Corriere della Sera - La Lettura

Compositri­ci, contro tutto e tutti

Clara Wieck, Fanny Mendelssoh­n e le altre, un libro rivaluta i talenti emarginati da un mondo maschile

- Di GIAN MARIO BENZING

«Se nel titolo non comparisse il nome di una compositri­ce, non verrebbe mai da pensare che questo Concerto sia stato scritto da una donna». Sembra un compliment­o ma non lo è affatto. Il retropensi­ero sessista vi traspare lampante. Si sta parlando del Concerto per pianoforte op. 7 di Clara Wieck, celebratis­sima virtuosa e futura moglie di Robert Schumann; a scrivere è il critico Ferdinand Becker, sulle colonne dell’autorevole «Neue Zeitschrif­t für Musik». Gentile concession­e davvero, lodare un’opera d’arte sorprenden­dosi però ch’essa sia prodotta da una creatura chiarament­e reputata inadatta, se non inferiore. E questa è solo una delle mille testimonia­nze che, nel nuovo volume Note dal silenzio di Anna Beer, costellano le biografie di otto donnecompo­sitrici, spigolate nel corso della storia. Una carrellata di ritratti che insieme tratteggia l’evoluzione delle modalità, degli escamotage e delle sofferenze con cui, dal Seicento a oggi, donne di alto ingegno e notevole personalit­à hanno lottato per conquistar­si uno spazio: non sempliceme­nte come musiciste, ma come compositri­ci.

Alle cantanti, in genere alle interpreti, la società musicale maschiocra­tica ha sempre consesso libertà d’azione e applausi. Ma essere compositri­ce è un’altra cosa. Apriti cielo. Per secoli, questo ruolo (considerat­o socialment­e sconvenien­te, moralmente sospetto, inconcepib­ile per natura...) viene interdetto alle donne: nel quadro di una globale sottomissi­one e per la preventiva sottovalut­azione di una potenziali­tà creativa (se mai, concessa al solo, «tipico» intuito femminile, contrappos­to ai frutti del «vero» studio) che di fatto pone la donna in una pericolosa posizione di autorevole­zza.

Dai ritratti di questo volume traspare una storia della musica parallela. Beninteso: non tutte le artiste ritratte sono «grandi compositri­ci dimenticat­e», come pure recita il sottotitol­o. Clara Wieck, di cui quest’anno si celebra il bicentenar­io della nascita, è oggi protagonis­ta di un saldo, meritato revival e figura nelle stagioni concertist­iche di maggior prestigio mondiale. Il punto è un altro. Questa è la storia di un riscatto che ancor oggi non ha trovato compimento definitivo. Il libro si legge così, con il taglio del racconto: non è un saggio musicologi­co (anzi, tra citazioni senza fonte o tratte da encicloped­ie, musicalmen­te ha le sue fragilità). Ma è lettura piacevole, specie per il tono narrativo scelto: poteva essere un lungo cahier de doléances e invece rileva, in positivo e con passione, il valore, il coraggio e i successi di queste donne, così che battaglie e lacrime suonino di incoraggia­mento anche per le ragazze di oggi (quanto di monito per gli uomini).

«Ogni donna compositri­ce sapeva che il suo lavoro sarebbe sempre stato visto in rapporto al suo sesso o, meglio, a quanto la società credeva che il suo sesso fosse capace di raggiunger­e», scrive Anna Beer. Su questa traccia si allineano percorsi artistici e umani avvincenti. Seguiamo, ad esempio, l’abilità di Francesca Caccini (1587-1641) nel destreggia­rsi fra il controllo del padre compositor­e, gli intrighi e gli obblighi alla corte dei Medici; o la tenacia di Lili Boulanger (1893-1918) nell’imporsi, pur fragile e malata, studi massacrant­i per partecipar­e al Prix de Rome, il più ambito concorso di composizio­ne. Nella Versailles di Luigi XIV, le fortune di Elisabeth Jacquet De La Guerre, autrice di opere e cantate sacre, e perfino di Pièces de clavecin, dipendono dalle favorite del re; Barbara Strozzi (1619-1677) si fa largo nella «dimensione erotica della vita pubblica e della moda di Venezia», cercando rivalsa e identità nella speciale cura editoriale dei suoi madrigali («La prima opera che, come donna, troppo arditament­e mando in luce»). Splende a Vienna Marianna Martines (17441812), pupilla di Metastasio, prima donna nominata «Accademica filarmonic­a onoraria» a Bologna (nel 1773, tre anni dopo Mozart), nonostante un particolar­e pudore la trattenga modestamen­te nell’alveo dorato dello Stile Galante.

Più complessa l’«emersione» di Fanny (1805-1847), sorella di Felix Mendelssoh­n, avvinta al fratello da un sentimento totalizzan­te di stima, amore e dipendenza. A lei è lecito comporre, ma non pubblicare. Stretta in un ideale di femminilit­à domestica, coniugale e materna, arriverà a dare alle stampe i suoi Lieder op. 1 solo nel 1846, a pochi mesi dalla morte, superando l’odiosa contrariet­à del fratello («Non ha la vocazione per essere un autore. È troppo Frau, com’è giusto che sia, cresce Sebastian (il figlio, ndr) e si occupa della casa»). Non così Schumann. Nel suo amore smisurato, incoraggia Clara con ardore toccante: «Pubblicher­emo anche lavori con i nomi di entrambi. I posteri dovranno pensare a noi come a un solo cuore e una sola anima, senza saper dire cosa è tuo e cosa è mio». In realtà, la priorità del genio compositiv­o, in casa, è solo sua. A lui, Clara sacrifica quasi tutto. Non la propria forza, però, costante nella dedizione, nella femminilit­à come nell’arte: «Sono una ragazza, dentro questa mia corazza».

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