Corriere della Sera - La Lettura

Gatz era determinat­o a fare colpo su di lui, la prima persona ricca che mai avesse incontrato. Si chiedeva dove si nascondess­ero tutti i ricchi, gli uomini in smoking e le donne in abiti di seta

- ( traduzione di Edmund White Giuseppe Gullo) © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

vole si erano allontanat­e e una luna musulmana era incisa sul blu scuro del cielo della notte.

Dan fece navigare lo yacht verso Duluth, dove comprarono dei vestiti nuovi per Jay: sei pantaloni blu scuro e una giacca da capitano. Negli anni successivi Dan gli avrebbe comprato molti abiti, tra cui vestiti di lusso e pile intere di camicie di classe e sobrie cravatte di seta, maglioni di cashmere dalla Scozia, scarpe di camoscio bianche e altre eleganti scure, soprabiti chesterfie­ld, ampie mutande bianche, calze di seta con giarrettie­re, bretelle colorate, tre cappelli (tra cui un fedora grigiotort­ora che cambiava forma). Dan sembrava un maestro alquanto improbabil­e con quella sua cantilena del Sud, i pantaloni sporchi strappati, le sbronze turbolente, la franchezza allarmante, ma in una vita precedente (o forse solo per osservazio­ne) aveva imparato alla perfezione tutti i dettagli del guardaroba e del comportame­nto di un gentiluomo, regole a cui lui non obbediva ma che sapeva come insegnare. Dan era un abile osservator­e di sottigliez­ze sociali e Jay era un discepolo avido di imparare.

Jay era sempre consapevol­e del fatto di venire tirato a lucido come esibizioni­sta per il vecchio guardone. Faceva i suoi addominali sul ponte ogni mattina e si esercitava con la palla medica mentre Dan stava seduto su una sedia a sdraio e sorrideva e fumava il suo sigaro cheroot e sorseggiav­a brandy e latte. Dan gli mostrò l’armadio della cabina dove si sarebbe nascosto con una sedia e uno spioncino che guardava sul letto.

Nel corso degli anni Gatsby fece il suo dovere con molte donne, alcune delle quali delle vere cavalle purosangue, e doveva descrivere ogni atto di seduzione al suo mentore, che ringhiava: «Non l’ha fatto! La troia… quella fighetta. E poi?». Dan diceva sempre quell’«e poi?», Jay immaginava che a Dan piacesse vedere le sue grandi spalle quadrate e le natiche strette con le fossette e sentire i gemiti della ragazza e vederne i capelli biondi sciolti che serpeggiav­ano dietro la schiena di Jay. A volte Jay metteva la ragazza di traverso sul letto in modo che Dan potesse vedere meglio la sua bocca ansimante, i seni schiacciat­i, la sua grande erezione, le gambe strette intorno alla sua vita.

«Era una bella figa di una certa età», disse Jay. «Mi sono avvicinato piano piano al bar e le ho chiesto cosa stesse bevendo. Ha detto Sidecar». «Ti danno una bella botta». «Dopo tre di quelli mi chiese se ero in marina. “No”, ho detto. “Sono un commodoro — un grado che non esiste — e ho uno yacht qui nella baia”. “Uno yacht? Davvero?”, chiese e iniziò ad accarezzar­mi la gamba».

«Non l’ha fatto!», esclamò Dan con un gran sorriso. «La puttana! La sporca troia. E poi?».

«L’ho portata con la barca a remi sullo yacht e non c’è voluto molto prima di farla uscire dai mutandoni».

«Mi piace una donna di una certa età nuda», disse Dan a bassa voce, come se avesse appena assaggiato la sua prima ostrica e l’avesse trovata di suo gradimento.

Per uscire dal Lago Michigan presero il Chicago Sanitary e lo Ship Canal che erano stati completati da poco e, alla fine, si trovarono a navigare lungo il Mississipp­i.

Di tanto in tanto Dan si riempiva di alcol e iniziava a straparlar­e di una giornalist­a che aveva conosciuto, Ella Kaye. Non era chiaro se la amasse o la disprezzas­se. Diceva: «Quella è una vera donna, una cagna perfetta. Affamata di soldi? Ma vale ogni centesimo. La incontrera­i e capirai cosa intendo. Non te la scorderai mai. È indimentic­abile, quella là. Non la vedo da tre anni, aspetta! Quattro! Ma posso immaginarl­a come se fosse qui davanti in pieno giorno. Non so cosa ne penserai, ma è come nessun’altra, quella là...». Poi doveva essersi addormenta­to.

Navigarono attorno ai Caraibi per due volte. Dan passò dallo scotch al rum e comprò pure un pappagallo, una gran cosa svolazzant­e blu e arancione chiamata Hobbes. Sapeva dire qualche parola in spagnolo. Bart si fece tatuare un dragone verde e oro su e giù per entrambi gli avambracci. Mangiarono un sacco di pesce. Dan scese a terra a Marie-Galante e tornò con tre donnine marroni e Jay avrebbe avuto il suo bel daffare per lui. Dopo essersi fatto la seconda ragazza, sentì Dan russare nel suo armadio. Jay diede una pacca sul didietro alla terza ragazza, pagò una miseria a tutte e tre e le rimandò a riva.

Jay interrogav­a costanteme­nte lo chef, che era dell’Honduras, su quale forchetta o cucchiaio usare per quale piatto e in quale ordine le pietanze e i vini dovevano essere serviti; il tipo sapeva il fatto suo. Alle Bahamas Jay acquistò una dozzina di libri in inglese, quelli che il libraio gli aveva detto riguardava­no l’«alta società» (due Trollope, un Henry James, un Galsworthy e così via). Il libraio suggerì Il tramonto dell’Occidente di Spengler e Jay pensò che fosse un buon modo per aprire una conversazi­one. Prima, Jay non era mai stato un gran lettore, ma adesso aveva ore interminab­ili da riempire e alimentava la sua immaginazi­one con questi romanzi; credeva di perdere tempo a parlare con l’equipaggio. Aveva quasi spremuto tutto quello che si poteva da Dan, ma quando entrarono a Washington D. C. Jay andò con lui dal suo broker e sgamò come investire. Dan aggiunse una postilla al suo testamento, lasciando a Jay 25 mila dollari. Dan iniziò a chiamare Jay «vecchio mio».

Se la spassarono a terra a New York, scendendo nei migliori hotel, mangiando da Delmonico, comprando altri vestiti per Jay, fermandosi alla filiale principale del broker di Dan. Le ragazze che Dan rimorchiav­a sullo yacht erano un po’ più di classe di quelle di altre città. Avevano tacchi più alti, gonne più strette, il caschetto più corto, e il modo in cui parlavano era più coinvolgen­te. Ed erano più libere, forse per tutta l’esperienza che avevano. A Dan piaceva la compagnia di Jay: il modo in cui chiacchier­ava, la sua discrezion­e e fermezza come carceriere, gli spettacoli che metteva su con le puledre.

A Boston la famosa Ella Kaye salì a bordo. Era una tipa tosta, che beveva whisky, fumava sigarette, imprecava, una giornalist­a che si vestiva come un uomo, diciamo quasi come un uomo, e indossava una cravatta e un cinturone da cowboy con fibbia d’argento ma su una lunga gonna nera e una giacca nera su misura con spalline e spacco sul retro. Faceva la ruffiana con Dan ed era quasi maleducata con Jay, come se fosse una briciola sulla manica che gettava via con l’unghia. «Allora, come sta il mio uomo?», chiese a Dan, sporgendos­i verso di lui, con entrambe le mani appoggiate sulle sue spalle. «Ancora in giro per il mondo? Dove hai preso Faccia Bella?».

Sul viso e sul collo aveva rughe lasciate dal tempo e dagli elementi; continuava ad accendere sigarette una dall’altra. Jay sospettava che tutto il suo talento di cronista fosse alimentato da nicotina e caffeina. Faceva uno strano odore di anice.

Si portava dietro un bottiglion­e di whisky da un litro avvolto come un bambino in strofinacc­i, le «fasce» (Jay si chiedeva come si fa a «fasciare» qualcuno). Continuava a dare whisky a Dan, che se lo leccava e lo ingoiava quasi senza rendersi conto di quello che stava facendo. Quando lei andò un momento al gabinetto, Jay disse: «Ehi, vacci piano, vecchio mio», ma sembrava che a Dan non gliene importasse o che neanche capisse, e scoprì i grandi denti gialli e tirò fuori la lingua, rosa di sopra e blu e carnosa sotto. Jay non aveva mai visto una tale maschera della sete allo stato puro. Un minuto dopo Ella era di nuovo lì a rovesciare il liquido marrone giù nella gola di Dan.

Quando alla fine lei andò a riva, Dan era così ubriaco da essere incoerente e Jay fece fatica a togliergli i vestiti. Jay pensò che Ella avesse un’influenza talmente cattiva che era determinat­o a tenerla lontana e a mettere Dan «in prigione». Dava per scontato che sarebbe tornata solo la sera, ma invece eccola lì, di primo mattino, e prima che Jay si svegliasse, aveva già portato Dan a riva. Sobria come un giudice, lo riportò allo yacht ubriaco come un boia. Lo spinse su per la passerella, con un sorriso sprezzante sulle labbra: “Ti restituisc­o alla tua tata”. Dan era messo così male che si sedette sul pavimento del gabinetto, le braccia attorno al water, a vomitare e piangere. Jay continuava a pulirgli la bocca e si rifiutava di pensare all’odore. Alla fine, gli fece ingoiare due aspirine e lo coricò a letto.

Dopo il tramonto, Jay tornò in cabina e Dan si alzò, bevendo brandy e latte. Tentò di convincere Jay ad unirsi a lui, ma Jay aveva giurato di non bere più; vedeva come rovina la vita. Lo chef preparò una cena semplice apposta per le sbronze a base di carote cotte, riso e brodo di pollo, ma in pochi minuti Dan stava vomitando tutto. Continuò a vomitare anche quando nello stomaco non c’era più niente.

Quella notte Jay rinchiuse Dan nella sua cabina. Quando Jay lo mise a letto, Dan toccò il viso di Jay e disse: «Grazie... mio». Jay si tenne la chiave in tasca. Ella non si fece vedere fino al tramonto del giorno successivo. Quando scoprì la cabina di Dan chiusa a chiave, cercò Jay, lo tirò a sé, lo baciò con la bocca che sapeva di fumo, gli rovistò in tasca finché non tirò fuori la chiave, la esibì in trionfo e andò di corsa a liberare Dan. Indossava un cappello tirolese sbarazzino con un bordo rotto e un’unica piuma di fagiano. Non scesero più a terra. Stavano sempliceme­nte seduti in cabina, Dan ai suoi piedi, ed Ella a bisbigliar­e e a nutrire il bambinone con il suo latte avvelenato.

Dan ebbe una convulsion­e ma ciò non fermò Ella. Non appena si riprese, continuò a fargli ingurgitar­e sempre più whisky. La mattina dopo Dan non rispondeva più. Respirò in modo rauco per un’ora, poi morì. Jay andò a chiamare il dottore della marina, che organizzò tutto.

Quando pochi giorni dopo fu letto il testamento nell’ufficio dell’avvocato, i 25 mila dollari di Jay erano spariti. «Che è successo?». «Ricordi quella mattina che scendemmo a terra?», disse Ella. «Andammo dall’avvocato e Dan cambiò il suo testamento».

«Ti stai prendendo i suoi milioni, non potevi almeno lasciarmi quella piccola somma come pagamento per tutti i miei anni di servizio?».

«Immagino che hai prestato servizio a molte donne. Ad ogni modo, hai visto il mondo. Dan ti ha comprato dei bei vestiti».

Alla fine, si decise che Ella gli avrebbe permesso di tenere il ritratto di Dan. «Ti piaceva davvero il vecchio?», chiese stupita.

Jay aveva messo da parte un paio di mesi di stipendio, ma poi scoppiò la guerra e fu arruolato e mandato a St. Louis, dove rimase di stanza e incontrò Daisy e si innamorò, un amore incredibil­e; diceva che lei aveva l’odore dei soldi. Lasciò il ritratto a Bart, che viveva con moglie e figli a Hoboken. Jay fu spedito in Francia e combatté nella battaglia della Somme. Fu uno dei pochi uomini nella sua unità a sopravvive­re. Dopo l’armistizio approfittò dell’offerta di Oxford di cinque settimane di istruzione gratuita. Daisy scrisse dicendo che aveva sposato un altro e che le dispiaceva di non averlo aspettato.

Pensò di tornare a New York. Daisy gli aveva spezzato il cuore ma era determinat­o a riconquist­arla. Avrebbe fatto fortuna, in modo onesto o no.

Gli mancava Dan e odiava Ella. Ma almeno Dan gli aveva insegnato a stare al mondo. Ora sapeva come vestirsi e come preparare una cena elegante. Tramite Dan aveva incontrato un contrabban­diere, un uomo che voleva lavorare con Jay. Nei cinque anni in cui era stato con Dan, aveva sedotto donne di poco valore — e aveva incontrato una deliziosa debuttante, Daisy, la sua prima donna rispettabi­le, una con una voce insolita e ammaliante, e lei lo aveva amato, per un breve periodo. Forse lo amava ancora.

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ILLUSTRAZI­ONE DI ANTONELLO SILVERINI

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