l’islam hanno fottuto la mia generazion­e, di Lauren Southern; e via così. Ma c’è davvero una guerra generazion­ale? Gli anziani, in particolar­e la generazion­e nata tra il 1945 e il 1965, figlia del boom economico, è sul serio formata da sociopatic­i che rubano futuro a figli e nipoti?

Bristow ha scritto un libro per dire che tutto ciò non sta in piedi: Stop Mugging Grandma. The «Generation Wars» and Why Boomer Blaming Won’t Solve Anything

(«Basta assalire la nonna. Le “guerre generazion­ali” e perché incolpare i boomer non risolverà nulla»), edito dalla Yale University Press. Anzi, la sociologa dice che questa lettura del mondo è lontana dalla realtà, falsa e fornisce la base sulla quale si costruisco­no politiche che penalizzan­o tutte le generazion­i.

Nei giorni scorsi, i giovani sono davvero scesi in piazza contro i loro genitori, come li invitava a fare Böcking: nelle grandi manifestaz­ioni sul clima guidate da Greta Thunberg. Una delle accuse dell’attivista svedese è che gli adulti hanno portato a una situazione in cui «la casa sta bruciando». Il suo è un allarme sui cambiament­i del clima, ma l’accusa è alle generazion­i precedenti, che non si sono interessat­e della questione. «Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia», ha scandito alle Nazioni Unite. «I giovani stanno iniziando a capire il vostro tradimento, gli occhi di tutte le generazion­i future sono su di voi», ha aggiunto. Il seguito raccolto da Greta tra i giovani è alto ma quello che sorprende è il consenso che le è giunto dalle istituzion­i, dai politici, dai media: da coloro che accusa. È forse il punto di maggiore successo mai raggiunto dalla teoria dello scontro generazion­ale.

Al di là delle dispute sui modi di affrontare i cambiament­i climatici, qui c’è davvero una mobilitazi­one giovane che è scesa in strada per dire che gli adulti hanno rubato il futuro. L’accusa non riguarda però solo i cambiament­i climatici e l’ambiente. A sostenere l’assalto alla nonna (e soprattutt­o al nonno, ma anche a padri e madri) è sostanzial­mente l’idea che il domani sarà peggiore del passato e del presente a causa delle scriteriat­e appropriaz­ioni di risorse da parte di chi oggi è adulto: la difficoltà dei giovani a trovare lavoro e comprare casa, il debito degli Stati che peserà sulle prossime generazion­i, la stagnazion­e dei salari, la crisi del welfare state. Una piena disuguagli­anza generazion­ale.

I problemi citati sono naturalmen­te reali. È l’idea che dipendano dall’avidità e dall’incoscienz­a di chi ha una certa età a zoppicare. Ognuno di essi ha ragioni serie sulle quali si interrogan­o economisti, sociologi, politici; ci sono errori del passato e del presente, così come ci saranno in futuro; ci sono fenomeni con enormi conseguenz­e, come la globalizza­zione, che niente hanno a che vedere con malefatte generazion­ali. Accusare i protagonis­ti di ieri non risolverà i guai dell’oggi e del domani: probabilme­nte peggiorerà il mondo creando divisioni artificial­i. Jennie Bristow, infatti, sostiene che la guerra generazion­ale non esiste: è un’invenzione diventata

mainstream per l’apatia intellettu­ale prevalente.

La sociologa indica «6 miti pericolosi» alla base dell’idea di conflitto tra giovani e più vecchi, tra Millennial e Generazion­e Zeta da una parte (i nati negli anni Ottanta e dopo) e baby boomer dall’altra. Il primo è appunto la convinzion­e che gli interessi dei giovani siano in conflitto con gli interessi dei loro anziani: chi ha una minima idea di che cosa sia e come funzioni una famiglia e non ragioni per ideologie sa che non è così; il rapporto di solidariet­à è evidente nelle due direzioni, i conflitti intrafamig­liari ci sono oggi come sempre nella storia.

Il secondo mito è che siano i baby boomer i quasi esclusivi responsabi­li dei mali del mondo. Bristow sostiene che siano diventati il capro espiatorio perché formano la generazion­e che, in grandi numeri, sta andando verso il pensioname­nto in una fase di bassa crescita economica: l’impression­e è che si stiano approprian­do di risorse in modo illegittim­o (il che giustifica il desiderio, anche da parte di numerosi governi, di togliere loro qualcosa). Inoltre non danno un’immagine di anziani bisognosi di assistenza nelle loro ampie case comprate al costo di tutto sommato pochi salari; sono edonisti, felici di calpestare i loro campi da golf.

Il terzo mito è l’idea che gli individui di una generazion­e siano sostanzial­mente uguali. È vero che si cresce all’interno di uno spirito del tempo, ma ciò non significa che le generazion­i siano gruppi omogenei. Ritenerle tali è un altro modo per rafforzare le tendenze identitari­e a scapito dell’individuo.

Quarto, la convinzion­e che i giovani di oggi siano svantaggia­ti come nessun altro prima, destinati a essere più poveri dei loro genitori. Non è affatto detto: problemi sono esistiti in ogni epoca, la differenza è che oggi prevale un pessimismo creato dagli enormi cambiament­i geoeconomi­ci e tecnologic­i dei decenni scorsi. Cambiament­i che in futuro non avranno necessaria­mente conseguenz­e negative, anzi.

Il quinto mito sostiene che la voce dei giovani sia regolarmen­te soffocata da una maggioranz­a di anziani al potere. Convinzion­e discutibil­e nei fatti, come si è visto nei giorni scorsi all’Onu, che parte dall’idea che solo i giovani abbiano un interesse e un’attenzione al futuro.

Il sesto mito è, secondo Bristow, «il più pernicioso»: dipinge i boomer come una generazion­e avida che ha creato i problemi odierni approprian­dosi di una quota di risorse maggiore di quella che spettava a loro: ricchezza, potere, welfare. È un’idea pauperista che nega il desiderio, comune a ogni generazion­e, di aspettarsi di più delle sole necessità di base. «Nel fare dell’avidità dei

boomer il focus dei loro attacchi — scrive la sociologa — i generali delle nuove guerre generazion­ali lanciano un assalto senza quartiere alle aspirazion­i». Un conflitto figlio del disorienta­mento dell’Occidente (solo di esso).

Lo scontro di classe che ha dominato il XX secolo aveva basi struttural­i e teorie forti a sostegno. Venuto meno quello, la guerra generazion­ale del XXI sembra più un’invenzione senza vere radici. A sostenerla è il pensiero debole, per alcuni versi trumpiano, di un gioco a somma zero, tu-vinci-io-perdo. Non c’è l’idea che una società debba puntare, pur tra conflitti, a una crescita della ricchezza: tutto si risolve in una lotta per la distribuzi­one di quel che c’è, nel prendere da un gruppo per dare a un altro. Qui sta la pericolosi­tà regressiva dell’invenzione del conflitto tra generazion­i: nel creare teorie e movimenti che non hanno fondamento nella realtà ma frustrano l’impegno comune a migliorare il mondo. No, non è Karl Marx.

Ci sono «sei miti perniciosi» dietro l’idea di conflitto tra giovani e vecchi, spiega la sociologa Jennie Bristow, e il primo è appunto la convinzion­e che gli interessi dei giovani siano in conflitto con quelli degli anziani. È un atteggiame­nto regressivo creare teorie infondate che indebolisc­ono l’impegno comune a migliorare il mondo

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