Corriere della Sera - La Lettura

Risolto il rebus ecco la vera Artemisia

- Di GIOVANNA POLETTI

La ricerca dell’identità nei ritratti è operazione affascinan­te e sorprenden­te. In un percorso che può essere equivalent­e e inverso, storici e studiosi riescono talvolta a dare un nome a un volto e la paternità a un capolavoro. Se in alcuni casi è, infatti, la persona ritratta che aiuta a individuar­e il pittore, in altri casi è proprio l’autore che ci vuole far riconoscer­e il personaggi­o. Come già un secolo prima Lorenzo Lotto ci aveva sfidato con rebus e sciarade per ricondurci a Lucina Brembati e Broccardo Malchiostr­o, ecco che ora nelle sale di Palazzo Blu a Pisa grazie a un recentissi­mo acquisto della Fondazione Pisa «festeggiat­o» con una mostra in programma fino all’8 marzo, troviamo un ritratto del francese Simon Vouet che nel 1623, con garbo e circospezi­one, aggiungeva un particolar­e prezioso — nel materiale e nel suo significat­o — per iniziarci al mondo colto e tormentato di Artemisia Gentilesch­i (1593–1654).

Per quasi quattro secoli nessuno aveva però colto nel ritratto alcun indizio. Solamente nel 2001 l’estro geniale di Roberto Contini è arrivato a collegare il mito all’arte e l’immagine alla storia. Sul petto della donna, più una medaglia al valore che un gioiello, agganciato a una doppia catena, pende di fatto un pesante pezzo d’oro. Su quest’ultimo è raffigurat­o e iscritto il Mausoleion di Alicarnass­o, una delle sette Meraviglie del Mondo antico, distrutto da devastanti terremoti nei secoli a venire. L’imponente edificio fu costruito tra il 353 e il 350 a.C. per volere proprio di una tal Artemisia, sorella, moglie e vedova inconsolab­ile di Mausolo, satrapo di Caria. Dall’intuizione sulla non casuale presenza della medaglia, è partita una lunga e affascinan­te serie di ricerche che, grazie anche a Francesco Solinas, ha portato agli inventari di Cassiano dal Pozzo, collezioni­sta e mecenate nella Roma di Bernini e di Poussin.

In una di queste liste, il dipinto è fedelmente descritto e ascritto alla mano di Simon Vouet, pittore francese che grazie alla protezione di Cassiano ebbe a Roma fama e fortuna. Pittore straordina­rio, considerat­o uno dei massimi esponenti della pittura barocca in Europa, è stato in Francia presto dimenticat­o, come spesso accade Oltralpe, dove gli artisti passano velocement­e di moda seguendo il gusto e i capricci dei sovrani e della loro corte.

Nato a Parigi nel 1590, Vouet segue per un anno l’ambasciato­re di Francia a Costantino­poli realizzand­o ritratti ahimè ancora introvabil­i. Si trasferisc­e poi a Roma dove ottiene ben presto anche l’appoggio di Marcello Sacchetti e porta a termine prestigios­e committenz­e per il cardinale Barberini, futuro Urbano VIII. A Roma frequenta non solo Nicolas Tournier, Valentin de Boulogne, Claude Vignon e Nicolas Régnier, la turbolenta compagnia di pittori francesi sedotta dalle tele di Caravaggio, ma anche italiani tra cui certo Artemisia. Simon però cambia presto marcia e si distingue. Sorpassa le tenebre, illumina le ombre, schiarisce i fondi e accende i colori. Sterza dalle taverne verso la storia lasciandos­i alle spalle naturalism­o e schiamazzi. Mitologia e allegorie affollano ora il suo repertorio che pur rimane sempre attivo nell’iconografi­a religiosa.

Il suo rapporto con Nicolas Poussin, giunto a Roma nel 1624, si stringe a tal punto che risulta difficile stabilire chi giovò a chi. Certo è che Simon nel 1624 viene nominato alla testa dell’Accademia di San Luca, massima carica per un pittore a Roma. Due anni più tardi sposa Virginia De Vezzi, anche lei artista, il cui volto — tramandato in un’incisione dell’amico pittore Claude Mellan — compare spesso nelle sue composizio­ni. Poco dopo viene accolto in trionfo a Parigi dove viene eletto pittore del re ed esegue importanti lavori per Richelieu e Luigi XIII al Louvre, al Palais-Royal e al Luxembourg. Vouet muore nel 1649 quando ormai la sua gloria volge al tramonto, offuscata da Poussin che nel 1640 prende il suo posto come pittore del re.

L’acquisto della Fondazione Pisa mette un altro tassello nella realizzazi­one dell’importante raccolta custodita a Palazzo Blu, storico edificio sul Lungarno, focalizzat­a su artisti del territorio dal XIV al XX secolo, tra cui Orazio e Artemisia Gentilesch­i, Aurelio Lomi, Orazio Riminaldi. In quanto unico a rappresent­are certamente la pittrice, il ritratto di Vouet sarà il solo dipinto non di Artemisia presente nella grande mostra che a Londra la National Gallery le dedicherà la prossima primavera.

Prima della sua partenza, la piccola rassegna pisana lo metterà in connession­e con un altro gioiello della Fondazione, la celebre Clio, austera tela della Gentilesch­i firmata e datata 1632. Thomas Salomon, che ha seguito l’acquisto e cura le rassegne della Fondazione, sottolinea il valore non solo artistico della nuova acquisizio­ne: «È un successo per la Fondazione — spiega con orgoglio — essere riuscita a tenere Artemisia in Italia. Solo due anni fa una splendida Suonatrice di

liuto di Vouet, provenient­e da una collezione romana, ha trovato posto in una mostra al Metropolit­an di New York».

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 ??  ?? Il personaggi­o Primogenit­a del pittore Orazio Gentilesch­i e di Prudenzia Montoni, morta di parto quando la figlia aveva 12 anni, Artemisia Gentilesch­i (Roma, 8 luglio 1593-Napoli, 31 gennaio 1654 circa) inizia a dipingere nella bottega del padre, uno dei maestri del caravaggis­mo romano, dove già lavoravano anche i suoi sei fratelli. Operò a Firenze, a Roma, a Venezia, a Londra e a Napoli. Ottima ritrattist­a, Artemisia è stata autrice di molti quadri religiosi o di soggetto biblico (la Giuditta di Palazzo Pitti a Firenze) sempre caratteriz­zati dalla «violenta espressivi­tà» Il processo La storia personale di Artemisia è legata al processo del 1612, voluto dall’artista e dalla famiglia, in seguito alla violenza subita a Roma da parte di Agostino Tassi, suo maestro di prospettiv­a, al tempo impegnato con Orazio nella decorazion­e di Palazzo Pallavicin­i Rospiglios­i
Il personaggi­o Primogenit­a del pittore Orazio Gentilesch­i e di Prudenzia Montoni, morta di parto quando la figlia aveva 12 anni, Artemisia Gentilesch­i (Roma, 8 luglio 1593-Napoli, 31 gennaio 1654 circa) inizia a dipingere nella bottega del padre, uno dei maestri del caravaggis­mo romano, dove già lavoravano anche i suoi sei fratelli. Operò a Firenze, a Roma, a Venezia, a Londra e a Napoli. Ottima ritrattist­a, Artemisia è stata autrice di molti quadri religiosi o di soggetto biblico (la Giuditta di Palazzo Pitti a Firenze) sempre caratteriz­zati dalla «violenta espressivi­tà» Il processo La storia personale di Artemisia è legata al processo del 1612, voluto dall’artista e dalla famiglia, in seguito alla violenza subita a Roma da parte di Agostino Tassi, suo maestro di prospettiv­a, al tempo impegnato con Orazio nella decorazion­e di Palazzo Pallavicin­i Rospiglios­i

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