Corriere della Sera - La Lettura
UNA VITA VERA
Dunque: Bob Chabon è morto il 22 marzo 2019 a 80 anni. Era nato a Brooklyn senza mai perderne l’accento. Aveva studiato medicina, fu dottore anche per la Marina (in Arizona, che non ha sbocco sul mare...). Si dedicò alla salute dei bambini, soprattutto quelli maltrattati. Diresse ospedali, dove portava l’ordine nel caos. Parlava di tutto, di baseball, politica, di libri. Rileggete il cognome. Poi guardate il nome dell’autore di questo testo. È tutto chiaro
È morto il 22 marzo 2019. Nacque a Brooklyn, New York, il 2 dicembre 1938 e trascorse lì i suoi anni formativi, fan appassionato di Jackie Robinson, Duke Snider e degli altri grandi del baseball del suo tempo. Precoce, intelligente e adorato figlio unico dei suoi genitori, Irene e Irving, non perse mai l’accento della classe operaia di Brooklyn né l’ambizione di diventare qualcuno nel mondo.
Dopo essersi diplomato alle scuole medie «Walt Whitman», si trasferì con i genitori a Washington D.C., dove frequentò il liceo «Anacostia» prima di andare alla George Washington University e alla Georgetown Medical School. Dopo essersi laureato a Georgetown nel 1963, si specializzò in pediatria e lavorò per alcuni anni nel servizio sanitario pubblico, presso la Guardia costiera degli Stati Uniti, che astutamente, diceva sempre scherzando, lo collocò in Arizona, stato senza sbocchi sul mare, dove fu assegnato al Phoenix Indian Hospital.
La sua lunga carriera come medico è stata caratterizzata da due preoccupazioni prioritarie: la salute e il benessere dei bambini, in particolare i più vulnerabili; e la riforma e il miglioramento del modo in cui l’assistenza sanitaria veniva fornita negli Stati Uniti. Fu uno dei primi a occuparsi della causa dei bambini maltrattati quando negli anni Settanta essa divenne un tema di pubblico dibattito, fondando un programma rivoluzionario per la loro cura al Mt. Washington Pediatric Hospital di Baltimora.
Dopo avere conseguito nel 1976 la laurea in giurisprudenza presso l’Università del Maryland, divenne un consulente e un esperto molto ricercato dai querelanti in centinaia di casi di negligenza nelle cure pediatriche.
Divenne medico all’entrata in vigore del programma di assicurazione medica Medicare e fu un fervente sostenitore di quel che non smise mai di chiamare con orgoglio «medicina socializzata».
Uno dei suoi più grandi rimpianti, oltre a quello di non poter sopravvivere all’attuale amministrazione presidenziale, era sapere che sarebbe morto prima che il «Medicare per tutti» diventasse realtà.
Nel 1969 il suo interesse per i metodi alternativi di assistenza sanitaria lo portò a trasferirsi con la famiglia — la prima moglie Sharon e i loro due figli, Michael e Stephen —- nella «New City» di Columbia, nel Maryland, dove la Connecticut General Life Insurance Company aveva lanciato un modello pionieristico per fornire assicurazioni sanitarie, l’Hmo.
In seguito divenne Assistente e poi Aiuto di pediatria presso il Sinai Hospital di Baltimora, prima di subentrare nell’operazione di risanamento di un ospedale pediatrico privato in crisi, Happy Hills, reinventandolo come Mt. Washington, con la missione di trattare i bambini malati e maltrattati di Baltimora che non erano coperti da assicurazioni mediche.
Fu al Mt. Washington, a metà degli anni Settanta, che incontrò l’amata seconda moglie Shelly, logopedista e audiologa pediatrica, con cui visse per i rimanenti quarantadue anni. Con lei si trasferì da Baltimora a Pittsburgh, dove Bob prestò servizio come Direttore di pediatria al Mercy Hospital, fu professore di diritto alla Duquesne University e aggiunse al suo formidabile arsenale di qualifiche professionali una terza laurea, un Master in Sanità pubblica presso l’Università di Pittsburgh; ed ebbe altri due figli, Andrew e Daniel. Sempre alla ricerca di nuove sfide professionali (la sua specialità, in qualità di direttore sanitario di un ospedale e poi di interi sistemi ospedalieri, era «portare ordine nel caos»), la sua irrequietezza lo portò nel successivo quarto di secolo da Pittsburgh ad Atlanta, nella Virginia del Nord, a Kansas City e a Portland, in Oregon, dove anche in «pensione» fece il consulente per gli studi legali di Jack Olender e Johnnie Cochran in centinaia di casi di negligenza medica; e dove è morto, venerdì mattina presto, dopo avere lottato per quasi due anni con problemi di insufficienza renale, cardiaca ed epatica.
Gli sopravvivono Shelly, tutti e quattro i figli e sette nipoti affezionati.
Intorno all’età di quindici anni, Bob Chabon decise che l’aspirazione della sua vita era essere un uomo del Rinascimento, un’ambizione che continuò a perseguire, metodicamente e con gioia, nei successivi sessantacinque anni. Appassionato di musica classica, baseball e letteratura, coltivava con passione interessi in molti altri campi, dalla storia alla filosofia e all’etica, dai Simpson all’economia e alla linguistica, dai film classici di mostri dei Toho Studios alla fisica teorica alla politica americana.
Era un abile giocatore di scacchi, un appassionato collezionista di francobolli e cimeli pop e un vivace narratore che non temeva di ravvivare le sue storie con un po’ di colore proveniente dalla sua fervida immaginazione. Era sempre pronto a offrire un’opinione informata su una vertiginosa varietà di argomenti, dalle prospettive sulla scelta di un college alle possibilità di impeach
ment, al posto migliore dove andare a mangiare gli involtini cinesi o bagel e salmone affumicato. Leggeva sempre almeno tre libri contemporaneamente, spesso di più, e non mancava mai di passare religiosamente in rassegna la sua selezione di periodici e siti web, tra cui il «New Yorker», «Foreign Affairs», «Baseball Prospectus» e la «New York Review of Books».
Tutti coloro che conoscevano, amavano e rispettavano Bob Chabon sarebbero d’accordo nel sostenere che esprimeva al meglio le sue considerevoli doti quando qualcuno era nei guai e aveva bisogno dell’aiuto (sempre offerto generosamente e senza farsi pagare) di un uomo particolare, insolitamente brillante, capace e intraprendente, che era medico, avvocato e persona di rara esperienza e acuto giudizio.
Alla fine della sua vita, queste persone erano numerose e sparse ovunque, e sempre si sentivano migliori dopo averlo conosciuto, dimostrandogli invariabilmente devozione e affetto.