Corriere della Sera - La Lettura

Il giovane Gatsby che Fitzgerald tacque

- Di EDMUND WHITE

Era stato assunto a titolo piuttosto vago: finché rimase con Cody fu a turno assistente di bordo, aiutante, skipper, segretario e persino carceriere, poiché il Dan Cody sobrio sapeva di quali sperperi il Dan Cody ubriaco era capace, si premunì contro tali contingenz­e e ripose in Gatsby fiducia sempre maggiore. L’accordo durò cinque anni, durante i quali la barca fece il giro del continente per ben tre volte. Sarebbe potuto durare all’infinito se, una sera, a Boston non fosse salita a bordo Ella Kaye e Dan Cody non fosse stato così ben poco ospitale da morire una settimana più tardi.

«H a i u n b e l c o r p o » , di s s e l’uomo sullo yacht al ragazzo a petto nudo nella barca a remi. James Gatz s orr i s e; per l ui l o yacht rappresent­ava tutta la ricc hezza e i l gl a mour del mondo. Sapeva che il suo sorriso funzionava con le donne, giovani e vecchie. Si chiese se avrebbe funzionato su un uomo, un uomo più grande. Gatz era determinat­o a fare colpo su di lui, la prima persona ricca che avesse incontrato in tutti i suoi inconclude­nti 17 anni. Si chiedeva dove si nascondess­ero tutti i ricchi, gli uomini in smoking e le donne in abiti di seta lunghi che ne avvolgevan­o i corpi meraviglio­si, la gente da sogno che vedeva nei film. La persona più ricca che avesse mai conosciuto era il dentista di famiglia. «Devo avvertirvi di una cosa». «Vieni su a bere qualcosa e parliamone», disse l’uomo con un gran sorriso stupido. «Okay». L’uomo sembrava ubriaco. Indicò vagamente la poppa dello yacht e Gatz remò fin lì, dove le fiancate bianche sfavillant­i, riflesse nell’acqua del lago, si trasformav­ano in un rivestimen­to di mogano lucido con il nome dello yacht in maestose lettere d’oro: TUOLOMEE e, in caratteri più piccoli sotto, il porto di origine: Barbary Coast. Le lettere sembravano il nome di una banca.

Gatz legò la barca al piolo più basso della scala, si infilò la maglia verde, si passò una mano tra i capelli e corse su per la scala. Lì, su una sedia a sdraio in legno e tela, il comandante era quasi addormenta­to. Si stava rovesciand­o il drink sui pantaloni bianchi. Era vestito come un’imitazione da vaudeville dell’uniforme di un capitano della marina: tutto bianco, cappello bianco da ufficiale, una doppia fila di bottoni di ottone lucido e pantaloni sfilacciat­i e tagliati all’altezza della coscia. Era scalzo e si stava versando addosso il drink marrone. Forse fu il ghiaccio sul cavallo dei pantaloni a farlo tirare su a sedere. «Dan Cody», disse, abbozzando un debole saluto militare che fece spostare da un lato il bordo del cappello.

«Sono Jay Gatsby», disse il giovane, avanzando per stringere la mano floscia. Aveva inventato quel nome durante le notti febbrili e insonni in cui si fabbricava sogni di gloria, di ricchezza, di belle donne. Non aveva mai detto ad alta voce il suo nuovo nome. L’uomo, Dan, sembrò accettarlo. «Volevo solo avvertirvi di andare più al largo; questo è un punto pochissimo profondo della Little Girl Bay. Se si alzasse il vento, lo yacht potrebbe finire a pezzi in... un battibalen­o». Non aveva mai detto «in un battibalen­o» prima, ma lo aveva sentito dire al suo insegnante di inglese delle superiori.

«In un battibalen­o, dici? Grazie per avermelo detto». Si avvicinò barcolland­o a un tubo di stoffa attaccato a una bocchetta di ottone. «Ehi, Bart, ho uno del posto qui che dice che dovremmo spostarci e gettare l’ancora più al largo. Dice che un forte vento potrebbe distrugger­ci in un battibalen­o».

Un uomo grassoccio con la barba in pantalonci­ni si arrampicò sulla passerella. Aveva tatuaggi di pesci all’interno di ciascun polpaccio, tatuaggi neri sfocati.

Jay Gatsby spiegò il problema a Bart, che disse che si sarebbe spostato immediatam­ente. Bart guardò al di là della poppa e notò la barca a remi. «Che hai intenzione di fare con quella?». Concordaro­no che Jay avrebbe portato la barca a noleggio remando fino alla riva, seguito da un membro dell’equipaggio nella scialuppa di salvataggi­o dello yacht, che lo avrebbe poi riportato indietro.

«Non posso farmi sfuggire così presto uno tanto attraente», disse Dan. La discussion­e lo aveva rianimato o almeno lo aveva fatto concentrar­e.

Gatsby ( questo è il mio nome: Jay Gatsby) era contento che Dan avesse notato che era attraente. Non era sicuro che altri uomini potessero giudicare l’aspetto fisico maschile.

Presto erano al sicuro in acque più profonde e avevano gettato l’ancora. Quando Bart tornò sul ponte, Dan disse: «Porta da bere al mio amico qui. E di’ ai ragazzi che saremo in due a cena. Dunque, giovanotto... Jay, vero?». «Sissignore, Jay Gatsby». «Non mi chiamare “signore”, mi fa sentire vecchio. Sono Dan. Probabilme­nte sei curioso di sapere di me, come un diamante grezzo sia finito su uno yacht»

A Jay non era mai passato per la testa di essere curioso di nessuno. Voleva suscitare curiosità negli altri. Sentì che stava trattenend­o il respiro e che dentro, nei polmoni che stavano per esplodere, c’era il meraviglio­so segreto di sé stesso, pronto ad essere lasciato andare. «Dimmi, Dan, di come hai fatto fortuna».

Dan gli disse di come era andato in cerca nello Yukon negli anni Settanta ma che non era diventato ricco fino a quando non aveva trovato il rame in Colorado poco prima dell’inizio del nuovo secolo e come il rame lo aveva reso molte volte milionario.

L’idea di così tanti soldi eccitò Jay. «Dan, dimmi: come un giovane come me può fare fortuna?».

«Aspettiamo fino a cena. Vuoi mangiare qui su o pensi che pioverà?».

«Nella tua cabina», disse Jay, sempliceme­nte perché voleva vedere il resto dello yacht.

Dan sembrava apprezzare le preferenze decise di Jay. Annuì e diede istruzioni nel tubo di stoffa.

La cabina di Dan era accoglient­e e semplice. Lampade dalla luce soffusa con paralumi rosso-ciliegia si allungavan­o verso la stanza su aste di ottone retraibili. C’era un letto singolo lungo una parete. Tutti i cassetti in mogano avevano maniglie a filo in ottone. Il piccolo tavolo da pranzo in mogano poggiava su una base pieghevole in ottone e poteva essere allungato. La «testa», come Jay apprese che si chiamava il gabinetto, era compatta e fatta in teak. Il pasto, al contrario della sobria cabina, fu sontuoso e i diversi vini richiesero tre bicchieri di cristallo di varie dimensioni e forme. Un grande ritratto ad olio di Dan li guardava dall’alto in basso.

«Pensi che dovrei andare a Ovest in cerca?», chiese Jay.

«Nah, quei giorni sono passati», disse Dan. «Vai a Est e investi, dico io. Ma prima dovresti lavorare per me». «A fare che?». «Non saprei. Segretario, forse. Come è la tua scrittura?».

«Ho una bella grafia stile copperplat­e, ma la mia ortografia...».

«Comandante o secondo? Non che sia importante. Come te la cavi come carceriere?». «Prego?». «Quando mi ubriaco, scendo a terra e comincio a buttare soldi in giro con le donnine. È allora che ho bisogno di qualcuno che mi metta sottochiav­e finché non torno sobrio».

«Certo», disse Jay, sorridendo con il suo sorriso strappacuo­re. «Per te potrei farlo. Potrei metterti sottochiav­e».

«Le donnine sono la mia rovina». Quando Jay non chiese perché, Dan si offrì volontario: «Adoro vederle nude». Jay continuò a sorridere. «Ma quando sono nude non so cosa farne. Pensa che ho bevuto così dannatamen­te tanto che mi si è rammollito un po’ il cervello».

Quando Jay non fece la domanda successiva, Dan disse: «Pensa che non è l’unica cosa che resta molle». «Non proprio bello, eh?». «Non ridere di me», disse Dan. «Non penserei mai di...». «Non hai mai quel problema tu, scommetto». «Direi di no». «Beh, forse potrei guardarti da un posto segreto mentre le pompi».

«Forse. Perché no?». Jay non voleva essere toccato da un altro uomo, ma guardare sembrava okay. Soprattutt­o se Dan era quello che portava le ragazze.

Bevvero fino a notte fonda, tornando sul ponte. Le nu

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