Corriere della Sera - La Lettura
Così il Dna ci induce a credere all’oroscopo
I meccanismi evolutivi alimentano pregiudizi pericolosi
Se ci si fermasse alla «scorza» del titolo, il nuovo libro di Gilberto Corbellini Nel Paese della pseudoscienza (Feltrinelli) sarebbe «solo» una denuncia mirata su un letale vizio italiano: l’inclinazione alla credulità come nemesi sarcastica (e tragica) del compiaciuto culto dell’astuzia e del sotterfugio. Su un Paese (vedi i casi Di Bella e Stamina, a rigore pseudo-medicina) simile a quello di Acchiappacitrulli (reame del Gatto e della Volpe) nella geniale geografia collodiana. In realtà, mostrando in quella credulità (in cui il nostro Paese primeggia, ma di cui non ha l’esclusiva) un tratto particolare di una più generale predisposizione cognitiva (ed emotiva) dell’Homo sapiens, il testo va molto oltre, connettendosi, nelle tesi d’insieme, ad altri libri dell’autore, a partire da Scienza, quindi democrazia (Einaudi, 2011).
L’asse concettuale del percorso è il mismatch («dissonanza»), termine che indica come certi tratti risultati adattativi nell’ambiente e nel tempo in cui vennero selezionati (il tardo Paleolitico) risultino oggi in parte disadattivi. Il che vale sia sul versante biomedico (l’alimentazione ipercalorica necessaria ai cacciatori-raccoglitori diventa, in vite sedentarie, fonte di patologie come il diabete), sia su quello neuro-cognitivo. Perché se è vero che «la selezione non premia la capacità di spiegare le cose o l’uso della verità», ma la sopravvivenza e la riproduzione, questo non vale più in ambienti e contesti complessi come quelli attuali: schemi funzionali a prescindere dalla «corrispondenza con i fatti» (come il ritenere la Terra piatta) rischiano di tramutarsi in bias (pregiudizi) ingannevoli e disfunzionali. E qui Corbellini provvede a un regesto inedito per ampiezza e sottigliezza, spiegando pressoché tutti quei bias, da quello basilare «di conferma» (la ricerca selettiva di informazioni che rinsaldino i propri preconcetti) a quello del «punto cieco» (cogliere i bias altrui, ma non i propri), dall’«effetto Barnum» (ritenere unici tratti individuali universali, premessa ideale per credere a oroscopi e divinazioni) all’effetto backfire (reagire alle critiche irrigidendo la propria posizione fino al dogmatismo), e così via.
È un ventaglio che incide proprio in tante credenze pseudoscientifiche, con le relative ricadute: vedi, tra i tanti esempi, l’isteria no-vax (che potrebbe portare a focolai consistenti di malattie «estinte») o il negazionismo climatico, che rischia di spostare fuori tempo massimo legislazioni e abitudini ecologiche adeguate. Ma è un ventaglio estendibile anche ad altri ambiti cognitivi e psico-sociali: vedi i social media, dove la tossicità delle fake news (spesso in sinergia perversa con la stessa pseudoscienza e il complottismo) è resistente alle correzioni del fact-checking e del debunking, e dove proliferano le echo chamber, in cui gruppi di utenti — escludendo gli «indesiderati» — si chiudono in un autismo da setta, impermeabile a ogni senso critico.
La posta in palio, alla fine, è la mutazione, se non la sopravvivenza, dell’istituzione democratica, in una partita dall’esito molto incerto. Se infatti, come ricorda Corbellini, i bias cognitivi sono da un lato «di default» (in quanto scremati dalla selezione) e dall’altro rinforzati dall’attuale paesaggio sociale, contrastarli con gli strumenti appropriati (informazione corretta, istruzione, sapere e metodo scientifico) non sarà semplice. Con l’emersione di un interrogativo già posto da Thomas Jefferson (che non a caso aveva contribuito a plasmare la Costituzione americana su leggi ispirate alle scienze naturali): se «il popolo nel nome del quale nasceva quell’esperimento politico» (la democrazia) fosse «culturalmente» all’altezza di gestirne le conquiste.
Nel momento in cui (pur con buone ragioni di partenza, dalla miopia degli establishment all’erosione di tante classi medie) il «popolo» globale tende all’ossimoro delle «democrazie illiberali», la risposta sembra chiara. Non solo il Paese di Acchiappacitrulli è più esteso e puntiforme di quanto si credesse, ma sta virando verso una distopia neo-orwelliana.