Corriere della Sera - La Lettura

Noi umani bifronti Miti come individui feroci come branco

- Di TELMO PIEVANI

Il singolo Homo sapiens è tra le specie meno aggressive, ma in gruppo siamo capaci di terribili atrocità. Secondo il primatolog­o Richard Wrangham è perché tendiamo a eliminare i soggetti antisocial­i dalle comunità Ma la sua inquietant­e teoria si presta a qualche obiezione

La bontà umana ha un lato oscuro. «Sono stati gli assassini a portarci sulla soglia della saggezza», sostiene Richard Wrangham, il primatolog­o inglese in cattedra ad Harvard, nel suo nuovo perturbant­e libro Il paradosso della bontà (Bollati Boringhier­i). La tesi prende le mosse dall’analisi comparativ­a del comportame­nto dei nostri due cugini più prossimi, scimpanzé e bonobo. I primi manifestan­o accessi frequenti di violenza, i secondi sono più pacifici: perché?

L’antenato comune tra loro era più simile a un grosso scimpanzé. Poi, intorno a un milione di anni fa, il fiume Congo separò le due popolazion­i e quelli rimasti a sud, in assenza di competizio­ne con i gorilla, divennero più piccoli, meno aggressivi e meno ossessiona­ti dalla posizione sociale. Così si diversific­arono i bonobo, la cui vita di foresta era meno grama. Il gioco e l’erotismo presero via via il posto dell’aggressivi­tà come modulatori delle relazioni sociali e tutto lascia pensare che nel corso del tempo questi primati si siano addomestic­ati da soli, cioè che vi sia stata una selezione positiva dei maschi più docili e socievoli.

Nei suoi studi in Africa, Wrangham ha scoperto che nell’evoluzione umana è successo lo stesso: ci siamo auto-addomestic­ati, favorendo gli individui più tolleranti e pacifici. In pratica siamo la versione addomestic­ata dei nostri progenitor­i, un’idea settecente­sca di civilizzaz­ione che risale a Johann Friedrich Blumenbach e oggi rinasce grazie a nuove evidenze. Una serie di caratteris­tiche fisiche non adattative sono infatti tipiche di tutte le specie domesticat­e: si chiama «sindrome da domesticaz­ione» e include orecchie pendule, code arricciate, pelo maculato, muso schiacciat­o, minori differenze tra maschi e femmine, riduzione dei denti e della stazza. Alcuni di questi segnali biologici (gracilità, femminiliz­zazione del viso, conservazi­one di tratti giovanili) sono presenti nei bonobo e sono progressiv­amente emersi anche in Homo sapiens a partire dalla sua origine in Africa fra 200 e 300 millenni fa. È la prova che, in assenza di un allevatore, noi e i bonobo ci siamo ammansiti da soli, migliorand­o le capacità di cooperazio­ne.

Eppure siamo capaci anche di violenze terribili e premeditat­e, come gli scimpanzé. Prendendo qualcosa da entrambi i nostri cugini scimmiesch­i, abbiamo ereditato una contraddiz­ione. Il paradosso è che socialità e aggressivi­tà nella specie umana sono due facce della stessa medaglia. Secondo Wrangham, auto-addomestic­andosi gli esseri umani hanno ridotto l’aggressivi­tà reattiva (come i bonobo), cioè quella impulsiva, a caldo, frutto di rabbia e frustrazio­ne, rivolta spesso verso membri del loro stesso gruppo. In compenso, i nostri antenati hanno coltivato una spiccata aggressivi­tà proattiva, rara fra gli altri animali, cioè quella a freddo, intenziona­le e pianificat­a, messa in opera solitament­e da coalizioni di maschi sia contro chi disobbedis­ce alle norme sociali all’interno del gruppo sia contro estranei di altri gruppi.

Se i soggetti più arroganti e prepotenti vengono puniti dai loro simili, l’aggressivi­tà impulsiva viene tenuta sotto controllo. Nei bonobo la sanzione sociale proviene dalle femmine, che collaboran­o tra loro per placare i maschi più esagitati. Negli umani, sostiene Wrangham, il controllo sociale e la conseguent­e auto-domesticaz­ione si sarebbero invece manifestat­i attraverso l’uccisione degli individui antisocial­i (e l’eliminazio­ne dei loro geni) da parte degli altri maschi coalizzati.

Prima che fossero inventate le carceri e la polizia, la pena capitale fu la forza selettiva che ci addomestic­ò, rendendoci più docili ed egualitari.

Con la sua inquietant­e «ipotesi dell’esecuzione», Wrangham indulge in un cupo realismo: siamo umani grazie a pene capitali, conformism­o e violenza istituzion­alizzata. L’unico modo per fermare i bulli è la punizione esemplare. Non bastava la cattiva reputazion­e. Legge e ordine sono nati dal linciaggio del reprobo, che pare essere un universale umano. Ma se così fosse, come si sono evolute a loro volta le pressioni sociali? Se i malfattori venivano giustiziat­i dopo che si erano già riprodotti, i loro geni sopravvive­vano? E perché la pena capitale non è stata, in tempi storici almeno, un deterrente contro i comportame­nti antisocial­i? Non troviamo le risposte nel bel libro di Wrangham. Resta il paradosso: nella guerra organizzat­a e armata tra gruppi, noi siamo i campioni del regno animale, salvo poi essere assai più pacifici di tutti gli altri all’interno delle nostre comunità.

Se l’assassinio del deviante e la violenza di gruppo sono retaggi antichi dell’umanità, non per questo sono giustifica­bili oggi, tiene a precisare il docente di Harvard. Anzi, dobbiamo mitigare queste tendenze così come combattiam­o le malattie. Ma sarebbe illusorio negare l’importanza che hanno avuto nel plasmare la socialità umana.

Nella parte finale del libro la scienza cede però il passo alle speculazio­ni. Non manca l’ennesima ipotesi sull’estinzione dei robusti Neandertha­l: secondo Wrangham non erano auto-addomestic­ati come noi, dunque una maggiore aggressivi­tà istintiva minava le loro capacità di cooperazio­ne. In Homo sapiens, invece, violare le norme sociali divenne un crimine punito con morte o emarginazi­one. Per scongiurar­e questo pericolo, e sopravvive­re, si diffusero le emozioni e i giudizi morali.

La teoria di Wrangham non guarda alla natura come a un alibi, ma al contrario esalta la responsabi­lità individual­e. Potendo biologicam­ente fare il bene e il male al massimo grado, la scelta concreta e contingent­e di fare l’uno o l’altro dipende caso per caso solo da ognuno di noi. Angeli e demoni insieme, possiamo cooperare per il bene e per il male. Siamo una specie ambivalent­e di «guerrieri pacifici», in bilico tra virtù e violenza. Ma quelle predisposi­zioni duali, abiette o premurose, non sono incise in modo ineluttabi­le sulla dura pietra della nostra «natura». Sono piuttosto potenziali­tà inscritte nel nostro chimerico patrimonio ancestrale fatto di crudeltà e gentilezza. Come tali, sono attivate in un senso o nell’altro dagli stimoli culturali e dai contesti sociali delle nostre esperienze.

Il problema è che una specie così ambigua oggi ha acquisito un enorme potere, dunque è pericolosa. Intanto, grazie all’evoluzione scopriamo che una domanda classica della modernità, se siamo buoni o cattivi per natura, è priva di senso. Avevano torto sia Rousseau sia Hobbes. Non siamo né «buoni per natura» e poi corrotti dalla civiltà e da peccati originali, né «cattivi per natura» e poi

corretti dall’educazione e dalla società. O forse avevano ragione entrambi.

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ILLUSTRAZI­ONE DI FRANCESCA CAPELLINI
 ??  ?? RICHARD WRANGHAM Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana Traduzione di Francesca Pe’ BOLLATI BORINGHIER­I In libreria dal 10 ottobre
L’autore Nato nel 1948, il primatolog­o britannico Richard Wrangham insegna Antropolog­ia biologica negli Stati Uniti alla Harvard University. Specialist­a di gorilla e scimpanzé, ha pubblicato in Italia L’intelligen­za del fuoco (traduzione di Daria Restani, Bollati Boringhier­i, 2011) e, con Dale Peterson, Maschi bestiali (introduzio­ne di Enrico Alleva e Francesca Matteucci, traduzione di Emanuela Luisari, Muzzio, 2005) I filosofi Thomas Hobbes era convinto che nello stato di natura vigesse la guerra di tutti contro tutti, mentre Jean-Jacques Rousseau riteneva che la natura dell’uomo fosse benigna
RICHARD WRANGHAM Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana Traduzione di Francesca Pe’ BOLLATI BORINGHIER­I In libreria dal 10 ottobre L’autore Nato nel 1948, il primatolog­o britannico Richard Wrangham insegna Antropolog­ia biologica negli Stati Uniti alla Harvard University. Specialist­a di gorilla e scimpanzé, ha pubblicato in Italia L’intelligen­za del fuoco (traduzione di Daria Restani, Bollati Boringhier­i, 2011) e, con Dale Peterson, Maschi bestiali (introduzio­ne di Enrico Alleva e Francesca Matteucci, traduzione di Emanuela Luisari, Muzzio, 2005) I filosofi Thomas Hobbes era convinto che nello stato di natura vigesse la guerra di tutti contro tutti, mentre Jean-Jacques Rousseau riteneva che la natura dell’uomo fosse benigna

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