Corriere della Sera - La Lettura
Una chiave che ci riporta a casa
Frontiere Céline Tricart ha ottenuto il Gran premio della giuria alla Mostra: «The Key» trasforma lo «storytelling» in «storyliving»
La prima richiesta della donna è di non dimenticare mai la chiave. La seconda, di aiutarla a cercare, tra i suoi sogni, le memorie perdute dell’infanzia. Quando entriamo nell’anticamera di
The Key, l’esperienza immersiva scritta e diretta da Céline Tricart vincitrice del Gran premio per la miglior opera Vr al Venice Virtual Reality, è paradossalmente una donna in carne e ossa ad accoglierci.
Una volta accettata la missione, possiamo infilare visore e controller e penetrare in uno scenario onirico e famigliare: l’interno di un’abitazione sospesa dalle nuvole, parte di una città celeste visibile da ogni finestra, dove si è liberi di interagire con tre sfere animate incandescenti che siamo invitati a custodire. Impresa che si dimostra subito non scontata: un’esplosione distrugge le mura e disperde ogni sfera nell’etere, mentre precipitiamo in scenari apocalittici dove dovremo fuggire, inclusi in una fila di ominidi dal volto bianco, da un mostruoso leviatano, verso un’ipotetica terra promessa.
È nelle transizioni tra queste visioni che si rivela, in un risveglio segnato dal passaggio dall’animazione all’immagine fotografica, il trauma dimenticato: una casa distrutta dai bombardamenti in Medio Oriente, la necessità di emigrare verso un porto sicuro, l’assenza di accoglienza. Unico elemento onirico a permanere, una volta rimosso il visore, è ancora la chiave. È infatti intorno a quest’ultima, spiega Céline Tricart, che nel 2018 è nata l’idea dell’esperienza, grazie all’incontro con Lauren Brockett, responsabile dell’associazione no profit Friends of Refugees: «È stato quando Lauren mi ha raccontato la storia di molti rifugiati che conservano la chiave della loro casa, anche se potrebbe non esistere più e probabilmente non vi faranno mai più ritorno, che ho capito di avere la storia di cui avevo bisogno».
La singolarità maggiore di The Key consiste nell’immaginario fantastico, denso di realismo magico, con cui affronta la migrazione, le cui fonti d’ispirazione dichiarate sono Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro e
Big Fish di Tim Burton. Una metafora onirica che tiene conto della profonda analogia tra l’immersione in ambienti virtuali e la dimensione del sogno. Tricart afferma di essere lei stessa una sognatrice lucida: «La prima volta che ho provato un sistema di realtà virtuale room
scale (tecnologia che traduce in tempo reale l’ambiente circostante e l’interazione degli utenti in immagini Vr,
ndr) ho pensato che fosse la cosa più vicina ai sogni lucidi di cui abbia mai fatto esperienza».
Anche The Key sfrutta a pieno questa tecnologia, combinando diverse forme di interattività, dal teatro immersivo al videogame. Questo processo cambia radicalmente l’idea di storytelling, che si tramuta in storyli
ving: «La maggiore sfida per me era creare l’interattività senza perdere la via dell’emozione». La chiave è la semplicità: non sono infatti previsti compiti complessi come in un videogame, basta toccare personaggi e oggetti per interagire con loro.
Si è spesso parlato, a partire dal Ted Talk di Chris Milk del 2015 e da Carne y Arena (2017) di Alejandro González Iñárritu (presentato alla Fondazione Prada di Milano), della realtà virtuale come «definitiva macchina dell’empatia». Lo stile di Tricart si differenzia però radicalmente dal proposito di mettere l’utente nei panni di qualcun altro: «Penso che chiunque nel campo della Vr sia stanco di sentire la parola d’ordine della “macchina dell’empatia”. È incredibilmente difficile ottenere empatia, nella Vr come al di fuori». Al contrario, è importante che sia lo stesso vissuto del «visitatore» a entrare in gioco nell’immersione virtuale: «Quel che importa di più per me sono la storia e il modo in cui l’audience ne fa esperienza. La Vr è un medium in prima persona».
Su come questa tecnologia possa rappresentare anche un’opportunità politica, Céline Tricart si divide tra dubbi e speranze: «Il mio desiderio è che si crei un legame tra “spettatori” e rifugiati. Durante il Festival di Venezia ho visto alcuni politici provare The Key. Sarà abbastanza per cambiare il modo in cui l’Italia affronta il tema dei migranti?». I sogni spesso portano consiglio.