Corriere della Sera - La Lettura
Il fisico che fu filosofo Genio e opere di Mach
Il nome del fisico austriaco vissuto tra ’800 e ’900 è diventato popolare perché legato alla «velocità di un aereo». Ma in realtà la sua influenza è molto più profonda. Gli è debitore Einstein; ha lasciato un’impronta su Wittgenstein; su di lui ha scritto Musil; con il suo pensiero si è scontrato Lenin
Forse qualcuno ricorda che si dice che un aereo vola a «mach 2», se viaggia a due volte la velocità del suono. Il nome dell’unità di misura «mach» onora Ernst Mach, fisico austriaco vissuto a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, che ha studiato, tra l’altro, le onde d’urto generate dal moto supersonico. Ma Mach non si è occupato solo di fisica applicata. Ha scritto di storia e filosofia della scienza, difendendo una posizione filosofica chiamata empiriocriticismo. Le sue idee hanno avuto un’influenza sorprendentemente vasta arrivata in ambiti quanto mai lontani, con un impatto significativo su personaggi che vanno da Einstein a Musil, fino a Lenin.
Albert Einstein ha più volte riconosciuto il suo debito verso Mach. La critica ai concetti di spazio e tempo newtoniani, sviluppata nel testo più rilevante di Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, ha permesso ad Einstein di superare lo schema di Newton. Una delle idee centrali di Mach è che la scienza si debba appoggiare solo su quantità osservabili; quest’idea è stata cruciale per Einstein per arrivare alla relatività speciale: la simultaneità, che non è direttamente osservabile, è solo un’approssimazione. Oggi gli studenti universitari di fisica che studiano la relatività generale conoscono il «principio di Mach»: il moto libero di un oggetto non è determinato da un’astratta struttura fissa dello spazio: è influenzato dalla distribuzione della materia dell’intero universo.
L’idea di restringere le basi della fisica alle sole quantità osservabili, liberando per quanto possibile l’indagine scientifica da assunzioni «metafisiche», è alla base anche del lavoro di Werner Heisenberg che ha aperto la strada alla meccanica quantistica. Le parole iniziali dell’articolo fondamentale di Heisenberg sull’argomento fanno diretto riferimento a idee di Mach. Mach ha quindi un’influenza diretta su entrambe le grandi rivoluzioni della fisica del Ventesimo secolo.
Questa retorica «anti-metafisica» di Mach ha lasciato un’impronta duratura anche sulla filosofia contemporanea. La si ritrova identica, sotto la sua diretta influenza, nel «circolo di Vienna», in Ludwig Wittgenstein, e quindi nel positivismo logico dell’inizio del secolo. Attraverso questo è arrivata a influenzare tutta la filosofia analitica contemporanea, che domina oggi in tanti dipartimenti di filosofia del mondo.
Idee di Mach hanno lasciato tracce importanti anche sulle neuroscienze. Mach è stato fra i primi a studiare sperimentalmente la percezione umana. Le «fasce di Mach» sono le bande che l’occhio immagina di vedere guardando un gradiente uniforme di colore. La sua enfasi sulla prospettiva visuale soggettiva la si ritrova in ricerche attuali sulla natura della coscienza. In una conferenza tenuta da Giulio Tononi, il noto scienziato italiano che studia la coscienza, per esempio, mi ha colpito il fatto che la prima immagine mostrata fosse presa dai lavori di Mach sull’argomento.
Ma l’influenza diretta delle idee di Mach va assai oltre il pur vasto campo delle scienze e della filosofia.
Su Mach ha scritto la tesi di dottorato Robert Musil, futuro autore de L’uomo
senza qualità, uno dei capolavori della letteratura universale. La tesi universitaria di Musil è una discussione appassionata dell’empiriocriticismo di Mach. Le idee che Musil dibatte nella sua tesi sono le stesse che agitano il protagonista del suo primo inquietante romanzo, I turba
menti del giovane Törless, e queste stesse idee si ritrovano poi in filigrana lungo l’intero svolgersi de L’uomo senza qualità. Quello che fa de L’uomo senza qualità un capolavoro è anche questa intelligente e profonda consonanza con il mondo delle grandi questione scientifiche e filosofiche in corso.
Ma non basta, e forse non siamo ancora arrivati alla parte più interessante.
Nel piccolo gruppo che riuscirà a portare la Russia alla rivoluzione, vi erano inizialmente due leader particolarmente influenti: Vladimir Lenin e Aleksandr Bogdanov. Dei due, il più intellettuale e filosofo è Bogdanov, che elabora una teoria generale direttamente ispirata alle idee di Mach. Sulla sua scia cresce in Russia un movimento intellettuale ispirato a Mach, i «machisti». Lenin entra in competizione con Bogdanov e attacca lui e i «machisti» sia politicamente sia sul piano delle idee, scrivendo Materiali
smo ed empiriocriticismo, dove sostiene che le idee di Mach — e Bogdanov — sono contaminate dall’idealismo e per questo contrarie al corretto materialismo marxista. Bogdanov risponde con una acuta critica che mette in luce gli aspetti metafisici del materialismo di Lenin (la materia è assunta a universale metafisico, indipendentemente dalla storia, dall’esperienza, e dalla crescita del sapere scientifico) e denuncia il conseguente dogmatismo implicito nella posizione di Lenin. Secondo Bogdanov, questo dogmatismo teorico rischia di rovinare, congelandolo, il movimento reale di liberazione che prende vita con la rivoluzione sovietica. Lenin come sappiamo prevale, ma l’analisi di Bogdanov è profetica. Lo è rispetto allo sfumarsi del concetto di materia nella fisica fondamentale. Lo è ancor più rispetto al congelamento del movimento rivoluzionario di liberazione nell’Unione Sovietica staliniana.
Grandissima letteratura, grandissime questioni politiche, filosofia, scienze diverse si intrecciano intorno alle idee di Ernst Mach, in un esempio di clamorosa smentita di chi lamenta che scienze naturali e scienze umane non si parlino.
Ma quali sono queste idee, che hanno avuto così vasta eco? Mach, come ben argomenta Musil nella sua tesi, non è né sistematico né particolarmente coerente nella sua esposizione. Lavora principalmente traendo suggerimenti generali da esempi presi dalla storia della scienza. La sua analisi critica delle basi concettuali della fisica classica, che ha messo Einstein sulla strada giusta, ne è un esempio. Sono piuttosto tratti generali del suo pensiero ad essere stati influenti.
La conoscenza è per Mach il tentativo di organizzare e riassumere le sensazioni in maniera economica, idea oggi attualissima e fertile negli studi sulla complessità, e sulle basi fisiche della funzione del cervello. Come scrive Aldo Gargani, che in Italia si è occupato di lui, Mach non considera i concetti come schemi logici astratti, ma come risultato di un percorso che mira a «organizzare» per quanto possibile le rappresentazioni sensibili. Questa tesi (che ha avuto influenza diretta anche sull’altra radice della filosofia analitica contemporanea: il pragmatismo americano), radica il sapere nell’economia e nella storia e ne fa attività umana, concreta, senza possibilità di sfuggire ai limiti e alla parzialità delle limitazioni della nostra specie; ma lo apre all’evoluzione e alla crescita. È questa idea che attira Bogdanov, che la legge come una versione particolarmente articolata e intelligente delle tesi di Marx e Engels sulla dipendenza della cultura dalla storia, e chef aràdell ’« organizzazione» il concetto fondamentale del suo pensiero.
Ma il punto chiave del pensiero di Mach è un radicale empirismo, mutuato da Richard Avenarius, che non assume come punto di partenza né una realtà esterna oggettiva data, né un soggetto che percepisce e conosce, bensì lesole percezioni e sensazioni. L’ atteggiamento dichiaratamente anti-metafisico del circolo di Vienna e del positivismo logico, i giganteschi passi avanti della fisica teorica dell’inizio del secolo, la nascita delle ricerche scientifiche sulle percezioni, sono tutte direttamente influenzate da questo spirito. L’originalità di Avenarius e Mach è quella di individuare un livello capace di eliminare la separazione o la dualità fra mondo mentale e mondo materiale, identificandoli, e saltando oltre l’alternativa fra materialismo e idealismo, o fra oggetto e soggetto, in un modo comunque radicato nel linguaggio della scienza contemporanea. Come nota Bogdanov, Lenin non comprende questo aspetto sottile dell’ empiriocriticismo, scambiandolo erroneamente per idealismo. Ma non è idealismo, tutt’altro, perché apre la strada alla naturalizzazione del soggetto della conoscenza. Per questo le idee di Mach, pur frammentarie e non sistematiche, hanno avuto questa portata così ampia, e per questo, a me sembra, sono ancora fertili.
Come tutti i pensatori coraggiosi, Mach ha commesso anche errori clamorosi. Il più stupefacente è stato il suo rifiuto di prendere sul serio atomi e molecole, e la fisica di Maxwell, Planck e Boltzmann che assumeva l’esistenza degli atomi. Per il radicale empirismo di Mach, immaginare particelle di materia invisibili, come base per capire il calore o i legami chimici, suonava troppo come un’ assunzione metafisica ingiustificata. Si sbagliava. Era invece un’ ottima ipotesi scientifica, più tardi splendidamente corroborata: oggi gli atomi li vediamo al microscopio. Anche il suo tentativo di liberarsi dalle rigidità aveva finito con l’essere troppo rigido. Aveva ragione Bogdanov: ogni rigidità non è che temporanea; il movimento reale delle cose ci porta comunque a cambiare.
In Italia le Edizioni Lit hanno pubblicato tre anni fa il testo di una breve e deliziosa conferenza di Mach, dal titolo
Perché l’uomo ha due occhi? Chiudo con le parole con cui Ernst Mach termina il libretto: «Se ora dunque mi ripeterete la domanda perché l’uomo ha due occhi, io vi risponderò così. Perché possa osservare attentamente la natura, e comprenda che egli stesso con le sue opinioni vere o false con la sua alta ideologia, non è altro che un piccolo e fugace fenomeno della natura. E che, per dirla con Mefistofele, non è che “una parte di una parte”. E che è cosa assai assurda “che l’uomo, piccola parodia del mondo/ si illuda di essere un mondo egli stesso” (Goethe)».