Corriere della Sera - La Lettura
Un cyborg s’aggira per Roma: è il coatto
Valerio Mattioli chiama «Remoria» la sua originale lettura della capitale
Chi vuole avvicinarsi a Remoria di Valerio Mattioli deve sapere che si troverà davanti una sorta di diario speciale in grado di andare al di là della storia perché in potere di costruirne un’altra, daccapo, più oscura. Un diario erudito, ammaliante, su un’altra Roma ( Remoria. La città invertita), fondato su quel sentimento, assai intimo e magico, nei confronti delle proprie radici. Un sentimento che ha il potere maieutico di un’evocazione attraverso cui sbocciano i lati più nascosti, e invisibili, della propria sottocultura.
Un po’ come è accaduto con La luce e il lutto di Gesualdo Bufalino, in cui l’autore di Comiso racconta e scopre l’altra identità della Sicilia; oppure con la metafisica Interzona del Pasto nudo di William S. Burroughs, in cui lo scrittore beat ci catapulta in un’altra mostruosa Tangeri. Un saggio originalissimo che mantiene un passo sovversivo edificando una lingua tra l’accademico e l’underground. Protagonista è una non-città che ha il nome di un fondatore che «nel regno della negazione è stato precipitato»: Remo.
La data della prima eventuale resurrezione di Remoria?
Il 25 ottobre 1946, quando cominciano i lavori del Gra (Grande raccordo anulare). «Quando Remoria riemerge dalle forme circolari del Gra non contempla altro che veicoli a motore, e l’unica forma di umanità che accetta è quella della sintesi contronatura tra uomo e macchina.
Gli abitanti di Remoria quindi non possono che essere dei mostri: incarnazioni degli spettri rimasti senza dimora dai tempi dell’originario fratricidio, e assieme frutto dell’amplesso improduttivo per definizione».
Un lavoro sapiente, quello di Mattioli, che ha la sua ragion d’essere in una personale rivisitazione di Roma. Dei luoghi, della gente, dei film e dei costumi della periferia da cui poi si è sviluppata Remoria.
Il Gra, chiamato da Mattioli «tana del Bianconiglio», è una sorta di «cerchio sabbattico» attorno a cui e dentro cui si avverte la civiltà di Remoria in sfida all’istituzionale Roma. Mattioli si immerge nella cosiddetta borgatasfera, «insieme di gesti attraverso cui la periferia romana postbellica, nata negli stessi anni del Gra e anzi dal Gra partorita, impone la propria centralità su un organismo urbano»; analizza la funzione di emblemi, indirizzi ermeneutici e simboli sottoculturali che rivestono film come Amore tossico, gruppi musicali, i «Centocelle City Rockers», ma anche generi come il punk e la techno. O ancora, infine, il fumetto Ranxerox, il cui padre fu Stefano Tamburini definito da Mattioli «alchimista che parlava la stessa lingua di Summano». Un fumetto di fantascienza ultraviolenta, testo sacro di Remoria, con protagonista un brutale e muscolosissimo cyborg, che assurge al ruolo avveniristico di antieroe che è e sarà: il coatto.