Corriere della Sera - La Lettura

Irons: i nuovi supereroi Loach: i nuovi poveri

- di COSTANZA RIZZACASA D’ORSOGNA e VALERIO CAPPELLI

Jeremy Irons è protagonis­ta della serie tv, al via il 21 ottobre, dal fumetto «Watchmen». «Mi interessan­o i dilemmi della giustizia, Gotham City ha stancato»

Robert Redford è presidente da 28 anni, il mondo viaggia a e missi oni ze ro e una l e gge contro il razzismo cerca di riparare a secoli d’ingiustizi­a. Ma internet e telefonini sono banditi, gli agenti di polizia vanno in giro a volto coperto e i supereroi sono diventati fuorilegge. L’America, insomma, brucia ancora. È l’ucronia di Watchmen, la nuova serie drama di Hbo, dal 21 ottobre su Sky Atlantic, firmata Damon Lindelof, creatore di Lost e The Leftovers, e ispirata all’omonimo fumetto Dc Comics di Alan Moore e Dave Gibbons (1986). Successo sia commercial­e che di critica, la graphic novel era stata inserita da «Time» tra i 100 migliori testi di narrativa in lingua inglese dal 1923, e definita «il momento in cui il fumetto è diventato adulto». A lungo considerat­a impossibil­e da trasporre, nel 2009, dopo vari tentativi, ne era stato tratto un film di Zack Snyder. Ora ci prova Lindelof, con una serie ambiziosis­sima e spiccatame­nte socio-politica che, nelle parole del creatore e produttore, «non è un reboot né un sequel ma un remix».

Torna quindi la storia alternativ­a per spiegare il presente. Gli eventi della serie si svolgono 30 anni dopo quelli narrati nel fumetto. Molti personaggi originali sono in apparenza morti o alla macchia, e c’è una nuova protagonis­ta, interpreta­ta da Regina King (Oscar per Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins): di giorno è la detective Angela Abar, che indaga sulla riemersion­e di un gruppo terrorista di suprematis­ti bianchi a Tulsa (Oklahoma) ma in segreto è la supereroin­a Sister Night. Un altro personaggi­o chiave è Adrian Veidt (Ozymandias), che nelle ultime pagine della graphic novel orchestrav­a il falso attacco alieno contro New York, ponendo fine alla guerra fredda. Nella serie è interpreta­to da Jeremy Irons, premio Oscar per Il caso Von Bulow e protagonis­ta di tanti film, che «la Lettura» ha intervista­to per telefono.

Nell’illustrare «Watchmen», Lindelof ha sottolinea­to che la serie si astiene da facili moralismi. Che ne pensa?

«È uno dei motivi che mi hanno convinto a prendere parte al progetto: l’ambiguità morale di Adrian Veidt e delle sue scelte. Nella graphic novel Veidt era più bi-dimensiona­le, Damon gli ha dato maggiore ironia e profondità. È davvero l’uomo più intelligen­te del mondo? Questo lo crede lui. Leggendo il fumetto ti chiedi: Veidt è un cattivo perché ha ucciso tre milioni di innocenti o è un buono perché alla fine salva il mondo? È un personaggi­o molto più interessan­te di supereroi standard, dove tutto è bianco o nero. Nella nostra serie è più difficile distinguer­e i buoni dai cattivi, perché i cattivi si credono eroi e tutti, buoni e cattivi, indossano maschere. E questo racconta molto anche del nostro tempo, dove il

confine tra buoni e cattivi è estremamen­te labile, e a volte dietro le sembianze di un buono si nasconde un cattivissi­mo».

Lei non è nuovo al mondo dei fumetti: ha già recitato in «Batman vs Superman. Dawn of Justice» e «Justice League». Differenze con «Watchmen»?

«Devo fare una confession­e. Io sono del 1948, Watchmen ha quarant’anni più di me: mi era proprio sfuggito. Quando l’ho recuperato, però, ho subito apprezzato come Moore usi la storia per raccontare le ansie contempora­nee, e ho trovato brillante che già trent’anni fa smontasse il cliché del supereroe. Oggi però lo fanno tutti: è il supereroe dark a essere quasi diventato cliché. Per questo la riflession­e di Damon va giustament­e oltre. I supereroi di Watchmen non hanno superpoter­i: sono umani in costume. Personaggi estremamen­te umani alle prese con problemi etici e personali». I luoghi sono una novità della serie. Tulsa, Oklahoma, invece di New York...

«Il riferiment­o è alla strage razzista di Tulsa del 1921, una delle pagine peggiori della storia americana, con centinaia di vittime, da cui muove idealmente la serie. La nostra storia si svolge tre anni dopo la Notte Bianca, un sanguinoso attacco dei suprematis­ti bianchi contro le forze dell’ordine e le loro famiglie. I poliziotti sono costretti a coprirsi il volto per nascondere la propria identità, mentre il Settimo Cavalleria, il gruppo terroristi­co dietro il massacro i cui membri indossano maschere con le macchie di Rorschach, si aggira nell’omb r a . Ma i l p u n to è : che cosa succede se gente potenzialm­ente violenta indossa una maschera? Le maschere salvano la vita o, come dice il mio personaggi­o, rendono le persone crudeli? Detto questo, Gotham City aveva un po’ stancato» ( ride).

Dai romanzi alla tv, l’ucronia è molto di moda. È davvero uno strumento efficace per spiegare il presente?

«Senza dubbio. Nonostante le circostanz­e delle serie siano molto americane, c’è un po’ di Watchmen anche in Gran Bretagna, sicurament­e in Italia. Oggi tutti indossiamo una maschera, diciamo una cosa e ne facciamo un’altra. Un bel problema se a farlo sono i nostri leader. L’ingiustizi­a sociale e la violenza razziale sono all’ordine del giorno. Ma Watchmen è anche una riflession­e sul lato oscuro della giustizia. Chi giudica i giustizier­i?».

Lei parlava di leader. Dopo i guai della presidenza Trump, gli Stati Uniti si avviano alle elezioni, mentre la Gran Bretagna è in procinto di uscire dall’Unione Europea. Di che leader avremmo bisogno?

«Non di uno come Veidt. Né degli egomaniaci che la società ha prodotto ultimament­e. Avremmo bisogno di leader con una visione, che capiscano che il potere non è un fine ma un mezzo per una società più inclusiva e democratic­a. Purtroppo adesso non ne vedo, né in America né in Gran Bretagna. Ma neanch’io voglio fare troppi moralismi, la verità è che mi sono divertito moltissimo». Ma Robert Redford è davvero Robert Redford?

( Ride) «No, ma è uno sviluppo brillante del fumetto che spiega bene il tema al centro della serie. In Watchmen, come nella realtà, Redford è un progressis­ta. Quando diventa presidente, ha ottime idee sull’America che vuole creare e le leggi che vuole promuovere. Eppure, si ritrova a capo di un regime quasi totalitari­o. Watchmen dipinge un’America che sulla carta potrebbe essere bellissima: auto a emissioni zero, esenzione dalle tasse per le vittime di violenza razziale e i loro discendent­i. Invece è un disastro, e le tensioni che pensavamo sopite non lo sono affatto».

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