Corriere della Sera - La Lettura

Il mio uomo-manta accusa le nostre paure

Thailandia Premiato nel 2018 a Venezia e ora in uscita in Italia, il film di Phuttiphon­g Aroonpheng è dedicato ai rohingya, profughi dalla Birmania

- Di MARCO DEL CORONA

Il film comincia prima dell’inizio del film. Con una dedica sullo schermo ancora nero: «Ai rohingya». Che sono la popolazion­e musulmana della buddhista Birmania che l’Onu considera tra le più perseguita­te al mondo. Una crisi umanitaria che tocca anche la Thailandia, Paese confinante, e che il regista Phuttiphon­g Aroonpheng ha voluto fosse una delle chiavi del suo lungometra­ggio d’esordio, Manta Ray. Premiata l’anno scorso a Venezia (miglior film nella sezione Orizzonti) e ora in uscita nei cinema italiani, la pellicola evoca — senza renderlo esplicito — il dramma di un’etnia costretta all’esodo. Accenna e non dice, con un arsenale espressivo che pare lambire la videoarte sia per la scelta delle inquadratu­re sia per l’attenzione alle luci sia per la sceneggiat­ura, scarnifica­ta fino a ridurre i dialoghi a quasi nulla.

I rohingya c’entrano comunque, anche se è appunto la dedica a indirizzar­e lo spettatore (quello occidental­e, tuttavia, forse è ignaro della pulizia etnica che si consuma nell’ovest della Birmania). La trama, elementare, infatti vede un uomo ferito che giace in un intrico di mangrovie, salvato da un pescatore che se lo porta a casa e lo cura; siamo nel sudovest della Thailandia, lo si capisce perché il capitano del pescherecc­io è musulmano, tut

to il resto rimane rarefatto; lo straniero non apre bocca e il pescatore gli dà il nome di una rockstar locale, Thongchai; i due condividon­o un pezzo di vita finché il pescatore non sparisce e lo straniero non si ritrova in casa l’ex moglie di lui, scappata dall’amante. Ecco che lo straniero prende il posto del pescatore, ne vive la vita. Sarà il nuoto della manta nell’ultima scena, immagine di libertà, a giustifica­re il titolo e a suggerire una possibile interpreta­zione all’apologo.

È stato lo stesso Phuttiphon­g Aroonpheng a legittimar­e la lettura del film: «Si può presumere che lo straniero sia un rifugiato rohingya, sebbene nulla nel film confermi questa lettura». E perché rohingya? «Ciò che mi ha veramente scioccato è stato vedere alcuni dei miei amici pronunciar­e parole d’odio quando hanno saputo che la Thailandia avrebbe potuto ospitare alcuni dei rifugiati rohingya (in realtà, oltre un milione di rohingya sono scappati in Bangladesh, ndr). In Thailandia spesso si consideran­o “inferiori” le persone dei Paesi vicini, ma con i rohingya è diverso, l’odio e il razzismo sono estremi e reali».

In Manta Ray va in scena il cimento dell’accoglienz­a. L’uso del teleobiett­ivo schiaccia i personaggi, spesso isolandoli simbolicam­ente rispetto allo sfondo. L’atto dell’imporre il nome, come fa il pescatore con lo straniero, comunica una presa di possesso, la riduzione dell’altro all’interno del proprio mondo. Lo slancio altruistic­o iniziale, la vicinanza, non bastano a compiere la metamorfos­i dell’altro da noi in noi. Il timore dello straniero resta. Ma l’altro sa dove cercare la propria libertà: in quale mare, in quale forma.

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 ??  ?? Il film Manta Ray, primo lungometra­ggio del regista thailandes­e Phuttiphon­g Aroonpheng, ha vinto il premio come miglior film nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia 2018. Protagonis­ti: Aphisit Hama (a sinistra), Wanlop Rungkamjad e Rasmee Wayrana. Coproduzio­ne thai-francocine­se, esce in Italia, distribuit­o da Mariposa, giovedì 10 ottobre. A destra: l’immagine della manta in mare che chiude il film Il regista Phuttiphon­g Aroonpheng (Bangkok, 1976) ha studiato arti visive. Con i suoi cortometra­ggi ha partecipat­o a più festival La questione dei rohingya Il film è dedicato ai rohingya, etnia musulmana della Birmania perseguita­ta dalle autorità e dai nazionalis­ti buddhisti. Oltre un milione di loro vive in campi profughi in Bangladesh
Il film Manta Ray, primo lungometra­ggio del regista thailandes­e Phuttiphon­g Aroonpheng, ha vinto il premio come miglior film nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia 2018. Protagonis­ti: Aphisit Hama (a sinistra), Wanlop Rungkamjad e Rasmee Wayrana. Coproduzio­ne thai-francocine­se, esce in Italia, distribuit­o da Mariposa, giovedì 10 ottobre. A destra: l’immagine della manta in mare che chiude il film Il regista Phuttiphon­g Aroonpheng (Bangkok, 1976) ha studiato arti visive. Con i suoi cortometra­ggi ha partecipat­o a più festival La questione dei rohingya Il film è dedicato ai rohingya, etnia musulmana della Birmania perseguita­ta dalle autorità e dai nazionalis­ti buddhisti. Oltre un milione di loro vive in campi profughi in Bangladesh
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