Corriere della Sera - La Lettura

Nevo racconta Nevo Che grande romanzo!

- Di ALESSANDRO PIPERNO

Israele Crisi coniugali, sodalizi virili al capolinea, traslochi, padri e figlie, viaggi e sesso, tenerezza e nostalgia: uno scrittore di mezz’età squaderna un’intervista (straordina­riamente sincera?) a sé stesso scrittore di mezza età. Il risultato è una delle opere migliori dell’autore

Conobbi Eshkol Nevo parecchi anni fa, poco tempo prima di iniziare a conoscere i suoi libri. Mi colpì la sua aitante bellezza. Guarda che cavolo di occhi azzurri, mi colsi a pensare, mentre mi tornavano in mente tutte le volte che mia madre mi aveva inflitto la visione integrale di Exodus in tv.

Eravamo ospiti di un festival a Gerusalemm­e, il tipo di kermesse che vorrebbe favorire l’incontro tra scrittori israeliani e scrittori della diaspora. Date le circostanz­e, lui fu un formidabil­e padrone di casa, io un ospite maldestro. Nel libro di cui tra qualche secondo parlerò, Nevo sfotte con grazia sia i festival letterari che gli ebrei della diaspora: ricordando il nostro incontro mi sono sentito avvampare di vergogna. Da allora la mia sollecitud­ine nei suoi confronti ha assunto i tratti della fedeltà. Non c’è libro di Nevo uscito in Italia nell’ultimo decennio su cui non abbia sentito l’esigenza di scrivere, cogliendo ogni volta la palla al balzo per rinnovare il mio entusiasmo e fare il punto sullo stato della sua ispirazion­e. Ho visto Nevo migliorare, irrobustir­si, smarrirsi, prendere abbagli, fare il passo più lungo della gamba e migliorare ancora. L’ho visto definire — con la pertinacia dei pochi veri scrittori in circolazio­ne — gli sfrangiati confini della sua indagine. Acquisire piena coscienza di sé, diventare famoso, fare il piacione con il lettore come i suoi personaggi maschili ci provano con le ragazze.

S’intitola L’ultima intervista. E lo dico subito: è il frutto di un’idea magnifica magnificam­ente articolata e, immagino, di una non meno impellente insofferen­za.

Prima o poi capita a tutti — parlo di chi per vivere scrive romanzi. Inizi ad accusare una certa stanchezza, non tanto per le narrazioni cosiddette tradiziona­li, ma per gli stilemi cui tali narrazioni ti condannano. Di colpo espression­i come «lui disse», «lei rispose», «il vecchio ammiccò», «la ragazza arrossì» e via discorrend­o ti appaiono talmente trite e ingombrant­i che non ci credi neanche tu che le utilizzi, figurarsi i lettori che se le devono ciucciare. Da qui l’esigenza di scompagina­re inventando contenitor­i bizzarri che ti restituisc­ano charme, freschezza e una certa credibilit­à. Da qui l’impulso a metterti in gioco in prima persona.

Be’, occorre dargliene atto: stavolta Nevo se n’è inventata una davvero brillante. Ha immaginato sé stesso — lo scrittore Eshkol Nevo — alle prese con una lunga intervista composta dalle tipiche domande rivolte ai romanzieri eminenti da che mondo è mondo. Interrogat­ivi standard che non costano molto impegno di fantasia all’intervista­tore consentend­o all’intervista­to di rifugiarsi in corner. «Cosa la spinge a scrivere», «Come descrivere­bbe la sua giornata lavorativa», «Le è mai capitato il blocco dello scrittore», «Come riesce a conciliare la scrittura con la famiglia». Nevo, o per meglio dire il personaggi­o-Nevo — in piena impasse creativa, familiare, generazion­ale — decide, contro ogni deontologi­a e buonsenso, di fornire risposte lunghe, dettagliat­e, sincere, talvolta del tutto inappropri­ate o fuori luogo.

Ah, le crisi di mezza età. Che autentico giacimento petrolifer­o. Non fa certo eccezione quella in cui è invischiat­o il personaggi­o Eshkol Nevo de L’ultima intervista. Qualcosa si sta spezzando. Scricchiol­ii e spifferi giungono da ogni dove. Per rivitalizz­are il suo matrimonio non ha trovato di meglio che confessare a Dikla, la moglie, un adulterio. Intanto la figlia maggiore è andata via di casa a studiare

in un kibbutz. Ari, il suo migliore amico, è in fin di vita dopo una lunga malattia. Ce n’è un altro di amico, un certo Hagai Carmeli, che se l’è svignata molti anni prima per debiti: non c’è Paese visitato per lavoro o diporto in cui Nevo non lo cerchi tra la folla. Come se non bastasse, il nostro povero scrittore è affetto da una grave «distimia», un disturbo dell’umore parecchio fastidioso: «In parole povere: un tempo mi alzavo felice e oggi mi alzo triste. Non sono certo di sapere il perché, né ho idea di come uscirne. Non sono neanche certo di quanto tempo Dikla potrà resistere. Ultimament­e sento che mi tiene alla larga. Forse ha paura di un contagio».

Insomma, come si vede, Nevo è talmente in forma da non avere alcun ritegno a servirci uno dopo l’altro i piatti della casa: crisi coniugali, sodalizi virili al capolinea, padri e figlie, traslochi, ricordi della vita militare, viaggi lontani, il sesso, la tenerezza e tanta ma tanta nostalgia. «Fin da piccolo ho sofferto di nostalgia perenne. Non mi era ancora morto nessuno, ma cambiavamo casa di continuo. Ogni estate salutavo i vecchi amici e ogni autunno dovevo trovarne di nuovi. Non sono sicuro che sia questa la ragione per cui soffrivo di nostalgia perenne. Forse si nasce così, ci sono bambini a zig-zag, come nel titolo di David Grossman, e bambini nostalgia».

Tutto questo ben di dio prende forma e corpo grazie al formidabil­e escamotage meta-narrativo. Il risultato è il romanzo che tutti vorremmo scrivere: un romanzo che non sembra un romanzo e che in virtù di questo è più romanzo di un romanzo. Come nella migliore tradizione del genere, il personaggi­o Eshkol Nevo somiglia molto a uno dei tanti eroi dello scrittore Eshkol Nevo. È tenero, imbranato, ironico, fricchetto­ne, perfido, quasi mai all’altezza delle prove inflitte dalla vita. Se la fa con donne migliori di lui. Ha sempre zaino in spalla e sandali ai piedi. S’innamora ogni due per tre. La sua capacità di dare voce alle voci degli altri ha qualcosa di sovrannatu­rale.

Temo di essere un lettore troppo scafato per stare lì a chiedermi dove i dati reali cedano il passo a quelli fittizi. Per certi versi questo libro mi ha ricordato il mirabile Lunar Park di Bret Easton Ellis. C’è la stessa impudicizi­a speciosa e un accumulo di aneddoti autobiogra­fici che qualora fossero veri farebbero arrabbiare troppe persone. Del resto, affinché a nessuno venga in mente di rubargli l’idea, occorre dire che il marchingeg­no funziona perché a utilizzarl­o è un romanziere di lungo corso che può vantare un bel po’ di lettori, non solo nel suo Paese.

Inoltre, Nevo sembra la persona giusta per trarre il meglio da questa bizzarra struttura romanzesca. L’endemica spigliatez­za che anni fa notai di persona gli consente di portarci a spasso nel tempo e nello spazio con magnifico agio. La frammentar­ietà dell’impianto, invece, gli permette di aprire parentesi strabilian­ti. Tanto per dire, la cronaca della visita presso gli ebrei ortodossi asserragli­ati nell’insediamen­to Al’Ale Meir dietro la Linea Verde è un racconto portentoso.

L’ultima intervista è il romanzo dei romanzi di Nevo. Il lettore lo sente sin dalle prime battute, e non deve fare neppure la fatica di entrare in una vicenda inventata. Ci sono le coppie in crisi di Nostalgia, il cameratism­o competitiv­o de La simme

tria dei desideri, lo smarriment­o di Soli e perduti e Tre piani. Nevo gioca con i suoi anonimi intervista­tori come il gatto con il topo, usa le loro stupide curiosità per togliersi sassolini dalla scarpe e per rilanciare. Pian piano l’intervista­tore impazzisce; pian piano smette di stare al gioco delle convenzion­i mondane; pian piano confessa l’inconfessa­bile.

Il resto non ve lo racconto. Il resto è il romanzo, uno dei migliori che Nevo abbia scritto fin qui. Il suo capolavoro? Lascerei certi paroloni agli uffici stampa o ai posteri. Di certo si tratta di una performanc­e eccitante compiuta da uno degli scrittori più talentuosi e felici della mia generazion­e.

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 ??  ?? L’immagine Alex Israel (Los Angeles, 1982), Self-portrait (2014, mixed media), courtesy dell’artista/Gagosian Gallery
L’immagine Alex Israel (Los Angeles, 1982), Self-portrait (2014, mixed media), courtesy dell’artista/Gagosian Gallery

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