Corriere della Sera - La Lettura
Piazza Fontana e i servizi Mezzo secolo di misteri
1969-2019 A cinquant’anni dalla bomba fascista che uccise 17 persone a Milano, abbiamo messo a confronto due studiosi sul nodo più delicato della vicenda: il ruolo degli apparati di sicurezza e il loro rapporto con i terroristi di destra. Vladimiro Satta ritiene che all’intelligence italiana si possa imputare solo un comportamento incauto. Aldo Giannuli denuncia complicità e depistaggi nell’ambito di un disegno di matrice internazionale
Acinquant’anni dalla strage di piazza Fontana a Milano, avvenuta il 12 dicembre 1969, abbiamo chiamato a discuterne due studiosi del terrorismo: Vladimiro Satta, che attribuisce tutta la responsabilità ai neonazisti, e Aldo Giannuli, che chiama in causa gli apparati dello Stato. Dopo la strage gli inquirenti seguono la pista anarchica, poi rivelatasi infondata. Errore o montatura?
VLADIMIRO SATTA — Le indagini presero quella direzione sulla base di indizi consistenti, specie la testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, che disse di avere trasportato sul luogo della strage un individuo che poi riconobbe nel ballerino anarchico Pietro Valpreda. Contro l’estrema destra all’inizio non sussistevano elementi equiparabili. La pista nera prese quota a novembre del 1971, quando fu scoperto un deposito di armi nella disponibilità del neofascista Giovanni Ventura. Valpreda non fu oggetto di una persecuzione, semmai la sinistra scommise sulla sua innocenza e vinse. In generale gli anni Settanta portano a una ripresa dell’antifascismo: lo stesso Valpreda fu scarcerato alla fine del 1972 grazie a una legge ad personam che prese il suo nome.
ALDO GIANNULI — L’idea di un unico complotto di tutti i servizi di sicurezza per incastrare gli anarchici non regge alla prova, ma neppure l’idea che non ci sia stata alcuna montatura. Bisogna distinguere: nella questura di Milano pesava il pregiudizio contro i «sovversivi», ma l’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno è un altro conto. Dalle carte del suo dirigente più autorevole, Federico Umberto D’Amato, emerge già nell’estate 1969 il tentativo di costruire una pista anarchica. Invece il Servizio informazioni della Difesa (Sid), l’intelligence militare, vorrebbe coinvolgere Giangiacomo Feltrinelli. C’è uno scontro tra apparati di sicurezza, anche nei rapporti con l’estrema destra: il Sid è in contatto con Ordine nuovo, il gruppo responsabile della strage, mentre Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie è legata agli Affari riservati. Relazioni occulte che fanno dubitare circa la buona fede di queste strutture. Aggiungo che, secondo me, a spostare l’attenzione sui neonazisti, prima del ritrovamento delle armi nel 1971, è il libro di denuncia La strage di Stato, uscito anonimo nel giugno 1970, che porta vari elementi contro l’estrema destra, anche se il regista del massacro è erroneamente indicato in Delle Chiaie. Ma già prima Guido Lorenzon aveva riferito le confidenze di Ventura: dalle sue rivelazioni partono le indagini sullo stesso Ventura e su Franco Freda.
VLADIMIRO SATTA — Lorenzon è un vecchio amico di Ventura e ne riferisce i discorsi compromettenti, ma la sua deposizione è oscillante. A un certo punto ritratta.
Per i magistrati è difficile basarsi su un teste così, anche perché la perquisizione a casa di Ventura, nel dicembre 1969, non dà risultati. I primi riscontri arrivano nel 1971 con la scoperta delle armi. Allora l’indagine decolla, ma questo non c’entra nulla con il libro La strage di Stato, che ignora Freda e Ventura. Torniamo a Valpreda.
ALDO GIANNULI — È vero che contro il ballerino anarchico c’erano indizi concreti. Nello stesso Pci molti all’inizio ritenevano che potesse essere colpevole. Ma le inchieste vanno valutate in sede processuale e la pista anarchica non ha retto. Io non credo a una regia unica volta a deviare le indagini, ma i depistaggi ci sono stati e alcuni funzionari sono stati condannati.
VLADIMIRO SATTA — Senza dubbio Delle Chiaie era in rapporto con gli Affari riservati, nell’ambito di una sorta di scambio di favori. Per quanto riguarda il Sid, tra i suoi collaboratori esterni c’era Guido Giannettini, giornalista, amico di Freda e Ventura, vicino a Ordine nuovo, cioè all’organizzazione responsabile di piazza Fontana. Quando la magistratura s’imbatte in lui, chiede notizie al servizio segreto militare. Nel luglio 1973 il Sid rifiuta di dare informazioni, secondo il principio per cui un’agenzia d’intelligence non deve mai rivelare i nomi delle sue fonti riservate. La risposta denota però un’assoluta mancanza di sensibilità politica: dopo la bomba di piazza Fontana, sarebbe stato opportuno dare la priorità all’esigenza di aiutare gli inquirenti. L’errore viene poi corretto nel giugno 1974 dall’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti, nell’ambito di una svolta politica antifascista che aveva visto lo scioglimento di Ordine nuovo con decreto governativo nel novembre 1973. In un’intervista Andreotti dichiara che Giannettini è un informatore del Sid. A quel punto il giornalista, che il controspionaggio aveva fatto fuggire all’estero, si consegna in Argentina alle autorità italiane: sarà processato a Catanzaro per piazza Fontana, condannato in primo grado e poi assolto in appello e in Cassazione.
ALDO GIANNULI — Giannettini però non è un caso isolato. La sua collaborazione con il Sid va inserita in una fitta trama di rapporti fra militari e destra neofascista che risale all’inizio degli anni Sessanta. Andreotti si dimostra molto abile nel buttare a mare gli estremisti neri, quando la situazione diventa pericolosa. Mentre i servizi mancavano di sensibilità politica, come osserva Satta, lui ne aveva eccome.
VLADIMIRO SATTA — Giannettini e altri esponenti di estrema destra vengono avvicinati dai servizi segreti in quanto esperti di questioni belliche, in particolare della guerra psicologica o non ortodossa che dir si voglia. Questi rapporti di per sé erano leciti, ma i militari non capirono che frequentare i neofascisti significava avere a che fare con gente certamente disposta a battersi contro il comunismo, ma anche ostile alla democrazia. Si trattava di relazioni compromettenti, che andavano gestite con cautela. Al contrario i neofascisti furono utilizzati con estrema disinvoltura. Da tutto questo scaturì un’illusione reciproca di strumentalizzazione. I militari utilizzavano i neofascisti per operazioni improprie. Gli estremisti di destra, portati in palma di mano dai vertici delle forze armate, si misero in testa di poterli trascinare in progetti eversivi. Ho parlato a tal proposito di relazioni improvvide e Giannuli in un libro mi ha criticato.
ALDO GIANNULI — Trovo la definizione discutibile per vari motivi. Innanzitutto non si tratta di un fenomeno solo italiano. In quella fase tutti i servizi segreti del blocco atlantico collaborano con gli estremisti di destra in America Latina, in Asia, in Grecia. È una scelta deliberata e, dal punto di vista di chi la compie, tutt’altro che improvvida. Se i neofascisti si facevano delle illusioni, i servizi segreti sapevano perfettamente che la realtà era del tutto diversa. Gli estremisti neri non avevano alcuna possibilità di prendere il potere e furono utilizzati con cinismo e determinazione per altri scopi.
VLADIMIRO SATTA — Di fatto in Italia i tentativi eversivi non hanno mai ottenuto alcun appoggio delle forze