Corriere della Sera - La Lettura
La coabitazione dei tempi detta in versi
Ana Luísa Amaral parte da Shakespeare per incrociare parole e cose
Che cosa c’è e che cosa non c’è in un nome? È quanto si chiede la poetessa portoghese Ana Luísa Amaral. E non è solo domanda, interrogativo; piuttosto si tratta di una serrata verifica, di un controllo, nell’andirivieni tra ciò che è e ciò che si scrive.
Conversevole e lieve, ma profonda, la poesia di What’s in a name e altri versi (traduzione di Livia Apa, Crocetti) arieggia Shakespeare (proprio dal Romeo and Juliet viene la citazione: « What’s in a name? That which we call a rose / By any other name would smell as sweet »), per dire che non sappiamo nulla e che la nostra lingua è impotente e vinta di fronte alla meraviglia dell’Essere; e d’altra parte per suggerire che è necessario continuare a chiamare e a dire. Anzi, più che suggerire o affermare la necessità della parola, questa poesia fa la continua prova dell’intersezione segreta tra verbo e res, «cosa», tra dizione e sussurro vitale.
Nulla assicura il poeta, nulla lo garantisce: eppure egli cerca la sfolgorante coincidenza tra gli universi paralleli dell’esistere e del dire. L’«incontrollabile/ perfezione intera» della creatura non si può catturare, eppure deve essere tentata dalla parola. È per questo che la poesia è convocata da Amaral tra le cose di ogni giorno: è un gesto, un’attitudine quotidiana come il guardare, il mangiare, il destarsi.
La poesia abita la nostra vita e, viceversa, la vita si immerge nella pagina da scrivere: esse si specchiano, sorelle e complici, guardandosi e moltiplicando le loro rifrazioni. Infatti una delle costanti della scrittura poetica di Amaral è il suo tendere all’infinito, portando all’estremo limite il pensabile, alla conseguenza ultima ogni intuizione e ogni segno. Con la consapevolezza che le cose sono tracce di un imprendibile eppure flagrante discorso che ci sovrasta e attraversa, che parla anche in noi e per mezzo di noi. L’allegria passata, ignara di morte, di un giorno lontano è per sempre perduta? Forse no, se, nell’atto di parola, «i tempi coabitano» e «i colori dell’allegria» hanno ancora un «taglio così nitido»: sulla pagina, nel cuore del mistero.