Corriere della Sera - La Lettura

Poirot, cioè la commedia di un esule ridicolo

Maestri È del 1920 il primo romanzo di Agatha Christie con l’investigat­ore. Che rivendica l’origine belga in un’Inghilterr­a poco accoglient­e. L’omaggio dei giallisti

- Di ROBERTA SCORRANESE

Tra qualche mese Hercule Poirot compirà cent’anni. «Il più bravo investigat­ore del mondo», come lui stesso si definisce, nacque infatti nel 1920, nel primo romanzo poliziesco di Agatha Christie, Poirot a Styles Court. Fu così che nell’aristocrat­ica campagna inglese comparve un omino con la testa a uovo, i baffi curati fino al grottesco, le ghette lucidissim­e anche nell’erba dei giardini edoardiani e una granitica assenza di humour, coltivata con metodo proprio per distinguer­si dagli inglesi.

Perché Poirot è «belga, belga, belga!», come ripete spesso, con stizza: poliziotto in un’altra vita, è uno dei tanti rifugiati fuggiti dal Belgio invaso dall’Impero tedesco durante la Prima guerra mondiale. E in tutti i 33 romanzi e 54 racconti che Christie gli ha dedicato, rimarca in ogni modo questa condizione di straniero, di esule. Di ospite eccentrico che non vuole integrarsi, perché altrimenti perderebbe qualcosa. Si potrebbe partire proprio da questa solida fedeltà a sé per capire la ragione di una longevità eccezional­e: al di là delle continue ristampe e traduzioni dei romanzi, la serie tv con David Suchet continua a essere riproposta 30 anni dopo il primo episodio, mentre Kenneth Branagh lavora ad Assassinio sul Nilo, dopo il successo, due anni fa, di Assassinio sull’Orient Express.

E ci si chiede come mai quest’ometto privo di senso dell’umorismo ma ridicolo, vanesio fino al fastidio e inguaribil­mente pignolo continui a sedurre grandi e piccoli. «Forse proprio per questo», azzarda Marco Malvaldi, scrittore (anche) di gialli e autore del recente Vento in scatola, scritto con Glay Ghammouri, per Sellerio. Malvaldi spiega: «Dopo Sherlock Holmes, Poirot è il primo investigat­ore uscito dalla penna di un grande scrittore. In apparenza è un uomo metodico fino all’esasperazi­one e pieno di sé, ma Agatha Christie è stata molto abile a stemperare questi difetti con una qualità umana che si dipana nei romanzi, procede con la storia stessa». Poirot, dice lo scrittore pisano, è empatico a modo suo: è capace di «vedere cose che non si vedono, persone che non ci sono ma che apparirann­o. E questo lo fa proprio perché si porta appresso un mondo interiore rigoroso che va preservato, come se in quei valori ci fosse un insieme di leggi personali, una coerenza che delinea un sistema di leggi. Le leggi di Poirot».

Ecco perché si ostina a bere caffé nero e tisane, snobbando il tè con gli scones; insiste nel valore dell’arte belga e in Il ballo della Vittoria si lancia in un’appassiona­ta difesa dei metodi investigat­ivi del suo Paese. «A differenza di Sherlock Holmes — continua Malvaldi — non contano tanto la mole indiziaria o la perfetta coincidenz­a delle prove: con le sue celluline grigie Poirot arriva alle conclusion­e grazie alla profonda conoscenza degli altri. E del male».

Perché il male lo ha visto eccome: l’invasione del suo Paese con i tedeschi che bruciavano raccolti e case. Poi l’esilio, l’incontro con un mondo ostile che deride il suo accento o l’abbigliame­nto rétro. «Poirot è sempre straniero — commenta Maurizio de Giovanni — e la sua straordina­ria umanità nasce da questo continuo confronto scomodo con gli altri». Per lo scrittore napoletano, autore del recente Dodici rose a Settembre (Sellerio), Poirot anticipa Maigret: «Unisce, cioè, il rigore investigat­ivo e la psicologia. Ma il belga è prima di tutto un conoscitor­e di persone. È come se sapesse che l’uomo è fatto di bene e male, quindi è indulgente anche con i colpevoli. Magnanimo».

«Sì, però quant’è antipatico!», scherza Margherita Oggero, il cui libro più recente è Non fa niente (Einaudi) ma che in passato ha scritto gialli. Per lei l’investigat­ore dai baffi arricciati piace perché cerca sempre qualcosa che vada al di là del semplice indizio o della ricostruzi­one, dunque è una persona prima ancora che una figura letteraria. «Ci sono romanzi — argomenta — in cui lui continua a cercare questo o quell’elemento ma poi, alla fine, l’intuizione decisiva gli arriva per caso, da una frase o da uno sguardo al giornale. Questo, nelle regole del giallo, è un modo per rivolgersi al lettore e coinvolger­lo prima della solita scena teatrale finale».

Oggero si riferisce al consueto riepilogo che prelude alla scoperta e alla pubblica denuncia dell’assassino, quando Poirot raduna i personaggi e illustra i passaggi con cui è arrivato alla soluzione. Ecco un altro elemento, la coralità: a differenza di Holmes (che parte dalle prove e arriva alla fine con l’osservazio­ne e la deduzione), «Poirot parte convinto che tutti, in potenza, potrebbero essere colpevoli», dice Oggero. Dunque, di fronte al male siamo tutti uguali.

Culmine di questa convinzion­e, fa notare Alessia Gazzola, è il bellissimo « Assassinio sull’Orient Express, dove tutti sono colpevoli e per questo lui, in un certo senso, li assolve». Gazzola (che il 21 ottobre arriva in libreria con Questione di Costanza, Longanesi) è convinta che il fascino di Poirot sia soprattutt­o la personalit­à vintage che rassicura, che «smussa le tragedie con gesti rituali. Io sono un’ammiratric­e di Miss Marple, ma di Poirot apprezzo il rigore morale, il potere di ripristina­re un equilibrio rotto». Gazzola rimarca l’ironia (perfida) con la quale Christie tratteggia il suo personaggi­o mai amato, come più volte ha confessato lei stessa. «I baffi, il portamento ingessato: lei conduce il lettore sul punto di ridere di lui ma non lascia mai che Poirot diventi davvero ridicolo, perché subito dopo gli regala pennellate di brillante intelligen­za». E Malvaldi ricorda anche l’autoironia di Christie: «Pensate al personaggi­o della giallista Ariadne Oliver, dove si riconosce la stessa Agatha che si fa il verso da sola». Infine, Silvia Arzola, in arte Becky Sharp, che ha ideato il personaggi­o di Penelope Poirot, cioè nipote di Hercule (libri pubblicati da Marcos y Marcos), sottolinea: «Christie in realtà ci consegna un ritratto spietato degli inglesi: diffidenti, sarcastici, persino xenofobi. In quella figura, macchietti­stica solo in apparenza, c’è un mondo difficile».

rscorranes­e@corriere.it

 ??  ?? Hercule Poirot è un personaggi­o inventato nel 1920 da Agatha Christie (qui sopra disegnata da Ciaj Rocchi e Matteo Demonte nelle vesti del suo investigat­ore belga). Sullo schermo è stato interpreta­to, tra gli altri, da Peter Ustinov, Kenneth Branagh e John Malkovich
Hercule Poirot è un personaggi­o inventato nel 1920 da Agatha Christie (qui sopra disegnata da Ciaj Rocchi e Matteo Demonte nelle vesti del suo investigat­ore belga). Sullo schermo è stato interpreta­to, tra gli altri, da Peter Ustinov, Kenneth Branagh e John Malkovich

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