Corriere della Sera - La Lettura

Paolo Bonolis «Mia figlia, una rosa bianca»

- Di TERESA CIABATTI

Dopo quarant’anni di tv (da «Bim Bum Bam» a «Ciao Darwin»), il presentato­re pubblica un libro. Titolo: «Perché parlavo da solo». Svolgiment­o: una riflession­e — ironica, emozionant­e — sul senso delle cose. E della paternità. A cominciare dai genitori, per finire con i figli: i primi due in America («Il mio contributo è stato soprattutt­o economico»); l’ultima con una grave patologia («Alle Special Olympics ha vinto i dieci metri piani. In verità i concorrent­i erano due, e l’altra s’è spaventata al via»)

«Se non ci vai, ti prendo a calci», promette Silvio Bonolis. Così ha inizio la carriera di Paolo che, a c c o mp a g n a n d o u n amico a un provino, viene scelto come conduttore di un programma per bambini. Un milione a puntata, dodici in totale, «e chi l’aveva mai visti» racconta oggi Bonolis che al tempo voleva rifiutare per proseguire l’università, se non fosse intervenut­o il padre, Silvio appunto: «Ti prendo a calci due a due finché non diventano dispari».

Quel padre trasportat­ore del Burro Galloni, e quella madre che troverà lavoro più tardi come segretaria. Quel padre che manda a quel paese Mike Bongiorno, quella madre che di nascosto si procura il numero di Pippo Baudo («avevo urgenza di parlargli», sosterrà dopo). E un nonno, nonno Pasquale, che racconta storie del terrore in pugliese strettissi­mo tanto che Paolo non capisce niente — fantasmi, lupi mannari? boh — e per compiacerl­o finge di spaventars­i. Tutto questo, e molto altro, rievoca Paolo Bonolis nel libro Perché parlavo da solo (Rizzoli). Aneddoti e riflession­i che svelano un uomo in piena corrispond­enza con la television­e da lui inventata, col mondo messo in scena. Un mondo dove non ci sono tabù («a casa mia l’unico tabù era la pagella, non di certo la morte»), dove vita e morte sono contigue, al punto che la morte può essere dileggiata, a tratti ingannata (vedi lo iettatore, e il caro estinto di Avanti un altro!, o il promo di Ciao Darwin 7 - La resurrezio­ne, ambientato in un cimitero, sulla lapide di Bonolis/Laurenti). Per capire dunque l’origine di questo immaginari­o bisogna andare indietro, ancora più indietro, al bambino di cinque anni che seguiva il padre a scaricare il burro ai Mercati Generali, Roma.

Quartiere d’infanzia?

«Aurelio, via Anastasio II. E via Niccolò V, casa dei nonni dove andavo il pomeriggio perché i miei lavoravano. Giocavo a pallone con gli altri ragazzini, e la palla finiva nei negozi. Quello che si arrabbiava di più era il fruttarolo, diceva che con le pallonate gli spostavamo le banane».

Nel libro fa riferiment­o alla differenza tra il calciatore che impara a giocare per strada e quello che impara sul campo.

«Federico Buffa, parlando del calciatore olandese Johan Cruijff nota come la sua principale preoccupaz­ione fosse quella di rimanere in piedi. Se hai imparato per strada, sai che non devi cadere, per via dei sassi. E quella cosa lì ti rimane per sempre».

In che modo?

«Ridimensio­ni tutto, successo, insuccesso. Io, per esempio: mai avuto paura delle cadute metaforich­e. Cadi, e nel frattempo vivi».

A proposito di paura: con «Bim Bum Bam» lei ha insegnato a un’intera generazion­e, sua moglie inclusa, a non avere paura del buio.

«Arriva una lettera di una bambina che dice di non riuscire a dormire al buio. Allora in trasmissio­ne io propongo un

esperiment­o: pupazzi, Riaccendi». chiudi vai la in luce. camera Conta tua, fino guarda a dieci. i non E? «È Anche nascono ancora ai suoi cose». tutto figli lì — ha fatto dicevo. passare Al buio la paura? «Mi viene in mente Adele. Le raccontavo libero Un le storie soggetto? però, prima era lei di a dormire. darmi il soggetto». Non a tema

amava «Il ragazzo fare surf con mangiando la testa di la cavallo pizza con che l’ananas». Non «La storia facile. era che tutti lo tenevano lontano, che non poi si un spaventa. giorno arriva Nonostante una bambina la testa di surf cavallo, insieme lei mangiando lo vede uguale. pizza Così con fanno ananas». Come «Da piccolo si parla odiavo ai bambini? gli adulti che mi parlavano Ogni volta sdolcinato, pensavo: che moine, vuole buffetti. questo? Con re linguaggio». Bim Bum Bam ho provato a cambiaNel «Con senso? Giancarlo Muratori, voce del pupazzo da soli. Uan, Il programma chiediamo andava di scriverci molto i testi male, Allora non avevano iniziate niente a scrivervi da perdere». i testi da soli. «E io comincio a fare cose che nessun conduttore aveva mai fatto prima, come schiacciar­e i puffi che ho sempre odiato, troppo buoni». Risultato?

«Ascolti alle stelle».

Inizia così la television­e di Paolo Bonolis.

«Ho sempre creduto che non bisogna chiedersi cosa vuole vedere la gente, ma cosa ho da raccontare io. Ogni espression­e sarà originale e priva di antenati. Teniamo bene a mente che prima di noi, nessuno mai è stato noi». Intanto a casa mamma e papà?

«Mio padre è stato sempre abbastanza indifferen­te al mio lavoro, ogni tanto chiedeva: “Quanto t’hanno dato?”». Vi fermavano per strada?

«E chi ci andava in giro con lui. Quello tornava dal lavoro, e non usciva più di casa». La mamma invece?

«Più critica. Anche oggi mi chiama per dirmi: “Faceva ridere”, “non faceva ridere”. È una che non si tiene niente». Ovvero?

«A un certo punto inizia a intrattene­re un rapporto telefonico con Pippo Baudo. Recupera il suo numero, e lo chiama: “Baudo, sono la mamma di Paolo Bonolis, lei deve smettere di tingersi i capelli”». Reazione di Baudo?

«Smette». Paolo Bonolis padre?

«Ho avuto il primo figlio a 23 anni, l’ultima a 47. Stefano e Martina, i più grandi, hanno sempre vissuto in America, me li sono goduti poco. Il mio contributo alla loro formazione è stato prevalente­mente economico». Gli altri?

«Io e mia moglie siamo molto presenti. Con ciascuno in modo diverso, ogni figlio richiede attenzioni differenti, specie ora che sono grandi». Nello specifico?

«Con Davide gioco tutte le sere a ping pong. E mica lo lascio vincere. Gli dico: “Un giorno vincerai”. Voglio che cresca con l’idea che le cose bisogna guadagnars­ele». Adele?

«È quella che mi somiglia di più. Per esempio: a me non interessa la moda. Mai messo attenzione all’abbigliame­nto. Quando la sera usciamo, mia moglie, dopo avermi squadrato, chiede: “Da che ti sei vestito?”. Diciamo che Adele è no logo come me. Odia tutto quello che significa apparire. Altro esempio: non vuole che l’accompagni a scuola. Mi chiede di lasciarla dietro l’angolo, così non mi vede nessuno». Silvia.

«Silvia è nata con una grave patologia a causa della quale è stata operata più volte. Durante uno di questi interventi ha subito una carenza di ossigeno. Parte delle sue capacità motorie e cerebrali sono state compromess­e».

Lei racconta di un momento preciso.

«I medici ci avevano parlato di grandi difficoltà, confermate da varie tac e risonanze magnetiche. Ma quel giorno in terapia intensiva, incrociand­o lo sguardo di mia figlia, ho capito. “La bambina c’è”, ho detto a mia moglie. Quel modo di guardare non era di un cervello compromess­o, un cervello compromess­o non guarda così. Se mi spostavo, i suoi occhi mi seguivano». Gli occhi di sua figlia.

«Presenti, vivi. Celesti».

In che modo si affrontano momenti del genere?

«Silvia ha avuto vicino noi, e tante altre persone, ma il più lo ha fatto da sola. A pochi mesi ha attraversa­to qualcosa a cui un adulto non sarebbe sopravviss­uto». Di recente l’ha accompagna­ta alle Special Olympics.

«In linea con la tradizione di famiglia, Silvia ama lo sport. Così siamo andati a Montecatin­i Terme, lei doveva correre i dieci metri piani». Risultato?

«Medaglia d’oro. Per amore di verità: sullo sparo di partenza l’altra si è spaventata, e non ha corso. Erano in due». Ricordo di quelle giornate?

«Silvia ha un problema al braccio sinistro: per una distonia, se viene toccato, le provoca spasmi in tutto il corpo. Non è una cosa che diciamo a tutti, se non agli assistenti. Ebbene, in quei giorni a Montecatin­i è stata circondata da centinaia di ragazzi disabili, chi con un problema, chi con un altro, e non ce n’è stato uno che l’abbia presa per il braccio sinistro. Loro lo sanno, è un istinto. Sentono quello che noi La non spaventa siamo capaci qualcosa di sentire». dei suoi figli?

zione «La alla velocità. Luiss Di sulla recente lentezza, ho fatto provando una le- a immaginare alcuni capolavori come del sarebbero passato, scritti per esem- oggi pio Oggi L’Infinito diventereb­be? di Leopardi». «I Love Recanati». La velocità dei ragazzi la fa sentire...

«Parliamoci chiaro, la vecchiaia ha anche molti vantaggi. Mia madre, 87 anni, è stata operata alla cataratta. Quando si è vista allo specchio, ed erano anni che non si vedeva nitidament­e, ha detto: “Ridatemela”. Se la voleva far rimettere». Nei suoi programmi gli anziani sono protagonis­ti.

«È difficile essere anziani in questo tempo che richiede bellezza, efficienza, produttivi­tà. Mi dispiace vedere la frustrazio­ne negli occhi dei nonnetti. Allora ci scherzo, nelle trasmissio­ni li coinvolgo. Essere protagonis­ti li fa sentire vivi, credo». Paura della morte?

«Sia io sia Laurenti siamo morti un paio di volte a testa. Ogni tanto compare la notizia su internet».

È per esorcizzar­e la morte che c’è quell’esibizione di corpi femminili in «Ciao Darwin»? «No, è per esaltare la vita».

Nel libro lei parla di Dio: esiste?

«Al catechismo mi hanno insegnato che Dio è onniscient­e. Bene. Se sa già tutto in partenza, significa che sa perfettame­nte quale sarà il percorso di ognuno di noi, giusto? Ne consegue che Dio sappia già cosa fare della nostra anima. Mi chiedo: noi allora che ci stiamo a fare?». Ateo?

«Non ho problemi con chi crede, se la fede gli rende la vita migliore. A livello personale non cerco risposte, non voglio sapere cosa c’è dopo, penso: se lo so e non mi piace? Preferisco l’incoscienz­a alla presunzion­e». Eppure succedono cose inspiegabi­li.

«Quando stava per nascere Silvia, mio padre stava morendo. Si è raccomanda­to: “Ricordati di regalare alla bambina un mazzo di rose bianche”; me l’ha ripetuto tante volte. Poi è morto, Silvia è nata, e io — con i problemi legati alla bambina — mi sono dimenticat­o». E?

nostra «Arriva fioriscono maggio, rose e sul bianche terrazzo al posto di casa di quelle “Impossibil­e”. rosse. Il Erano giardinier­e bulbi di mi rose ha detto: rosse, difatti sono sempre negli anni cresciute prima rose e in quelli rosse. dopo Solo quell’anno bianche».

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