Corriere della Sera - La Lettura
La malora performante della finanza
Echi di Beppe Fenoglio in Massimiliano Costa, che narra la crisi di un consulente
Nella misura delle 24 ore, Massimiliano Costa costruisce un breve ed efficace apologo del nostro tempo: il protagonista, Jacopo, è un giovane di 27 anni, brillantemente laureato a Oxford e ambizioso consulente di una azienda che si occupa di practice financial services. Eppure Jaco è già provato da una quotidianità logorante («Molle il torace, largo il ventre, flaccido il membro», così lo descrive l’autore con struttura latineggiante e cadenze alfieriane). Alla vigilia di un’importante riunione con dirigenti e clienti Jaco si trova suo malgrado a passare una intera nottata in ufficio per riscrivere da capo il progetto e preparare le slide che dovranno essere presentate il mattino successivo.
È durante questa folle nottata di lavoro, perfettamente rappresentativa dei ritmi forsennati della consulenza finanziaria in cui «bisogna performare» e «prioritizzare» a ogni costo, che Jaco ripensa a un’altra nottata, quella in cui 8 anni prima il suo destino professionale si è compiuto: dopo la maturità in un liceo di Alba, Jaco è diviso tra la passione per il violino (che dorme sul suo petto «come un gatto») e la prospettiva di andare a studiare economia a Oxford, tra l’amore per Cecilia e il desiderio di realizzare le aspirazioni familiari, di aprirsi a nuove esperienze, di imparare un mestiere. Queste due notti di tensione e di sospensione sull’abisso del futuro si specchiano e si completano a vicenda, fino a che due albe — ugualmente grigie — arrivano a segnare il momento delle decisioni: Jaco, il cui nome digitato «disegna una x sulla tastiera», è costretto a guardare in faccia «l’elefante imbestialito» del tempo e ad ammettere che la sua vita professionale è una giostra folle in cui tutti fanno a gara per salire ( essere up, salire più in alto è uno dei refrain preferiti di Marco, il team leader) senza rendersi conto che non c’è nulla in palio.
«Accartocciato e sconfitto da un destino di cui aveva ampiamente perso il controllo», Jaco deve fronteggiare standard lavorativi impossibili, fondati su un assurdo fare e rifare conti, statistiche, previsioni (l’ufficio stesso è collocato in un’improbabile via Escher) per rispettare il dogma della produttività a tutti i costi, a prezzo di giornate lavorative ininterrotte che corrompono sonno, salute, rapporti umani. Me non più non è tuttavia solo uno struggente affresco sociologico. Il magistero dei racconti langaroli di Beppe Fenoglio permea questo romanzo breve sia nelle scelte lessicali sia nell’indagine di un destino di sconfitta: l’incipit de
La malora è in effetti ripreso esplicitamente da Costa e lo stesso finale sembra alludere, in minore, alle cadute che tramano tanti finali fenogliani. Sulle note incalzanti e «guerriere» della Ciaccona di Bach l’adrenalina di un lavoro capace solo di «stuprare corpo e anima per il nulla» si schianta e riporta Jaco a un «raziocinio di sopravvivenza», che si manifesta nello splendore di una natura finalmente padrona della scena.