Corriere della Sera - La Lettura
Non Atwood né Oates Spazio alla nativa Erdrich a Robinson o Carson
Con il carico di credibilità che la giuria del Nobel deve riguadagnare, questa volta s’imporrà una scelta politicamente corretta ma non banale. Per intendersi: non Margaret Atwood per il Canada, scrittrice intelligente e femminista già molto premiata ma letterariamente non sempre di alto livello; e non Joyce Carol Oates, la più longeva degli autocandidati al premio, migliore come insegnante (a Princeton) che come autrice. No, quest’anno l’Accademia dovrebbe sentire il bisogno di tornare ai principi fondatori, e cercare, cioè, una solidissima voce marginale. Come quella della Marilynne Robinson di
Le cure domestiche e Gilead: coltissima, profonda, capace, da un luogo come l’Iowa, di celebrare l’essenza di ciò che è umano in storie che si svolgono lontane dai centri del mondo e vicine ai centri del cervello e del cuore. O Louise Erdrich, l’autrice di un romanzo fondamentale come Love medicine: indiana-americana per metà, rappresenterebbe una minoranza. Erdrich non si limita a ritrarre il mondo dei Native American del North Dakota come soggetto a una dominazione politica: lo usa per esplorare temi universali come l’identità. Contro due possibili contendenti come Robinson e Erdrich, persino Don
DeLillo e Cormac McCarthy questa volta, in quanto uomini, potrebbero uscire un po’ ammaccati. Il Canada ha un asso nella manica in Anne Carson. E chi mai dubitasse della grandezza di questa classicista che pensa per immagini e scrive nella più moderna delle lingue si legga Autobiografia del rosso. Un poema in prosa senza eguali.