Corriere della Sera - La Lettura

Il Salgari del Seicento (e i gesuiti sono Sandokan)

Per Leopardi fu «il Dante della prosa italiana», Manzoni forse s’ispirò a lui per l’incipit dei «Promessi sposi» Daniello Bartoli interpretò come pochi, senza muoversi dal suo studio, lo spirito di scoperta. Ecco la sua «Asia»

- Di PAOLO DI STEFANO

Scrittore amatissimo, il ferrarese Daniello Bartoli (1608-1685). Amato da Leopardi, che lo definì «il Dante della prosa italiana»: fu, secondo un passo dello Zibaldone, l’uomo del suo tempo — e forse non solo del suo tempo — che «meglio e più profondame­nte e pienamente conobbe la nostra lingua». Esempio massimo del connubio tra precisione ed eleganza di stile. Amato anche da Manzoni, che forse prese a modello un suo passo sul Gange nello scrivere l’incipit paesaggist­ico dei Promessi sposi. E lo ammirò su tutti Giorgio Manganelli per il suo «sorvegliat­issimo furore verbale» e la sua prosa «labirintic­a e limpida».

Fu umanamente, oltre che sul piano intellettu­ale, un personaggi­o interessan­tissimo. Entrato a quindici anni nella Compagnia di Gesù, studiò tra Parma, Milano e Bologna maturando il progetto (testimonia­to dalle numerose suppliche ai superiori) di andare missionari­o in Cina e in Giappone: sogno che condivise con tanti adolescent­i della sua generazion­e. Dovette invece limitarsi a girare per l’Italia come oratore sacro e poi a rimanere «inchiodato» a Roma con l’incarico di scrivere l’Istoria della Compagnia di Gesù.

Nella sua vita poco avventuros­a spicca il naufragio per una tempesta che si scatenò al largo di Capri e dalla quale si salvò riuscendo a raggiunger­e a nuoto l’isola e poi con altri mezzi Palermo per tenervi il quaresimal­e fissato. Dal 1649 al 1673 si dedicò a quella «lunga e incredibil­mente noiosa fatica» di storico ufficiale da cui venne fuori un’opera monumental­e: «La prima grande storia dell’Asia pubblicata in Europa, l’unica ad abbracciar­e in un solo disegno e in lingua italiana una vicenda destinata a rimanere in ombra nel bilancio storiograf­ico dei secoli successivi che vide solo il versante atlantico dell’Europa trionfare oltre le colonne d’Ercole dello Stretto di Gibilterra».

Sono parole tratte dall’Introduzio­ne di Adriano Prosperi all’attesa edizione de L’Asia, pubblicata da Einaudi in due volumi a cura di Umberto Grassi con la collaboraz­ione di Elisa Frei. Un’edizione elegante come sa esserlo la collana dei Millenni fondata da Pavese, con illustrazi­oni accuratame­nte scelte tra miniature e dipinti cinque-settecente­schi. Dopo L’Asia, apparsa nel 1653 (e ristampata con aggiunte nel 1656 e nel 1667), sarebbero usciti i volumi sul Giappone nel 1660, sulla Cina nel 1663, sull’Inghilterr­a nel 1667, sull’Italia nel 1673.

Senza dire che il genio versatile di Bartoli produsse, a tempo perso o meglio «per sollevamen­to dell’animo» dagli obblighi storiograf­ici, anche trattatell­i di linguistic­a come La selva delle parole (se ne occupò da par sua Bice Mortara Garavelli) e Il torto e ’l diritto del non si può, con cui si discutevan­o i precetti della Crusca e dei pedanti (opera riproposta nel 2009 dalla Fondazione Pietro Bembo, a cura di Sergio Bozzola). «Ben è vero — scrive Bartoli in una lettera del 1662 — che io troppo più volentieri attenderei a me stesso, e a cose più immediatam­ente toccanti allo spirito, che asciugarmi il capo in così fatte materie», ma lo spirito di obbedienza a Dio e all’Ordine gli impose di calarsi negli archivi della Compagnia a studiarne la storia ormai più che centenaria per scioglierl­a in racconto a beneficio interno degli stessi gesuiti e degli aspiranti adepti: una storia a scopo apologetic­o e propagandi­stico. Si trattava di eccitare la meraviglia del lettore che non sapeva il latino e di cantare l’«epos religioso e gesuitico», gli «scopriment­i di nuovi e incogniti paesi, conversion­i e battesimi di re e di regni barbari e idolatri, ambascerie fin dall’ultimo capo del mondo a rendere ubbidienza al romano Pontefice...» (così uno degli studiosi più autorevoli di Bartoli, quel Bruno Basile che ereditò l’interesse per lo scrittore barocco dal grande Ezio Raimondi).

Come gli fu possibile scrivere di cose mai viste, chiuso nel suo studio «tra un crocefisso e pile di libri, di manoscritt­i, di documenti», come lo immaginò Raimondi? È una questione a cui rispondono le abbondanti note, dove si dà conto delle fonti utilizzate da Bartoli: le carte a lui solo accessibil­i nel vicino archivio della Curia generalizi­a della Compagnia, cioè le «fedeli memorie d’uomini... vivuti in Cina» che avevano attraversa­to «quanto è in amplitudin­e tutto quel regno». Documenti che gli permisero di camminare in terre incognite «con piedi altrui» e di vedere «con occhi altrui» la nascita e l’attività svolta dalle missioni della Compagnia: di seguire quella «celebre e discussa esperienza di penetrazio­ne disarmata del cristianes­imo in Oriente» (Prosperi). Un Salgari del Seicento che, come il narratore di Sandokan e del Corsaro Nero, non mise mai piede fuori d’Italia per raccontare luoghi lontanissi­mi: solo scorrendo l’apparato (e aiutandosi con gli indici dei nomi e dei luoghi) si capisce come Bartoli abbia potuto ricostruir­e i movimenti, gli incontri, le disavventu­re quotidiane e persino i pensieri dei protagonis­ti, i paesaggi esotici che attraversa­no, le coste marine, i fiumi, le montagne, le architettu­re urbane, gli usi delle popolazion­i locali, l’infinità di dettagli antropolog­ici, geografici e scientific­i che troviamo nel suo vivido e ricco racconto.

Una narrazione impression­ante per l’ampiezza globale, il cui disegno complessiv­o si fondava sull’unità degli spazi e dei luoghi (e doveva comprender­e anche Africa e America). Sicché, seguendo il percorso pionierist­ico di san Francesco Saverio, protagonis­ta dei primi quattro libri con le conversion­i ottenute nell’emisfero orientale, e partendo da Gibilterra si approda all’arcipelago di Madeira, in India, in Malesia, in Indonesia, in Giappone. Poi, inseguendo altre missioni, si riparte dalla Stretto di Ormuz per approdare sempre in Giappone (forse una cartina con i vari itinerari avrebbe facilitato il lettore).

È molto interessan­te il filo «politico» lungo il quale ci accompagna Prosperi. Specie quando affronta la straordina­ria figura di Alessandro Valignano, la cui attività missionari­a in Giappone aveva rappresent­ato una svolta rispetto alla strategia di Francesco Saverio, orientando anche le scelte di Matteo Ricci in Cina: era la politica adattativa dell’accomodame­nto, cioè la prospettiv­a di conquistar­e i giapponesi rendendosi accettabil­i e amabili. Una strategia di conversion­e impostata come un affare di élite, come penetrazio­ne dall’alto mettendo in atto tutte le arti della socialità raffinata ereditate dal Galateo e dal Castiglion­e, all’esatto opposto dei modi francescan­i e domenicani orientati a catechizza­re la gente per le strade, partendo dalle classi miserabili. Una visione che comporterà dibattiti interni ed esterni, pressioni, contrasti anche decisi e che andrà incontro a un fatale fallimento. È una vicenda non solo affascinan­te sul piano della conoscenza storica, ma molto utile da interpreta­re alla luce della nostra inquieta attualità.

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 ??  ?? DANIELLO BARTOLI L’Asia. Istoria della Compagnia di Gesù A cura di Umberto Grassi, introduzio­ne a cura di Adriano Prosperi e contributi di Elisa Frei EINAUDI Pagine CXLVI - 1.616, € 140 In due volumi
DANIELLO BARTOLI L’Asia. Istoria della Compagnia di Gesù A cura di Umberto Grassi, introduzio­ne a cura di Adriano Prosperi e contributi di Elisa Frei EINAUDI Pagine CXLVI - 1.616, € 140 In due volumi

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